I “Giocatori di carte” di Bartolomeo Manfredi rinascono dalla cenere
Il 26 maggio scorso nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, dopo un’accurata operazione di restauro, è stata mostrata al pubblico la tela di Barolomeo Manfredi “Giocatori di carte”. L’opera fu gravemente danneggiata dalla bomba, che nella notte tra il 26 ed il 27 maggio 1993 fece tremare Firenze e l’Italia, infliggendo un duro colpo al patrimonio artistico della Nazione
di Simona Candia
Le prime avvisaglie si erano già avute nell’autunno dell’anno precedente, quando fu rinvenuto un proiettile di artiglieria nel Giardino di Boboli a Firenze. Lo scopo era quello di creare paura, intimorire la popolazione, ma soprattutto mettere in allarme le Istituzioni. Dalle minacce si passò poi ai fatti: nella notte tra il 26 ed il 27 maggio 1993 all’1.04 una bomba posizionata all’interno di un furgone Fiat Fiorino esplose nel centro di Firenze, proprio davanti all’Accademia dei Georgofili. Ci si rese conto immediatamente del fatto che la deflagrazione aveva causato dei danni gravissimi. La prima, grande perdita era stata quella di cinque vite umane, la più giovane delle quali non aveva nemmeno due mesi di vita. Ma gravi, gravissimi, furono i danni al patrimonio culturale. Totalmente crollata la Torre de’ Pulci, sede dell’Accademia e fortemente danneggiato il Corridoio Vasariano, il percorso che collega Palazzo Vecchio con Palazzo Pitti, all’interno degli Uffizi. Ma c’era di più: nel corridoio erano custodite opere di inestimabile valore, molte delle quali (il 25% circa) avevano subito dei danni, più o meno gravi. Alcune di queste erano state date per irrimediabilmente perdute ed in particolare due opere di Bartolomeo Manfredi, “Il Concerto Musicale” e “I giocatori di carte”, insieme a “L’adorazione dei pastori” di Gerrit van Honthorst. Si pensava che queste opere fossero perse per sempre, ma era davvero così? Ritorneremo su questo più avanti. Nel frattempo, dopo la lunga notte di Firenze, trascorsa nel tentativo di fare il calcolo delle perdite in termini di vite umane e nella raccolta dei frammenti delle opere in mezzo ai vetri rotti e alle macerie, la scia di terrore proseguiva, cambiando scenario ma non obiettivo: nel mirino della criminalità organizzata c’era sempre l’immenso patrimonio culturale italiano. E così, nella notte tra il 27 e il 28 luglio del 1993 vennero fatti esplodere, sempre con lo stesso metodo, altri tre ordigni. Il primo alle 23.14 a Milano, in Via Palestro, davanti al Padiglione di Arte Contemporanea. Ancora cinque vittime, e ancora ingenti danni al Padiglione stesso e alla vicina Villa Reale. Ma quella lunga notte non era ancora finita. Poco dopo la mezzanotte, alle 00.08 e a quattro minuti di distanza, esplosero altre due autobombe, questa volta a Roma, colpendo la Basilica di San Giovanni in Laterano e la Chiesa di San Giorgio al Velabro.
La reazione a questa provocazione fu immediata: la macchina della giustizia si mise subito in moto per scovare i responsabili di queste azioni criminose e allo stesso modo ci si mise immediatamente all’opera per rimediare agli ingenti danni subiti dalle opere d’arte. Furono riaperti gli Uffizi ed il Corridoio Vasariano, con quel che restava delle opere. I frammenti di quelle considerate perdute furono chiusi in bustine e conservati nei depositi dei musei. Anche a Roma e Milano furono restaurati gli edifici e si ricostruì per quanto possibile con i materiali recuperati dopo l’esplosione.
In tutto questo rimanevano chiusi nei magazzini degli Uffizi i frammenti dei “Giocatori di carte” di Bartolomeo Manfredi, pittore caravaggesco della “prima ora”, che i dipendenti del museo con tanto impegno avevano raccolto per evitarne la definitiva perdita. Ma il destino di questo dipinto è cambiato nel 2017, quando il Corriere Fiorentino, Gallerie degli Uffizi e Ubi Banca hanno dato inizio ad una raccolta fondi con lo scopo di restaurare l’opera, affidando alla restauratrice Daniela Lippi il compito di ridarle vita. L’obiettivo di questo crowdfunding denominato “Cultura contro terrore” (nome eloquente, ma anche terribilmente attuale) è stato raggiunto ed anche superato grazie al contributo di tutti, fiorentini e non, storici dell’arte, semplici appassionati, amanti della cultura. Dopo aver quindi raccolto 26.527,50 € si è dato inizio all’impresa vera e propria, quella di restituire ai fiorentini il dipinto di Manfredi in occasione del 25° anniversario dell’attentato, il 27 maggio 2018 e di ricollocare l’opera nella sua posizione originaria. Il primo obiettivo è stato pienamente raggiunto: il 26 maggio 2018 alle ore 12 nella splendida cornice del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio è stata scoperta l’opera e mostrata alla cittadinanza dopo il completamento del restauro.
Certo, come dichiarato dalla storica dell’arte Maria Matilde Simari, «non si può parlare di restauro, ma di recupero». Del quadro erano stati raccolti 615 frammenti, di cui 500 sono stati riposizionati. L’opera presenta quindi numerose lacune che volutamente non sono state colmate, per lasciare a futura memoria il ricordo di quella tragica notte. Ma la scena è ancora visibile. Al centro campeggia una carta da gioco, posizionata su un tavolo non più visibile, mentre si tornano a riconoscere i volti dei giocatori. Una scena di vita quotidiana, di quelle che si potevano vedere quotidianamente nella Roma del Seicento. Il secondo obiettivo, quello di ricollocare l’opera nella sua posizione, sarà realizzabile quando i restauri in questa parte del Corridoio saranno terminati. Per il momento essa è stata resa fruibile in maniera temporanea, tra il 26 ed il 27 maggio, in concomitanza dell’anniversario del tragico evento.
Lo scopo di questa impresa è stato duplice: da una parte permettere di nuovo a tutto il mondo la fruizione di questa magnifica opera d’arte, ma dall’altra anche di mandare un chiaro messaggio di resistenza al terrore in tutte le sue forme. Che si tratti delle città italiane colpite da Cosa Nostra, dei Buddha di Bamyan distrutti dai Talebani o dell’attentato terroristico al Museo del Bardo a Tunisi, la risposta deve essere sempre la stessa: non permettere a nessuno di cancellare la cultura, fortissimo simbolo dell’identità di un popolo.
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