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Scavatori clandestini in azione

(Tempo di lettura: 7 minuti)

Tra queste regioni la Puglia è quella più segnata da tale fenomeno; in questo quadro di storica espoliazione del patrimonio archeologico pugliese, i centri indigeni messapici, peuceti e dauni, vengono a costituire un vero e proprio “sistema produttivo” funzionale al mercato (clandestino in Italia ma legale in altri paesi), una volta realizzata l’esportazione.

Ed è sulla Puglia, in questo caso particolare nel Tavoliere, che si sono svolte le mie attività.

La necessità di esaminare un’area così estesa nasce dalla carenza di dati omogenei e organizzati che riguardino i singoli scavi clandestini sul territorio regionale; inoltre proprio per le peculiarità del territorio pugliese e delle modalità del popolamento antico, le metodologie di approccio sono molteplici. La documentazione capillare di tipo bibliografico e d’archivio, le ricognizioni archeologiche, l’aggiornamento dei dati pregressi e l’inserimento di nuovi dati nel SIT (il Sistema Informativo Territoriale di proprietà del Laboratorio di Topografia antica e Fotogrammetria del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento), la consultazione, fotointerpretazione, georeferenziazione sistematica di foto aeree storiche e recenti e di immagini satellitari. In particolare, il lavoro di fotointerpretazione sistematica si basa su strisciate aeree storiche dell’ I.G.M. (1943), della R.A.F. (1947), sul volo base I.G.M. (1954-55), su fotogrammi più recenti di S.A.R.A. Nistri (’80), AeroTop S.r.l. (1988), I.A.S. S.r.l. (2002), su ortofoto ed infine su alcune immagini satellitari.

A tal fine, spesso, sono state prese in esame le notizie riguardanti scavi clandestini e varie tipologie di danni al patrimonio archeologico tratte sia dalla letteratura archeologica sia dalla revisione sistematica dei documenti, alcuni dei quali inediti, contenuti in archivi pubblici e privati (Archivi di Stato di Napoli, Roma, Lecce, Taranto, oltre agli Archivi di Soprintendenza Archeologica di Taranto e Lecce) con riproduzione e/o trascrizione dei documenti utili per l’attività in oggetto.

Le ricerche hanno portato al rinvenimento ed al posizionamento di oltre 1000 siti archeologici oggetto di scavi clandestini e danni, sia episodici che sistematici, posizionati e documentati, suddivisi per province, capoluoghi di provincia, comuni e frazioni. Alcuni dei siti in esame contengono poi un numero rilevantissimo di scavi clandestini o altri tipi di danno (nel caso di Arpi ad es. si raggiunge il numero di quasi 4000 tombe scavate), portando il numero totale degli interventi a parecchie migliaia; proiettando il dato rilevato per le situazioni non documentate o documentabili con gli strumenti a disposizione o i termini temporali della ricerca nel lungo periodo si può quantificare la perdita di patrimonio (e nello specifico anche il valore economico) in numeri impressionanti.

Il fenomeno degli scavi abusivi sistematici e del relativo commercio clandestino di oggetti d’antichità ha assunto dimensioni finora ancora poco conosciute; infatti nel corso degli ultimi decenni, in questo modo, sono andate perdute testimonianze storiche di valore inestimabile.

Il territorio dell’antico centro dauno di Arpi (pochi km a N-E di Foggia) per esempio, è tra quelli più indagati dagli scavatori abusivi. Quest’area del Tavoliere è sostanzialmente una pianura alluvionale solcata da numerosi corsi d’acqua, che hanno via via livellato la situazione morfologica con apporto di limi argillosi frammisti a sabbie e ghiaie. Lo strato alluvionale, a parte le erosioni agricole recenti presenta uno spessore dai 2 ai 4 metri. Si tratta di depositi attuali e recenti che presentano spessori ed estensioni maggiori lungo i corsi d’acqua a regime perenne (Ofanto, Fortore e Candelaro). Immediatamente al di sotto si presenta costantemente uno strato di natura calcarea tenera (“crusta”), il cui spessore può raggiungere anche gli otto o dieci metri. Le caratteristiche geomorfologiche hanno influenzato in maniera decisiva l’antropizzazione di questo habitat, fornendo un bacino ideale per le popolazioni indigene che si sono avvicendate fino all’avvento dei romani. Di conseguenza le strutture della città (abitazioni infrastrutture, luoghi di culto) si sviluppano nel terreno alluvionale con largo impiego di tecnica edilizia in mattoni crudi e ciottoli fluviali e limitato uso della pietra, non presente nell’area, che doveva essere trasportata dalle pendici del Gargano (in linea d’aria 25 Km circa); le sepolture si dispongono spesso a livello inferiore, nello strato di crusta con differenti tipologie (a grotticella a fossa, a camera, etc.), e diverso livello di monumentalizzazione e varietà di corredi.

La ricerca archeologica ad Arpi ha una sua storia e una sua traiettoria, notevolmente condizionata dalla fitta mappa della ricerca clandestina, portatrice di un’archeologia dell’emergenza, segnata dall’agenda di intere stagioni di illegalità. È noto purtroppo quanto la ricerca istituzionale costituisca ben poca cosa rispetto alla sistematicità degli scavi clandestini e quanto sia imponente l’impatto catastrofico delle attività illegali di ricerca e della dispersione del patrimonio archeologico.

L’individuazione di tombe di questo tipo hanno destato, tra gli anni ’70 e gli anni ’80 del secolo scorso, l’attenzione di vere e proprie organizzazioni di scavatori clandestini che hanno distrutto ettari di patrimonio archeologico nascosto e delle relative informazioni ad esso connesse.

Tra il 1997 e il 2000, su iniziativa del Direttore Generale Mario Serio e su indicazioni di una Commissione costituita presso il Ministero in merito al fenomeno degli scavi clandestini nell’area dell’antico centro di Arpi, fu creata una collaborazione tra ricercatori di Università  e CNR, funzionari ministeriali e delle Soprintendenze e l’ausilio operativo dei Carabinieri del TPC. L’attività di ricerca si concentrò su indagini sistematiche sul campo per il rilevamento dei dati, alle quali seguiva la produzione e l’elaborazione delle cartografie e la messa a punto dei sistemi informativi. Con la fotointerpretazione di tutti i voli esistenti e con la restituzione fotogrammetrica finalizzata, l’équipe di ricerca riuscì ad individuare, nella sola area arpana, circa 2000 tombe depredate, nonché distrutte, dagli scavi clandestini. Calcolando che mediamente nelle tombe di Arpi i corredi erano composti da almeno 20 oggetti (spesso anche molti di più), e quasi sempre di pregevole fattura, si può facilmente intuire che l’interesse economico dei beni trafugati, o distrutti, durante gli scavi abusivi raggiungeva livelli decisamente consistenti e preoccupanti.

Tuttavia, il lavoro sinergico di quegli anni ha apportato risultati fondamentali per la ricerca. La cartografia prodotta, con la relazione tra colture stagionali e zone a rischio, fu condivisa con il TPC di Roma e di Foggia e con il nucleo elicotteristi di Bari che, parallelamente ai numerosi voli effettuati dai ricercatori di Università e CNR finalizzati all’individuazione e alla messa a punto delle problematiche, agevolò le azioni di monitoraggio, prevenzione e repressione, riducendo, di fatto, il fenomeno degli scavi clandestini in quell’area.

Arpi. Scavi clandestini intercettati dall’elicottero dei Carabinieri TPC (Foto M.Guaitoli)

 

Ed è proprio nell’ottica della ricerca e del monitoraggio dei siti di interesse archeologico dell’area di Arpi (998 ettari) che circa tre anni fa mi sono imbattuto, in pieno giorno, in due scavatori clandestini all’opera.

Dopo aver ricevuto alcune segnalazioni in merito a sepolture depredate da scavatori clandestini, congiuntamente alla dott.ssa Patrizia Gentile dell’Università del Salento, mi recai nel territorio Dauno per accertarmi dell’accaduto e per monitorare le attività illecite di persona. Grazie all’ausilio delle coordinate gps riuscimmo ad individuare le aree interessate dal fenomeno e, con non poca meraviglia, ci ritrovammo nel giro di pochi minuti protagonisti di un lungo inseguimento tra Carabinieri e tombaroli.

Ma facciamo un passo indietro.

Appena giunti sul posto iniziammo a elaborare un piano di ricognizione che ci consentisse di coprire nel minor tempo possibile una vasta porzione di territorio; l’intenzione era dunque quella di dividerci e di ritrovarci in un punto di incontro. Ma nell’ispezionare visivamente l’area da indagare la mia attenzione fu attirata da due figure, dall’altra parte del campo arato, che sicuramente non erano dedite ad attività agricole.

Ciò che mi colpì principalmente erano i movimenti; uno dei due, quello più prestante, sembrava che conficcasse a fondo, nel terreno, un’asta mentre l’altro lo coadiuvava con qualcosa che poi scoprii essere una tanica d’acqua (in questi casi gli scavatori clandestini ammorbidiscono il terreno per poi perforarlo con i cosiddetti spilloni).

Eravamo di fronte ad un’attività preliminare di scavo clandestino, quella dell’individuazione delle sepolture. Da archeologi e da cittadini non potevamo restare inermi. Tramite dispositivi mobili comunicammo immediatamente ai Carabinieri ciò che stava accadendo, indicando con precisione la zona e le coordinate gps, cercando di non dare troppo nell’occhio e soprattutto di non avvicinarci al loro campo d’azione (in realtà la nostra presenza era del tutto ininfluente per le loro attività). 

Cercammo di fotografarli e riprenderli per documentare fin dove si spingessero questi criminali pur di raggiungere i loro obiettivi legati al furto e commercio di opere d’arte. (VIDEO) in poco meno di 15 minuti sopraggiunse una gazzella dei Carabinieri a cui ci avvicinammo per farci identificare e per indicare gli scavatori clandestini (ancora in azione nonostante l’intervento dei militari);  di fatto fu impossibile per quel mezzo poter raggiungere gli scavatori clandestini a causa del terreno arato da pochissimo e, dunque, pressocchè impraticabile con un mezzo comune. Fu contattata la centrale operativa e, nello specifico, il reparto Tutela Patrimonio Culturale.

L’intervento dei Carabinieri TPC

Nel giro di pochissimi minuti intervenne un mezzo fuoristrada in borghese con due militari, che da anni lavorano per attività di monitoraggio e repressione del fenomeno degli scavi clandestini. I criminali, percepito il pericolo, si diressero verso un vecchio mezzo parcheggiato nei pressi della servitù a loro più vicina e, abbandonando tutto i loro arnesi, cercarono di fuggire.

Il mezzo dei carabinieri sopraggiunse da un tratturo tra le vigne, non seguendo nessun tipo di viabilità esistente; gli scavatori clandestini fuggirono nel senso opposto, scomparendo tra la vegetazione, alzando solo un gran polverone e cercando di seminare i carabinieri.

Ci fu un lungo inseguimento, difficile e pericoloso, a cui assistemmo inermi negli immensi campi del territorio di Arpi. Dopo circa mezz’ora i carabinieri del TPC tornarono da noi. Non erano riusciti a intercettare i tombaroli.

Ci avvicinammo all’area in cui stavano lavorando: spilloni, taniche di acqua, buchi nel terreno ovunque e due tombe già depredate. Tutto ciò in pieno giorno e senza che nessuno si accorgesse di nulla (o forse connivente dell’accaduto).

Rimanemmo a lungo con i militari per recuperare tutto ciò che era stato utilizzato dai clandestini e per intercettare ogni eventuale altra tomba da loro individuata o, nella peggiore delle ipotesi, già depredata.

Quello che mi colpì maggiormente, oltre al gravissimo episodio in sé, fu l’altissima concentrazione di materiale in superficie, in parte dovuta alle intense attività agricole e dall’altra dalla presenza costante di scavatori clandestini all’opera. Materiale legato alla nostra storia, alle nostre radici e depredato, distrutto, cancellato per sempre da criminali senza scrupoli.

Le nostre attività di ricognizione, per ragioni di sicurezza, quel giorno si spostarono altrove, ma con la consapevolezza che da lì a poche ore, tombaroli, scavi clandestini e attività illecite sarebbero tornati.

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