Chi ha visto il tesoro di Calisto? Cronaca di un patrimonio ritrovato e poi “smarrito”
Calisto Tanzi, ex patron Parmalat ed ex Cavaliere del Lavoro, è “l’uomo che ballava sull’orlo di una voragine da quattordici miliardi di euro, il più grande scandalo finanziario che l’economia italiana ricordi”…
D’altra parte il circondarsi di tele importanti è una “debolezza” che nella storia ha accomunato mecenati e criminali, dittatori e filantropi: si soddisfa l’ego mutuando il prestigio dell’autore e si rafforza lo status drenando il valore dell’opera. Tuttavia da una passione nota alla consistenza reale della raccolta di Tanzi si è arrivati per caso, anzi per una epifania di serendipità… Procediamo con ordine.
Il crac Parmalat piomba sul Natale degli italiani nel 2003. Per 130mila risparmiatori, oltre agli azionisti, è un brusco risveglio e l’inizio di una lunga battaglia giudiziaria. Sigfrido Ranucci, all’epoca collaboratore di Milena Gabanelli e oggi direttore di Report, se ne occupa firmando l’inchiesta Buconero S.p.A. e mette insieme i pezzi, ricostruendo l’ascesa di Tanzi, dall’Olimpo imprenditoriale internazionale alle manovre per rimanerci quando le stelle già sono cadute. La puntata va in onda il 27 ottobre 2007. Due anni più tardi è la fortuna ad offrire un passaggio a Ranucci. Al Tribunale di Parma si stanno svolgendo le ultime udienze, che non hanno prodotto alcun elemento significativo. Il giornalista, diversamente dalle sue abitudini, decide di prendere un taxi per tornare in stazione ed è proprio su quel taxi che le sorti della giornata e dell’inchiesta cambiano: Ranucci scopre che il conducente è stato per dieci anni l’uomo di scorta di Tanzi. Questi gli confida che, poco prima del default Parmalt, i quadri di Tanzi sono stati staccati dalle pareti e caricati su dei furgoni. Grazie alla testimonianza, in pochi giorni, Ranucci e la redazione di Report ricostruiscono il percorso e scoprono che le tele, portate inizialmente a Chiasso per depistare le indagini, non hanno mai varcato il confine. Anzi, sono tornati indietro. La Procura di Parma avvia le indagini e dispone le intercettazioni che consentono di localizzare la soffitta dove sono nascosti i Ligabue, i Manet, i Monet e gli altri. Ranucci confeziona Il Cavaliere del Lavoro e il servizio viene trasmesso il 29 novembre 2009 quando su Tanzi già gravano una condanna di primo grado a 10 anni di reclusione, rimediata a Milano per aggiotaggio, e 3 anni comminati in altri procedimenti conclusi con altrettanti patteggiamenti indultati. Alle telecamere di Report il bodyguard-tassista descrive le operazioni di occultamento: prima tocca alle cassette di sicurezza contenenti gioielli e preziosi, poi al caveau ed infine alle pareti. Dei quadri restano le ombre. Anonimi furgoni bianchi, di medie dimensioni, prendono la via della Svizzera e se ne perdono le tracce.
Simona Tosini Pizzetti, direttrice artistica della Fondazione Magnani di Parma per oltre un ventennio, conferma a Ranucci di aver notato diverse opere in casa Tanzi. L’occasione per un sopralluogo si era presentata nel 1998, durante le fasi preliminari dell’organizzazione di una mostra, per esaminare una tela di De Nittis. La storica dell’arte ricorda in particolare un nucleo di Impressionisti, dove spiccavano una variante della Scogliera di Pourville di Monet (valutabile in 10 milioni di euro), un Manet e un Van Gogh. L’indomani dalla messa in onda, Luca Ponzi, giornalista di Rai 3, attende Tanzi in tribunale e, sulla via dell’aula, gli chiede conto dei quadri. L’imprenditore nega. Ranucci continua a seguire la pista ed entra in contatto con il curatore di una mostra realizzata a Treviso in cui nel 1998 erano stati esposti alcuni dipinti dell’ex Cavaliere: questi conferma l’esistenza di un Monet non perfettamente conservato, restaurato (a spese dell’organizzazione) e restituito a Tanzi. In redazione arriva una telefonata, una soffiata sulla presunta, poi confermata dalla Procura, trattativa in corso per la vendita dei quadri. Report fa saltare l’operazione. Il 5 dicembre 2009, dopo 48 ore di appostamenti, la Guardia di Finanza di Bologna, coordinata dalla Procura di Parma, recupera 19 quadri: le tele – di cui facevano parte Van Gogh, Monet e Manet – erano nascoste nelle cantine e nelle soffitte degli appartamenti di Stefano Strini, genero di Tanzi, e di alcuni suoi amici. Il valore è di 100 milioni di euro. Il giorno successivo, Paolo Dal Bosco, fiduciario di Tanzi a cui per una decina di anni ha consigliato gli acquisti, ridimensiona la stima abbassandola a 5 milioni. Nel frattempo l’ombra di “uomo del Vaticano” o quella di un magnate russo si allunga sui quadri ritrovati e appare interessate all’acquisto. Vittorio Sgarbi, intervistato dal Sole 24 Ore, ammette di conoscere la collezione dell’imprenditore di Collecchio e dà – letteralmente – i numeri: 22-24 milioni per Il tronco d’albero di Van Gogh, 7-8 milioni per una natura morta di Picasso, 30-40 milioni per quella ad olio di Van Gogh, 6-9 milioni per la Scogliera di Pourville di Monet, 3-400mila per una ballerina di Degas, 4-550mila per l’autoritratto di Ligabue, 1,5-2,5 milioni per l’acquerello su carta di Cezanne. Sulla scena irrompe Paolo Cerati – esperto di fama internazionale – che nel gergo tecnico degli addetti ai lavori, sentenzia:
«La scogliera di Pourville di Monet, valutata 10 milioni di euro e in procinto di essere venduta a un ignaro compratore russo a Forte dei Marmi, è in realtà una macchia di vomito, probabilmente dipinta da un parente di Monet, forse il cugino Franco. Il tronco di Van Gogh si commenta da solo: anche un bambino delle elementari si renderebbe conto della ridicolaggine dell’opera. Che dire poi del disegno di Degas, che senza volerle far torto, sembra mia zia Vilma che ha lavorato per trentacinque anni in fabbrica e non ha certamente la delicatezza dell’étoile. E via di seguito. Il Ligabue, dipinto da un suo vicino di casa, di sicuro carrozziere».
Sgarbi, raggiunto nuovamente al telefono da Lucia Tironi di Radio Capital, rivede le sue stime (…), mentre il giudizio Sylvain Pons non ammette appello:
«Un approccio all’opera d’arte, quello di Calisto Tanzi, che nella sua distratta approssimazione è indicativo di come valori quali il gusto, il decoro e il senso del bello siano per lui, ma in generale per un’ampia fascia di pubblico che affolla le mostre-evento, lontani anni luce dalle esigenze di una contemporaneità che al ritmo lento della riflessione antepone la velocità della comunicazione dei social-network».
Nel frattempo sono in corso nuove perquisizioni e Calisto Tanzi il 10 dicembre 2009 non si presenta in udienza: la notturna battuta di caccia – condotta dall’Arma dei Carabinieri e dalla Guardia di Finanza nella villa di Alberi di Vigatto, nell’abitazione del genero e in quella di Paolo Dal Bosco – porta al recupero di 16 dipinti tra cui due Boccioni, un Segantini, un Kandinsky e uno Chagall, 5 sculture, un’anfora di epoca romana e 26 tele di autori minori. Anita Chiesi, moglie dell’ex patron Parmalat, la figlia Francesca, il mediatore versiliese che avrebbe dovuto concludere la trattativa di vendita e il consulente roveretano Dal Bosco vengono iscritti nel registro delle notizie di reato.
Il 14 dicembre 2009 le parti civili del processo in corso a Parma chiedono il sequestro conservativo dei beni: le opere d’arte sarebbero riconducibili al patrimonio di Parmalat, secondo una lettera di Dal Bosco del 7 aprile 2004. Il documento avrebbe dovuto giustificare dei versamenti provenienti dalla Parmalat in favore della società a cui Dal Bosco faceva capo. Francesca Tanzi “aveva ottenuto come pena alternativa alla detenzione l’affidamento in prova ai servizi sociali – un beneficio che le era stato concesso dopo 10 mesi di discussione perché aveva dimostrato, oltre allo spirito collaborativo, il fatto di essere nullatenente”, dopo il rinvenimento delle opere nella sua abitazione, trascorre il Natale in carcere. È febbraio 2010 quando la Procura di Parma formula per Tanzi una nuova contestazione di reato: “Avrebbe acquistato opere d’arte e dipinti utilizzando danaro della Parmalat, ma non facendo rientrare questi beni nel patrimonio aziendale”. Al mattino del 17 febbraio 2010 Stefano Strini, genero dell’ex Cavaliere, si presenta in Procura con un Maigritte, due Matisse, due Toulouse-Lautrec, un Signac, un Sorbi e una incisione di Rembrandt sotto il braccio.
Dicembre 2010. Il Tribunale di Parma condanna Calisto Tanzi, per il secondo ramo d’inchiesta, a 18 anni di reclusione per bancarotta fraudolenta.
Il 3 febbraio 2011 la Guardia di Finanza di Bologna sequestra nella villa-abitazione di Tanzi altri 83 oggetti: opere d’arte, tra cui una statua di de Chirico, e pezzi d’antiquariato. La notizia, diffusa da Tele Santerno, dice che:
“L’azione, compiuta questa mattina, rientra nell’ambito della maxi operazione condotta dalla magistratura e dai Carabinieri del Nucleo Patrimonio Artistico che aveva già portato al sequestro di un centinaio di quadri, per un valore complessivo di trenta milioni. La procura emiliana era già a conoscenza dei beni tolti oggi all’imprenditore che erano stati catalogati in precedenza. Sinora, però, non si era trovata una collocazione adatta per la loro custodia”.
Il primo aprile 2011 la Suprema Corte di Cassazione accoglie il ricorso proposto da Anita Chiesi contro l’ordinanza di sequestro conservativo di tre opere e due quadri di Balla con un dipinto di Goliardo Padova rientrano nelle sue disponibilità.
Il 6 giugno 2011 la Procura di Parma annuncia in conferenza stampa la chiusura dell’inchiesta sul “tesoro di Tanzi”. Il Procuratore Laguardia esprime soddisfazione per l’ottimo risultato raggiunto in collaborazione con i Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale e della Guardia di Finanza e comunica che l’ammontare dei beni sequestrati è stimato dagli esperti in 28 milioni, «anche se la valutazione è da ritenersi estremamente prudenziale». I capi d’imputazione sono concorso in bancarotta per Calisto Tanzi e la moglie Anita Chiesi, per i galleristi trentini Paolo Dal Bosco e Giovanna Dellana; ricettazione per Stefano Strini, genero di Tanzi, Dal Bosco e Dellana. Gli imputati – tutti tranne l’ex Cavaliere – patteggiano e le condanne sono di 20 mesi per Strini, 1 anno e mezzo per Chiesi e per i commercianti d’arte: pene sospese a tutti. È il 22 novembre 2011.
Il 29 luglio 2012 Paolo Dal Bosco si racconta dalle colonne del Giornale:
Che cos’è l’arte?
«L’appagamento del possesso. Avere qualcosa che un altro non ha. Un sentimento egoistico, ma anche molto umano».
Quindi lei è un grandissimo egoista.
«Sì. Ma ho espiato costruendo a Watamu, in Kenya, una scuola per 90 alunni».
E perché l’ha fatto?
«La prima volta che mi trovai laggiù in vacanza, dieci anni fa, chiesi al cameriere: hai bambini? Sì, mi rispose. E vanno a scuola? No. Come mai? Non c’è la scuola. Lei che cos’avrebbe fatto al posto mio?».
Nel mentre il processo a carico di Calisto Tanzi, per concorso in bancarotta per distrazione “va avanti”: il 4 ottobre 2012 la Corte rinvia tutto al 28 marzo 2013 e il 27 marzo 2014 si arriva a sentenza con un patteggiamento a 4 mesi. Che, sommati al “mucchio”, dovrebbero traghettare Tanzi fino al 22 settembre 2035.
E le opere d’arte? Il Tribunale ne ha disposto una vendita all’asta pubblica, a parziale risarcimento dei creditori Parmalat. Di quel tesoro unitario restano la cronaca, le stime e un dubbio: smembrarne la collezione e vendere le tele era l’unica soluzione?
Rassegna fotografia da laRepubblica.it
Rassegna fotografica da Ansa.it
Dopo la laurea a Trento in Scienze dei Beni Culturali, in ambito storico-artistico, ho “deragliato” conseguendo a Milano un Perfezionamento in Scenari internazionali della criminalità organizzata, un Master in Analisi, Prevenzione e Contrasto della criminalità organizzata e della corruzione a Pisa e un Perfezionamento in Arte e diritto di nuovo a Milano. Ho frequentato un Master in scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Colleziono e recensisco libri, organizzo scampagnate e viaggi a caccia di bellezza e incuria.