Scegliere Napoli come location dell’evento non è stato casuale, come ha spiegato fin da subito Tiziana Maffei, Presidente ICOM Italia: da un lato viene ulteriormente sancita la collaborazione con il MANN e dall’altro si rende tributo ad Amedeo Maiuri, Soprintendente alle antichità di Napoli e socio fondatore dell’organizzazione in patria, che valutò la situazione dei musei archeologici e la loro riorganizzazione dopo gli sconvolgimenti post bellici, illustrandone i risultati nella Conferenza generale di ICOM nel 1953 in una relazione dal titolo “Sul rinnovamento dei musei archeologici”.
E oggi cosa bisogna fare affinché il museo diventi propulsore della tutela e della gestione sostenibile del territorio stesso, estendendo i suoi confini ai paesaggi circostanti, alle città e alle comunità, eredi del patrimonio culturale, così come auspicato dalla Convenzione di Faro?
Con l’obiettivo di delineare meglio il rapporto tra museo archeologico e il suo territorio di riferimento e di creare le condizioni per la redazione di punti chiave in un documento condiviso sugli obiettivi strategici nell’ambito della museologia archeologica, il convegno ha fatto sì che professionisti provenienti da ambiti diversi si confrontassero sul ruolo delle istituzioni e dei luoghi della cultura archeologica nella società contemporanea, con particolare attenzione all’Italia meridionale. Attraverso le relazioni di personalità quali Antonio Lampis, Alberto Garlandini, Daniele Manacorda, Giuliano Volpe, Aldo Accardi, solo per citarne alcuni, e tavoli di lavoro accuratamente programmati, si è cercato di far emergere proposte e prospettive su alcuni temi specifici quali ricerca e documentazione, comunicazione, salvaguardia e gestione sostenibile del patrimonio archeologico. Nonostante i 161 partecipanti appena il 19% ha scelto di partecipare a quello relativo alla Salvaguardia, preferendo di gran lunga Comunicazione (ben il 43% dei presenti) che oggi “va tanto di moda” in ambito culturale e su cui si concentra gran parte del dibattito pubblico!
Coordinata da Gaël de Guichen, Consigliere Speciale del Direttore Generale dell’ICCROM, la discussione al tavolo di lavoro sulla Salvaguardia era inizialmente incentrata sulle problematiche legate alla fisicità dei reperti e oggetti archeologici, agli spazi di scavo e di raccolta, ai sistemi espositivi, alle responsabilità istituzionali e dei singoli nonché ai modi e agli spazi di valorizzazione. Si è poi indirizzata su alcuni temi specifici a cui è stato dato ampio respiro, in primis al problema dei depositi di scavo, che spesso finiscono per coincidere con semplici magazzini a lunga giacenza, azzerando di fatto tutta la fase intermedia di studio e restauro. Da questo spazio, teoricamente sottoposto a sicurezza preventiva, a quello di deposito museale, che dovrebbe coinvolgere anche i pubblici, il passo è breve.
La sofferenza dei depositi di materiale archeologico è dovuta non solo al continuo ed esponenziale incremento di oggetti di vario tipo e natura provenienti dagli scavi, dal mercato, dal collezionismo privato e dai sequestri ma è anche alimentato dall’assenza di criteri selettivi nella raccolta, inventariazione e catalogazione e dalla condizione di emergenza in cui normalmente si opera. Questi aspetti potrebbero suonare banali rispetto ad altri di maggiore risonanza ma a quanto risulta da un’indagine ICCROM circa il 60% dei musei di tutto il mondo non riesce ad affrontare il problema e, al contrario, gli stessi devono migliorare una situazione che si è deteriorata nel tempo, nonostante molto sia stato scritto su come pianificare nuove aree di deposito partendo da zero. E pensare che il 90% delle collezioni museali è concentrata nei depositi… È emerso chiaramente dalla vivace discussione al tavolo che le problematiche patrimoniali e di responsabilità singola sono rese ancor più complesse dall’attuale frammentazione dei luoghi della conservazione, Soprintendenze territoriali per le fasi di scavo e deposito e Poli museali o Musei autonomi per i depositi museali. Ma tanti sono i quesiti ancora senza risposta.
Esiste un mappatura dei depositi di scavo? Se no, ne è in programma una stesura? Chi, tra Soprintendenze e Musei, ha la capacità di gestire queste enormi quantità di materiale in entrata e in uscita, dato che si auspica sempre il ritorno dei reperti al territorio di provenienza? Come si gestiscono i depositi che ospitano i numerosissimi oggetti recuperati dal TPC dei Carabinieri a seguito di attività investigative volte a contrastare il traffico illecito di opere d’arte? A chi va ridato il materiale sequestrato privo ormai di contesto? Con che criteri? Potrebbe essere una soluzione quella di prevedere la realizzazione di grandi depositi territoriali con laboratori annessi, diversificati per tipologia. E prevedere una scheda di inventariazione e catalogazione con voci semplificate, adattabile alle varie professionalità (archeologi, restauratori, storici dell’arte) così da evitare duplicazioni e sovrapposizioni inutili.
Sarebbe utile poi anche analizzare il caso dei beni archeologici sommersi e prevedere sia una specifica scheda RA che depositi adeguati alle particolari condizioni conservative di questa tipologia di reperti. Siamo ancora lontani dal trovare una linea organizzativa efficace ed efficiente se si pensa anche che i piani di emergenza e sicurezza previsti per legge spesso non tengono conto né dei musei, configurati sia come “luoghi di lavoro” che come “strutture aperte al pubblico”, né dei depositi.
Il già ricchissimo patrimonio archeologico è in continua crescita e produce a ritmo serrato nuova documentazione che si va ad aggiungere a quella già esistente, ma non siamo sicuri che il problema della salvaguardia della nostra eredità culturale si riduca solo ai depositi e alla catalogazione. Ristabilire e riformulare le priorità e le strategie di intervento, adottare una pianificazione strategica nazionale di concerto con tutti gli enti coinvolti, con criteri, metodologie e standard condivisi e una programmazione a breve e a lungo termine, soprattutto in questo particolare momento di riorganizzazione dell’intero sistema museale, potrebbe essere la strada giusta per tutelarlo, superando le barriere che si sono create nel corso del tempo tra mondi diversi ma integrati del servizio pubblico. Eventi come questo che mettono in condizione di creare nuove sinergie e collaborazioni tra le varie figure professionali potrebbero sbloccare l’impasse in cui si trova da tempo la museologia archeologica, e non solo quella.
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Diplomata in Scultura al Liceo Artistico Statale di Benevento, ha proseguito i suoi studi in Conservazione e restauro dei beni culturali presso l’Università degli Studi di Urbino conseguendo l’abilitazione come restauratrice. È specializzata in Arts Management e in Archeologia giudiziaria e crimini contro il Patrimonio Culturale. Co-founder dell’Associazione Art Crime Project, editore di The Journal of Cultural Heritage Crime. Membro del Direttivo Associazione Massimo Rao, è responsabile della Pinacoteca Massimo Rao. Vive e lavora a San Salvatore Telesino (BN).