Che cos’è un’arrampicata urbana
Un valido supporto alla comprensione di questa pratica arriva dal sito streetbouldercontest.com, vetrina web dell’“Associazione Street Boulder Italia”, fondata nel luglio 2009 al fine di dare una struttura ufficiale al movimento con l’obiettivo di diffondere la cultura e pratica dello Street Boulder e che da anni si occupa anche dell’organizzazione degli Street Boulder Contest. La sezione FAQ offre un sintetico e interessante quadro di questa attività:
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“Che cosa fate (in breve)? Lo Street Boulder è una pratica di arrampicata che si svolge in ambito urbano (su palazzi, abitazioni, arredo urbano…) senza l’uso di corde, ad una altezza massima di pochi metri”;
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“Che cos’è un SBC? Lo Street Boulder Contest è una gara di arrampicata sportiva a carattere competitivo (contest) il cui luogo di svolgimento è la città (street), i muri, le colonne, i lampioni e tutto ciò che è arrampicabile, e la specialità di arrampicata che si pratica è il bouldering (boulder), ovvero un’arrampicata senza corda, che arriva ad un’altezza massima di circa quattro metri (la sicurezza è garantita dai crash pad)”;
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“Ma non è pericoloso? No, in quanto gli arrampicatori raggiungono altezze limitate e utilizzano materassi specificamente studiati (crash pad) per attutire le cadute”. Il crash pad è un tappetino in gommapiuma (con densità variabile) utilizzato come protezione del piede che nell’impatto a terra potrebbe subire lesioni, e dovrebbe coprire tutte le sezioni al di sotto dell’area di salita prescelta. Tra le misure di sicurezza adottate per garantire la sicurezza dello scalatore ci sono anche degli osservatori;
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“Siamo sicuri che sia legale? SÌ! però… questa disciplina sportiva è nata in maniera “clandestina” (ma con etica e riguardo) nel 2003 da un’idea di Max Sacchi e Negher, che la definirono “barely illegal”. Grazie all’ingresso di Diedro nel consiglio di amministrazione di SBC, avvenuto nel 2005, è iniziato un lento avvicinamento alla legalità conclusosi nel 2008, quando è stato organizzato a Genova il primo Street Boulder Contest completamente legale. Finalmente nel 2009 grazie al fondamentale contributo di King (esimio presidente) e Dani, è nata l’Associazione Street Boulder Italia, che intende promuovere e diffondere la pratica di questa disciplina”.
Nel gennaio 2010, in un articolo su “Outdoor Magazine”, Monica Viganò considera quanto gusto “proibito” ci sia nello Street Boulder constatando che, insieme al successo di queste iniziative: «Difficilmente i Comuni riconoscono questa attività (…). Ma potremmo spezzare numerose lance a favore di questa attività. Innanzitutto è sicura, considerando le altezze moderate che si raggiungono, raramente superiori ai 4 metri. E soprattutto non logora, come erroneamente si teme, gli edifici sui quali si pratica. Anzi, al contrario, li valorizza portando su di essi l’attenzione del popolo». In effetti la Viganò per prima intuisce che queste “attività” – e qui evidenziamo che non vogliamo in alcun modo demonizzarle ma, al contrario, incentivarle purché vengano praticate in sicurezza e con rispetto dovuto al patrimonio culturale – per essere realizzate necessitano di un processo autorizzativo che identifichi le responsabilità correlate.
Tipologia dell’arrampicata urbana
Il CONI con la Deliberazione n. 1566 del 2016 ha chiarito che cos’è uno sport e che cosa non lo è. Tra le 396 discipline sportive, nell’Allegato 1, numero d’ordine 4, troviamo la sola arrampicata sportiva (distinta tra paraclimb, arrampicata su roccia o su strutture artificiali), che in tutte le sue declinazioni è regolamentata. Ne consegue che sebbene una disciplina sia considerata fisica e competitiva, se non è prevista dal CONI non può essere considerata uno sport. Quando parliamo di “arrampicata urbana” siamo quindi in presenza di una “Attività ludico-motoria/amatoriale”. La distinzione non è da poco giacché l’attività sportiva agonistica è regolamentata dal Decreto ministeriale – Ministero della Sanità del 18 febbraio 1982, mentre la regolamentazione dell’attività ludico-motoria/amatoriale e dell’attività non agonistica è contenuta nel successivo Decreto Ministeriale del 24 aprile 2013 e nell’art. 42-bis della Legge n.98 del 2013. Occorre poi tener conto delle Linee Guida emanate del Ministero della Salute con Decreto 08 agosto 2014 e, ovviamente, dovranno essere anche salvaguardate eventuali istruzioni statuite dalle Regioni competenti.
Si definisce “ludico-motoria/amatoriale” quell’attività fisica praticata da soggetti “non tesserati” presso società sportive o enti di promozione sportiva, finalizzata al raggiungimento e al mantenimento del benessere psico-fisico della persona e praticata in autonomia. In particolare questa specifica attività dovrebbe mancare dell’aspetto competitivo e non dovrebbe prefiggersi come obiettivo il raggiungimento di prestazioni sportive di livello. Per l’attività ludico-motoria/amatoriale non è più obbligatorio il certificato medico, ma se richiesto può essere rilasciato da qualsiasi medico iscritto all’Albo dei Medici Chirurghi.
È da rilevare che l’arrampicata potrebbe anche essere annoverata tra quelle attività il cui scopo promozionale è quello di accrescere, attraverso la qualificazione, il bagaglio professionale delle classi lavoratrici, aumentandone le possibilità di occupazione e facilitandone l’inserimento in specifiche nicchie della vita produttiva. Pertanto, le organizzazioni di tali manifestazioni pubbliche potrebbero avere il mero carattere di formazione e di addestramento professionale ex art.2, comma 1, lett. aa) e cc) del D.lgs. 81/08 e s.m.i. In tal caso l’organizzazione dovrebbe considerare e concretizzare quanto statuito dal Testo unico sulla Sicurezza.
Rischi per le persone connessi all’arrampicata urbana
La pratica dell’arrampicata in contesto urbano non è esente da rischi. Il legislatore italiano nella stesura della normativa antinfortunistica ha considerato esposte a rischio “di caduta” le attività svolte ad altezza superiore ai due metri di altezza rispetto a un piano stabile. Quindi per le altezze superiori ai 200 cm dovranno essere adottate dal “Responsabile” (che andrà individuato formalmente) dei dispositivi di protezione generalmente contro tutti i rischi presenti e più specificatamente contro le cadute. La scalata di una “parete urbana” dovrebbe essere affrontata subordinatamente all’avvenuto addestramento dello scalatore (climber). Sarà naturalmente compito ed onere del Responsabile scegliere le misure di volta in volta più idonee per garantire l’incolumità dello scalatore, a seconda del tipo di parete e del grado della pericolosità della stessa. È importante sottolineare che il Responsabile è titolare di uno specifico obbligo di garanzia nei confronti dello scalatore che affronta la parete individuata. Permane anche per gli aspetti autorizzativi l’obbligo residuale di controllo da espletare durante tutta la fase di addestramento.
I principali incidenti/infortuni connessi a tale pratica possono essere imputati alla caduta dall’alto in seguito alla perdita della presa, dell’equilibrio o di coscienza. Per ridurre tale rischio è fondamentale che siano adottate misure di arresto della caduta dall’alto capaci di dissipare l’energia cinetica sviluppata durante la stessa caduta. Le decelerazioni devono essere contenute entro i limiti sopportabili senza produrre danno a parti del corpo umano. È importante che l’area d’impatto sottostante alle parete di ascensione sia sgombra da strutture, oggetti e persone che in caso di caduta scomposta possono arrecare lesioni generiche allo scalatore o a terzi: contusioni o fratture da schiacciamenti, escoriazioni, tagli etc.
L’area di ascensione dovrebbe poi essere delimitata, impedendo l’accesso ad estranei o al transitano sottostante. Nella valutazione dei rischi occorre considerare che la scalata urbana è soggetta ai rischi connessi alla circostanza che si sfida sempre la forza di gravità e l’altezza, e che quindi a parte gli infortuni muscolari, tendinei od ossei, che possono normalmente derivare per i carichi cui vengono assoggettate articolazioni, muscoli e ossa, vi è sempre il pericolo, anche in ambiente protetto, di fare seriamente male a sé e agli altri.
Nelle manifestazioni pubbliche di tale attività, che comunque non dovrebbe mai essere praticata in solitaria, è sempre appropriato predisporre un punto di assistenza di primo soccorso con addetti BLS-D (rianimazione cardiopolmonare anche con l’utilizzo di un defibrillatore). L’emergenza non può essere affrontata solo nel momento in cui si palesa un possibile pericolo. È necessaria una pianificazione preventiva che tenga conto delle peculiarità delle attività da svolgere.
Rischi per i beni culturali connessi all’arrampicata urbana
Le opere d’arte lapidee se sollecitato biomeccanicamente possono essere soggette ad elevato rischio di deterioramento dal momento che le forze agenti sono elementi catalizzanti dell’alterazione fisico-chimica. Ogni elemento lapideo esposto all’atmosfera si degrada nel tempo attraverso un processo che procede dall’esterno verso l’interno in modo progressivo, anche un concio apparentemente consistente potrebbe essere stato soggetto a trattamento consolidante attraverso l’impiego di prodotti irrobustenti. In relazione alle caratteristiche della pietra con cui ci si raffronta (in particolare: durezza e porosità), un materiale lapideo sottoposto ad una sollecitazione meccanica (in particolare a trazione e compressione) potrebbe rispondere differentemente. Obiettivo principale di una valutazione tecnica sarà quindi quella di accertare l’idoneità o compatibilità fisico-chimica delle superfici e dei materiali lapidei su cui si vuole praticare l’attività in salita. Preventivamente all’identificazione di un’area di salita da adoperare occorrerebbe effettuare almeno due operazioni conoscitive, ma di fondamentale importanza:
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Indagine (chimico-fisica, mineralogico-petrografica e storica) al fine di determinare la natura delle pietre su cui si vuole praticare l’attività in salita;
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Analisi dei dati raccolti per stabilire l’idoneità del sito.
Ne consegue, concettualmente, che una valutazione di idoneità delle superfici non può limitarsi alla mera ispezione visiva giacché un concio o un elemento architettonico potrebbe essere compromesso nelle zone interne dal momento che gli strati interni potrebbero essere degradati. Sforzi meccanici a carico della struttura interna del materiale potrebbero poi causare fratture nel substrato, pertanto la scarsa resistenza agli stress meccanici provocherebbe il distacco di una porzione di materiale concretizzando tre differenti tipologie di rischi sia per l’ambito della safety sia per la conservazione dell’opera:
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Rilascio di una massa qualsiasi o caduta pesi. I frammenti (di vario forma e tipologia) provenienti dal distacco possono cadere, saltare e/o rotolare senza impedimenti o compiere una qualsiasi combinazione tra queste azioni. Nell’impatto, queste masse possono provocare danni a cose o persone, anche gravi.
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Cedimento improvviso e non intenzionale della porzione di materia interessata dell’ancoraggio. La perdita del supporto o dell’equilibrio può produrre uno spostamento dello scalatore verso il basso per effetto della forza di gravità e della spinta del proprio peso (caduta). Le cadute possono causare gravi danni e, in alcuni casi, procurare la morte.
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Distaccamento/crollo di una parte della parete o di elementi architettonici che altera lo status quo di un bene architettonico/paesaggistico, con conseguente danno a un bene di rilevante interesse storico architettonico ed artistico.
Arrampicata urbana e valorizzazione del patrimonio culturale
Innanzitutto bisogna indagare in che modo l’arrampicata urbana è inquadrabile nella disciplina speciale sui beni culturali. Il Codice, in coerenza col dettato costituzionale, dà una definizione ampia di valorizzazione del patrimonio culturale, non limitata alla promozione della cultura, ma incentrandosi sulle “migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso” (art. 6, comma 1). L’arrampicata urbana è sicuramente una modalità di fruizione e d’uso del patrimonio culturale, un’attività non necessariamente impropria, ma sicuramente non ordinaria. È un’attività di valorizzazione poiché pone il bene culturale come moltiplicatore, come fattore di un processo generativo di valore in cui il bene culturale è strumento del singolo per conseguire le proprie finalità. Il limite alle attività di valorizzazione e quindi agli usi ordinari o inediti che siano, risiede nella loro attuazione “in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne l’esigenze” (art. 6, comma 2).
I limiti degli interventi e degli usi consentiti trovano ulteriori specificazioni all’interno del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Al Capo III (Protezione e conservazione) si individuano gli interventi vietati: “I beni culturali non possono essere distrutti, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione” (art. 20, comma 1). Articolo questo che riprende le condotte presenti nel reato di danneggiamento ex art. 635 del Codice Penale il quale punisce chiunque danneggi tramite distruzione, dispersione, deterioramento o rendendo inservibile.
Sempre in tema di conservazione si esprime poi il successivo art. 29 che statuisce ai commi 1 e 2 che “La conservazione del patrimonio culturale è assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro” e non di meno come “Per prevenzione si intende il complesso delle attività idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto”.
Controllo preventivo dell’arrampicata urbana su beni culturali
Quindi, dalla lettura combinata dell’art. 20 comma 1 e dell’art. 29 commi 1 e 2 deve esservi un controllo preventivo che, nel caso dell’arrampicata urbana, è un controllo preventivo del rischio da fattori antropici, quindi una sostanziale anticipazione del controllo che solo dopo potrà eventualmente fare un giudice.
Focalizziamoci quindi su due articoli, il 106 (Uso individuale di beni culturali) ed il 21 (Interventi sottoposti ad autorizzazione). Ebbene, il codice dei Beni culturali e del Paesaggio all’art. 106 dice come i beni dello Stato possano essere concessi in uso purché sia garantita “la conservazione e la fruizione pubblica del bene e sia assicurata la compatibilità della destinazione d’uso con il carattere storico-artistico del bene medesimo”. Sembrerebbe questo un articolo dirimente, ma innanzitutto non consentirebbe questo una disciplina organica in quanto questa previsione copre solo i beni di appartenenza pubblica quando vi sono da tenere in considerazione anche beni culturali privati con le loro necessità di tutela (quali “provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale” ai sensi dell’art. 3).
Passando poi all’altro articolo sopra accennato bisogna subito dire che è in dubbio se questo controllo preventivo sui fattori di rischio dell’arrampicata urbana possa avvenire in sede di autorizzazione ex art. 21, se non altro perché tale articolo, rubricato come “Interventi soggetti ad autorizzazione”, non è un articolo che disciplina gli usi e la fruizione e risulta francamente difficile inquadrare giuridicamente l’arrampicata urbana tra le opere e gli interventi (parlandosi infatti di rimozione, demolizione, spostamento, smembramento etc.). Al quarto comma l’art. 21 cita sì gli usi, in cui ben potrebbe rientrare il fenomeno che stiamo analizzando, ma bisogna intenderci sulla portata di questa menzione: “Fuori dai casi dei commi precedenti, l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente. Il mutamento di destinazione d’uso dei beni medesimi è comunicato al soprintendente per le finalità di cui all’art. 20, comma 1” il quale, come abbiamo visto, dice che “I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione”. Ebbene, con riferimento all’art. 21, l’arrampicata urbana non rientra né tra le opere, né tra i lavori e né tantomeno tra le ipotesi di mutamento di destinazione d’uso, ciò perché, a ben vedere, questo quarto comma nel suo complesso rimanda a valutazioni e a categorie edilizie e urbanistiche ed è proprio l’ultimo periodo del quarto comma con l’espressione “destinazione d’uso” a suggerire una lettura di questo tipo della previsione normativa. Nel primo periodo del quarto comma sarebbero compresi tutti gli interventi modificativi (tra cui i mutamenti di destinazione con opere), nel secondo comma si rafforza la previsione introducendo la sottoposizione a verifica – e quindi a previa valutazione degli organi tutelari – anche quelle modificazioni di destinazione d’uso ancorché senza interventi edili. In questo quarto comma il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio sembra recepire le disposizioni del T.U. Edilizia che all’art. 10, comma 2 introduce il concetto di una disciplina autonoma dei cambi d’uso, indipendente dall’entità dei lavori edili e che considera quei cambi di destinazione che si realizzano anche senza di tali interventi; lasciando però interamente la materia alle Regioni. Questa è una lettura coerente con il tenore dell’art. 21 nel suo complesso che dà corpo ad esigenze e finalità tutelari che, qui, si indirizzano su fasi antecedenti e propedeutiche rispetto a qualsiasi modalità fruitiva. Questa interpretazione sembrerebbe confermata anche dall’uso da parte del legislatore delle espressioni “subordinata all’autorizzazione del soprintendente” per le opere ed i lavori e l’espressione “comunicazione al soprintendente per le finalità di cui all’art. 20, comma 1” con riferimento al cambio di destinazione d’uso. Sul punto è da notare come questa seconda dicitura sia innanzitutto più generica della prima, come non specifichi le modalità attraverso cui l’amministrazione competente che esercita i controlli “per le finalità di cui all’art. 20, comma 1” e né, infine, cita la necessità di un provvedimento finale dell’amministrazione stessa. Ciò è da leggersi sempre con riferimento alla disciplina urbanistica ed edilizia nella quale non c’è una norma generale che disciplina le pratiche di cambio di destinazione d’uso e bisogna far riferimento a vari strumenti regolatori tra cui quelli urbanistici locali. Inoltre una lettura sistematica dell’art. 21 con gli artt. 169 (Opere illecite) e 170 (Uso illecito) – il quale punisce già la semplice predisposizione ad un uso vietato – evidenzia come lo stesso art. 170, oltre ad essere una riproposizione del generale art. 20 è in realtà pensato anche per sanzionare non solo gli usi illeciti globalmente intesi, ma anche modalità specifiche di predisposizione ad un uso vietato rappresentate dal mutamento di destinazione d’uso e alla sua disciplina specifica. Quest’ultima riflessione, oltre ad essere utile per una consapevolezza maggiore dell’impianto normativo, serve ad evidenziare come l’abrogazione dell’art. 170 nella riforma allo studio delle Camere lasci scoperte non solo ipotesi di usi illeciti (di difficile identificazione) ma anche ipotesi specifiche di mutamento di destinazione d’uso senza interventi edilizi.
Controllo successivo e illecita utilizzazione di bene culturale
Dopo che l’arrampicata urbana su un qualche bene culturale ha avuto luogo l’unico strumento che abbiamo a disposizione per “conoscerla” e giudicarla è quella del diritto penale. Tralasciando le ipotesi in cui si verifica un danno effettivo alle cose, perseguibili ai sensi dell’art. 635 del codice penale come danneggiamento, proviamo a vedere in che modo è perseguibile questo comportamento per il semplice fatto di averlo posto in essere, dal momento che le tecniche di tutela penale prevedono e puniscono non solo reati di evento ma anche reati di pura condotta.
Ci soffermiamo quindi sulle previsioni del Codice dei Beni culturali e del paesaggio, partendo dall’art. 170 il quale disciplina l’uso illecito di beni culturali, uno strumento teso alla prevenzione del rischio da fattori antropici, come del resto il precedente art. 169 che punisce le opere illecite. In via di prima approssimazione potremmo pensare che l’arrampicata urbana possa rientrare tra le “opere di qualunque genere sui beni culturali” dell’art. 169 ma ragioni di coerenza con il resto della norma portano ad escludere tale interpretazione: l’art. 169 alla lettera a) parla di demolizione, rimozione, modifica, restaura e di opere di qualunque genere; alla lettera b) di distacco di affreschi, stemmi e graffiti; alla lettera c) di interventi urgenti per la conservazione. Non è quindi inquadrabile tra le opere illecite e dobbiamo incentrare le nostre riflessioni sul successivo art. 170: una norma che recepisce il contenuto dell’art. 20 prevedendo una sanzione a chiunque destina i beni culturali ad uso incompatibile con il loro carattere storico od artistico o pregiudizievole per la loro conservazione o integrità. Si sono recepite, come abbiamo accennato, le disposizioni dell’art. 20 punendo due serie di ipotesi (entrambe problematiche in fase applicativa): la prima riguarda gli usi “incompatibili col carattere storico artistico”, espressione talmente generica che risulta proibitivo per un giudice individuare concretamente l’offesa all’interesse culturale ai fini della punibilità (sul punto la Cassazione ha precisato come il reato riguardi aspetti legati al momento fruitivo del bene culturale sottolineando che “l’uso incompatibile deve necessariamente inerire ad una valutazione del bene che sia aliena dalla valutazione storico artistica dello stesso e deve sostanziarsi in una distorsione del godimento proprio del bene culturale che è quello di studio, ricerca, piacere estetico complessivo” – Cass. Sent. n. 14377 del 2005); la seconda serie di ipotesi di usi illeciti riguarda gli usi pregiudizievoli della conservazione o dell’integrità, focalizzandosi quindi sull’offesa all’oggetto materiale di interesse culturale. Questa norma prevede un cosiddetto reato di pericolo ossia si anticipa la tutela punendo la semplice esposizione del bene ad una situazione pericolosa che qui si configura con la destinazione, la preparazione o l’approntamento verso un utilizzo vietato che dovrà essere valutato di volta in volta dal giudice. Con riferimento alle arrampicate urbane su beni culturali, pur supponendo una loro compatibilità col carattere storico artistico, deve essere comunque valutata dal giudice nel caso concreto se quell’attività abbia posto il bene in una situazione pregiudizievole della sua conservazione o integrità.
È una norma problematica, di difficile e rara applicazione sebbene non manchino episodi valutabili sotto questa lente. Nella riforma sul trattamento sanzionatorio dei reati contro il patrimonio culturale attualmente all’esame della Camera (C. 839) l’art. 170 viene abrogato e con essa viene meno la possibilità di valutare e sanzionare l’arrampicata urbana, a meno che non si determini il più grave reato di danneggiamento. Una riforma che, sebbene nel suo complesso comporti un inasprimento significativo di tutte le pene e la creazione di nuovi reati, d’altro lato abbassa la soglia di tutela andando a (monitorare e a) punire non più la semplice destinazione ad un uso che ne possa compromettere la conservazione ma interessandosi solo a danno già avvenuto. Nella sua opinabilità è in ogni caso il quadro normativo in cui si andrà adoperare e bisogna trarne delle conclusioni: bisogna intensificare le attività preventive (non di carattere penale) anticipando alla valutazione di incompatibilità del giudizio penale da una precedente valutazione di compatibilità (di destinazione uso) da parte dell’organo amministrativo.
Arrampicata urbana e utilizzo autorizzato di beni culturali
Le difficoltà di inquadrare giuridicamente l’arrampicata urbana nelle sue relazioni con il patrimonio culturale e la mancanza di un riferimento normativo o regolamentare su cui fondare delle prassi operative, non fanno venir meno la necessità di un controllo preventivo da parte degli enti preposti alla tutela. Dal momento che si tratta anche di forme inedite di fruizione, e quindi inediti fattori di rischio antropico, questo controllo preventivo non può che avvenire tramite presentazione di progetto da sottoporre ad autorizzazione (come, per altro verso, indicato dall’art. 21, c. 5 del Codice dei Beni culturali e del Paesaggio a cui, in assenza di altri riferimenti, bisogna comunque guardare).
A questo punto è importante notare come i fattori di rischio antropico non sono limitati all’evento, ma si esprimono già nelle arrampicate di sondaggio dei percorsi di scalata su cui è evidente bisogna esercitare un controllo preventivo di compatibilità con le esigenze di tutela. Controllo che deve essere richiesto dagli organizzatori al Soprintendente, che deve avvenire suoi luoghi, in presenza del funzionario incaricato il quale durante la visita, di struttura in struttura, valuta e acconsente o meno verbalmente alle attività di sondaggio dei percorsi che vengono effettuate contestualmente. Alla fine è comunque necessario un formale atto di autorizzazione della Soprintendenza, con eventuali dinieghi parziali e prescrizioni d’uso, che si esprima su ogni percorso di scalata e che motivi eventuali dinieghi indicando, per ogni percorso di scalata, i rilievi da cui emergono incompatibilità con le esigenze di tutela. Questa autorizzazione è da considerarsi inoltre rilevante ai fini delle verifiche dell’autorità di pubblica sicurezza ai sensi dell’art. 80 del TULPS (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, R.D. 18 giugno 1931, n.773).
Arrampicata urbana ed eventi pubblici
L’organizzazione di eventi pubblici richiede la pianificazione, la progettazione e la verifica di parametri che fanno capo a numerosi ambiti normativi per quanto attiene alla salvaguardia dell’incolumità delle persone, la gestione delle emergenze e gli altri aspetti afferenti agli ambiti della sicurezza, e ciò rende eterogenee le informazioni di riferimento. Una meticolosa progettazione con una puntuale valutazione dei rischi consente di poter determinare ad hoc le misure di mitigazione più idonee per ogni singolo evento. In fase di progettazione si dovrebbe effettuare un’analisi in cui sia:
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Descritto con precisione l’evento: dati generali e modello organizzativo di riferimento;
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Specificate le caratteristiche dei partecipanti e modalità di coinvolgimento;
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Analizzato l’impatto urbano: aree e spazi (analisi del contesto);
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Stimato l’affollamento previsto;
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Valutato il flusso dinamico: varchi per l’esodo;
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Predisposti i servizi tecnico-logistici (strategie);
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Predisposto un Piano di emergenze con la presenza di una squadra di primo soccorso (anche volontaria);
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Predisposta un’adeguata assicurazione RCT;
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Assicurato che tutti i partecipanti alle attività siano coperti da assicurazione infortuni.
Con questa documentazione (esemplificativa e non esaustiva) si potrà poi richiedere formalmente l’autorizzazione dell’evento, ma poiché la partecipazione attiva degli intervenuti colloca l’arrampicata urbana nell’ambito delle manifestazioni temporanee di “intrattenimento”, l’organizzazione proponente dovrà disporre delle necessarie licenze per l’esercizio delle attività da svolgere pubblicamente ex artt. 68, 69 e 71 del TULPS nonché l’autorizzazione di agibilità o di idoneità dei luoghi ex art. 80 del TULPS.
In linea generale è utile sapere che la concessione del solo patrocinio non è sufficiente a dare il via all’evento, piuttosto rivela unicamente che l’Amministrazione patrocinante è a conoscenza dell’intenzione di procedere nell’organizzazione di tale iniziativa. Il patrocinio – vale la pena sottolinearlo – rappresenta solo una forma simbolica di adesione dell’Amministrazione pubblica a sostegno di una iniziativa ritenuta meritevole: per prassi la sua concessione non comporta l’assunzione di oneri economici e non dovrebbe essere legata al rilascio di ulteriori autorizzazioni come, ad esempio, l’occupazione di suolo pubblico che andrebbe sempre ottenuta ufficialmente interpellando gli Uffici competenti. Trattandosi di aree pubbliche, la domanda di occupazione del suolo per l’organizzazione di eventi e manifestazioni temporanee dovrebbe produrre una istruttoria valutativa al termine della quale l’Amministrazione rilascia un eventuale provvedimento e una collegata ordinanza esecutiva. Per ottenere il benestare autorizzativo, l’organizzatore di un evento pubblico dovrebbe mettere a disposizione degli uffici competenti il Progetto (o Relazione tecnica) dell’evento e un Documento di valutazione dei rischi ad esso collegato.
A seguito delle vicende di piazza San Carlo a Torino del 3 giugno 2017 (finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid) sono state emanate precise disposizioni in merito alla necessità di adottare adeguate misure di sicurezza: la Circolare del 7 giugno 2017 del Ministero degli Interni (la c.d. Circolare Gabrielli) inviata ai Prefetti e ai Questori e quella successiva del 19 giugno indirizzata ai Comandi dei Vigili del Fuoco. L’importanza di una pianificazione interdisciplinare è stata poi anche ribadita dalla Circolare 11001/110/(10) emanata dal Ministero degli Interni il 28 luglio 2017. Queste disposizioni riaffermano la necessità di adottare adeguate misure di sicurezza nell’organizzazione degli eventi finalizzate alla tutela della sicurezza dei partecipanti e della pubblica incolumità. Quanto accaduto a Torino ha indotto anche nell’opinione pubblica una riflessione su come eventi nati a scopo ludico possano degenerare rapidamente in situazioni drammatiche. Nella Circolare sono considerati i ruoli di tutti gli attori degli eventi compreso quello dei privati “organizzatori” che, ad esempio, dovranno “regolare e monitorare gli accessi”.
Tra le disposizioni a tutela della sicurezza e del decoro urbano rilevano anche i poteri statuiti con il DL n. 14 del 20 febbraio 2017 contenente “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”, poi convertito con modificazioni dalla Legge 48/2017, laddove vengono riconosciuti poteri di controllo del Sindaco sul divieto di occupazione di spazi regolati in cui insistono musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi della cultura interessati da consistenti flussi turistici, ovvero adibiti a verde pubblico.
Nell’eventualità di un incidente con danno per persone o cose, e nel conseguente accertamento delle responsabilità correlate, l’indagine dovrebbe poter verificare speditamente la procedura autorizzativa dell’evento e laddove dovessero emergere modalità irrituali, inconsuete, anomale o in eccezione alle procedure, determinare e perseguire quanti non abbiano correttamente predisposto il, o vigilato sul, corretto funzionamento organizzativo dei servizi indispensabili per l’esecuzione in sicurezza dell’evento.
Controllo successivo e illecita utilizzazione di bene culturale
Dopo che l’arrampicata urbana ha avuto luogo l’unico strumento che abbiamo a disposizione per “conoscerla” e giudicarla è quella del diritto penale. Tralasciando le ipotesi in cui si verifica un danno effettivo alle cose, perseguibili ai sensi dell’art. 635 del codice penale come danneggiamento, proviamo a vedere in che modo è perseguibile questo comportamento per il semplice fatto di averlo posto in essere, dal momento che le tecniche di tutela penale prevedono e puniscono non solo reati di evento, ma anche reati di pura condotta.
Ci soffermiamo quindi sulle previsioni del Codice dei Beni culturali e del paesaggio, partendo dall’art. 170 il quale disciplina l’uso illecito di beni culturali, uno strumento teso alla prevenzione del rischio da fattori antropici, come del resto il precedente art. 169 che punisce le opere illecite. In via di prima approssimazione potremmo pensare che l’arrampicata urbana possa rientrare tra le “opere di qualunque genere sui beni culturali” dell’art. 169, ma ragioni di coerenza con il resto della norma portano ad escludere tale interpretazione: l’art. 169 alla lettera a) parla di demolizione, rimozione, modifica, restaura e di opere di qualunque genere; alla lettera b) di distacco di affreschi, stemmi e graffiti; alla lettera c) di interventi urgenti per la conservazione. Non è quindi inquadrabile tra le opere illecite e dobbiamo incentrare le nostre riflessioni sul successivo art. 170: una norma che recepisce il contenuto dell’art. 20 prevedendo una sanzione a chiunque destina i beni culturali ad uso incompatibile con il loro carattere storico od artistico o pregiudizievole per la loro conservazione o integrità. Si sono recepite, come abbiamo accennato, le disposizioni dell’art. 20 punendo due serie di ipotesi (entrambe problematiche in fase applicativa): la prima riguarda gli usi “incompatibili col carattere storico artistico”, espressione talmente generica che risulta proibitivo per un giudice individuare concretamente l’offesa all’interesse culturale ai fini della punibilità (sul punto la Cassazione ha precisato come il reato riguardi aspetti legati al momento fruitivo del bene culturale sottolineando che “l’uso incompatibile deve necessariamente inerire ad una valutazione del bene che sia aliena dalla valutazione storico artistica dello stesso e deve sostanziarsi in una distorsione del godimento proprio del bene culturale che è quello di studio, ricerca, piacere estetico complessivo” – Cass. Sent. n.14377 del 2005); la seconda serie di ipotesi di usi illeciti riguarda gli “usi pregiudizievoli della conservazione o dell’integrità”, focalizzandosi quindi sull’offesa all’oggetto materiale di interesse culturale. Questa norma prevede un cosiddetto reato di pericolo ossia si anticipa la tutela punendo la semplice esposizione del bene ad una situazione pericolosa che qui si configura con la destinazione, la preparazione o l’approntamento verso un utilizzo vietato che dovrà essere valutato di volta in volta dal giudice. Con riferimento alle arrampicate urbane su beni culturali, pur supponendo una loro compatibilità col carattere storico artistico, deve essere comunque valutata dal giudice nel caso concreto se quell’attività abbia posto il bene in una situazione pregiudizievole della sua conservazione o integrità.
È una norma problematica, di difficile e rara applicazione sebbene non manchino episodi valutabili sotto questa lente. Nella riforma sul trattamento sanzionatorio dei reati contro il patrimonio culturale attualmente all’esame della Camera (C. 839) l’art. 170 viene abrogato e con essa viene meno la possibilità di valutare e sanzionare l’arrampicata urbana, a meno che non si determini il più grave reato di danneggiamento. Una riforma che, sebbene nel suo complesso comporti un inasprimento significativo di tutte le pene e la creazione di nuovi reati, d’altro lato abbassa la soglia di tutela andando a (monitorare e a) punire non più la semplice destinazione ad un uso che ne possa compromettere la conservazione ma interessandosi solo a danno già avvenuto. Nella sua opinabilità è in ogni caso il quadro normativo in cui si andrà a operare e bisogna trarne delle conclusioni: bisogna intensificare le attività preventive (non di carattere penale) anticipando alla valutazione di incompatibilità del giudizio penale da una precedente valutazione di compatibilità (di destinazione uso) da parte dell’organo amministrativo.
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Venerdì 11 gennaio 2019