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Quando si parla di patrimonio culturale, bisogna partire dal fondamentale presupposto che si tratta di un concetto la cui significatività rileva in una pluralità di discipline differenti quali, tra le altre, il diritto, l’economia, la sociologia, la filosofia. Conseguentemente, ciascuno Stato, nel promuovere un valido programma di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, deve opportunamente tenere conto delle riflessioni addotte dalle suddette scienze.

In questa sede, nello specifico, analizzeremo sommariamente gli aspetti della tutela del patrimonio culturale avvalendoci di una prospettiva giuridica; in ciò, si vogliono evidenziare le criticità alle quali l’attuale normativa in vigore può dare adito.

Nel valutare l’incisività della tutela penale del patrimonio culturale, si evidenzia l’esigenza di rafforzarne il grado di intensità, per far sì che essa operi di pari passo con la tutela di carattere amministrativo, che risulta, in questo frangente, largamente dominante. Si sa bene che quando si parla di tutela penale non si può prescindere dal riferimento al principio di necessaria offensività e «L’offensività senza il bene giuridico è inconcepibile già lessicalmente»[1]. Ciò ha posto delle evidenti problematicità, data la complessità di concepire, attraverso una ragionamento classificatorio, una rigorosa definizione del bene culturale, tale da consentire una protezione penalmente idonea. Di conseguenza, è emersa l’esigenza di valutare le diverse fattispecie di reato al fine di comprendere in che modo la significatività del bene culturale possa fungere da criterio in virtù del quale adottare misure ad hoc.

La tutela penale del patrimonio culturale è principalmente dettata dalle norme ricondotte nel Codice dei beni culturali e del paesaggio e nel Codice penale. Dalla loro analisi emerge la sostanziale mancanza di una disciplina organica ed omogenea. Il primo, sebbene abbia di fatto rivoluzionato il panorama normativo in materia, non ha condotto ad una innovazione significativa sul versante delle sanzioni penali. Generalmente, infatti, queste ultime finiscono con l’essere applicate solo laddove rilevi la violazione delle prescrizioni amministrative. In questo modo la tutela penale rimane rilegata in uno spazio di inferiorità che ne riduce notevolmente l’operatività. Per quel che concerne, invece, il codice penale, lacuna significativa è certamente rappresentata dalla mancanza di un corpo di norme volte esclusivamente a tutelare il patrimonio culturale. Ciò comporta, talvolta, il dover ricorrere ad una forzatura delle norme già presenti: di fatto, in questo modo, l’identità culturalmente rilevante del bene non risulta essere avvalorata, in quanto la normativa non è modellata sulle note che rendono il bene culturale un’identità di per sé unica e differente da qualsiasi altro bene. Si può prendere in considerazione il c.d. furto di opere d’arte, che rileva unicamente quale aggravante del reato di furto. Ulteriori norme di fatto sviliscono la preziosità propria dei beni culturali, nel momento in cui non ne favoriscono il contatto con la realtà. Ci si riferisce, in particolar modo, agli articoli 733 e 734 del codice penale, che, in tema di Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale e Distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto, prevedono una tutela irrisoria ed al limite del grottesco che urgentemente deve essere oggetto di revisione.

Garantire una quanto più efficace tutela del patrimonio culturale, è fondamentale predisporre una serie di strumenti tecnologicamente sofisticati e all’avanguardia, dei quali gli operatori chiamati a contrastare i reati in materia possano consapevolmente avvalersi. Da un punto di vista informatico, accanto alla Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti, che rappresenta già un brillante risultato, frutto dell’ingegno del Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, la normativa dovrebbe schierarsi a favore della realizzazione di siti-civetta, con i quali monitorare il commercio on-line dei beni culturali. Come ha avuto modo di evidenziare il Comandante del suddetto Corpo, Fabrizio Parrulli, «Internet è sempre più utilizzato per commercializzare illegalmente i beni culturali».

Ciò che pregiudica in modo significativo una tutela effettiva del patrimonio culturale è il mancato valore che invece, in sede processuale, dovrebbe essere garantito alle intercettazioni telefoniche. Nonostante la dottrina abbia più volte rilevato come quest’ultimo strumento favorirebbe ampiamente l’attività degli operatori impegnati nella lotta ai crimini contro il patrimonio culturale, la normativa attuale non ha ancora fatto propria questa logica, che merita di essere acquisita e sapientemente valorizzata.

Notevoli criticità sono poi dettate dalla presenza dei porti franchi. Uno dei motivi per i quali un significativo numero di beni culturali circola nel territorio dei porti franchi è dato dal fatto che in essi risultano essere abbattuti numerosi oneri tributari quali sono, ad esempio, i dazi; questi rilevano solo per l’acquirente finale nel momento in cui il bene acquisto varcherà i confini del Paese di destinazione. Inoltre, per tutte le operazioni che avvengono in tale ambito è garantito il carattere di segretezza. Tra le sue prerogative, poi, vi è quella di assicurare la conservazione dei beni culturali: sono previsti servizi quali l’autenticazione ed il restauro. «Il porto franco è quindi uno strumento fondamentale nel processo di dematerializzazione del mercato dell’arte e si trasforma anche in luogo di ‘sequestro’ dei beni che giuridicamente è incontestabile sia nei confronti di chi agisce nel mercato stesso, ma anche nei confronti delle autorità finanziarie»[2]. Si comprende, dunque, come spregiudicati collezionisti e trafficanti possano avvalersi dei benefici offerti dai porti franchi e procedere indisturbati nei loro commerci illeciti.

Per tutelare in modo efficace i beni culturali, nel momento in cui si saggiano dinamiche rilevanti sia nella sfera nazionale che sovranazionale, è fondamentale partire dalla constatazione che l’armonizzazione delle legislazioni a livello comunitario, concretizzandosi nella previsione di fattispecie specifiche volte a sanzionare i reati contro il patrimonio culturale, supererebbe le varie divergenze degli ordinamenti interni e giungerebbe così a favorire un clima di pacifica e forte collaborazione tra autorità giudiziarie e forze dell’ordine.

Le note nel testo fanno riferimento ai seguenti articoli:

[1] M. DONINI, Il principio di offensività. Dalla penalistica italiana ai programmi europei, in Diritto penale contemporaneo, 2013, n. 4, 8.

[2] S. ANGELUCCI, Il mercato dell’arte: i porti franchi, in Cultural Heritage Crime, 6 dicembre 2017

 

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