Furti d’autore: il rapimento di Monna Lisa

Cenare ogni sera accarezzato dallo sguardo di una bella donna, senza età e dal sorriso enigmatico: chissà quali sensazioni straordinarie provò Vincenzo Peruggia, meglio noto come l’uomo che rubò la Gioconda. Il decoratore italiano ebbe il privilegio di “ospitare” sotto il suo tetto per circa due anni la nota dama ritratta da Leonardo

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«Marciranno le tegole del tetto, ma il mio nome rimarrà scolpito nei secoli» (Vincenzo Peruggia, 1881 – 1925).

Nelle parole che il Peruggia rivolse alla moglie durante una visita al Louvre, diversi anni dopo il famoso furto, traspare quella volontà di rivincita, di patriottismo e di gloria personale di chi riconosce ancora e con fierezza il gesto compiuto nel 1911.

Sulle motivazioni che spinsero il noto decoratore italiano, emigrato in Francia in cerca di lavoro nel 1907, si è discusso lungamente: oltre al presunto furto su commissione per il Marchese di Valfierno (personaggio dalle origini misteriose, di cui si hanno notizie solo in un articolo di Karl Decker del 1932, sul Saturday Evening Post, che diventa per noi l’unica fonte sulla sua esistenza), un’altra motivazione forse è da ricercare nel complotto internazionale collegato alla Crisi di Agadir oppure all’atto di rivalsa verso quei francesi che sbeffeggiavano il Peruggia chiamandolo mangia-maccheroni. Tutto si è detto, ma la tesi più accreditata si legge nella dichiarazione che il protagonista rilasciò al periodico “Excelsior”:

«Ho rubato la Gioconda perché avevo notato, a parecchie riprese, che il Louvre possedeva numerosi capolavori italiani portati via dall’Italia da Napoleone e mi ero proposto di restituirne qualcuno al mio paese natale. Ho rubato la Gioconda: sono simile a Napoleone, ora».

Alla base del furto, quindi, ci sarebbe un grande malinteso: difatti, rispetto a molte altre opere presenti nel noto museo francese, la Gioconda non fece mai parte del bottino di Napoleone, sebbene per un certo periodo fosse collocata nella camera da letto dell’imperatore. Il dipinto, dopo essere stato acquistato assieme a “La Vergine delle Rocce” e ad altre opere dello stesso autore intorno al 1516 da Francesco I di Francia (1494-1547), faceva parte delle collezioni reali francesi già dal 1625.

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Vincenzo Peruggia (1881 – 1925)

Il rapimento di Monna Lisa avvenne il 21 agosto 1911, fra le 7 e le 8 del mattino. Era un lunedì, giornata di chiusura del Louvre. E nonostante la chiusura il museo francese non era completamente deserto, in quanto restava accessibile agli artisti e agli operai autorizzati. Peruggia rientrava in quest’ultima categoria: indossando il suo blouson, quella mattina si aggirò indisturbato  nei locali del museo, diretto verso il Salon Carré che ospitava, fra un Correggio e un Giorgione, uno degli esempi più celebri di ritrattistica cinquecentesca: la Gioconda di Leonardo da Vinci. 

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La Gioconda, Leonardo da Vinci, olio su tavola di pioppo, 1503-1504, 77 x 53 cm, Museo del Louvre, Parigi

Non visto, il Peruggia staccò il quadro dalla parete e, avvolgendolo nel suo blouson, abbandonò la sala. Successivamente si liberò anche della cornice e del vetro di protezione e, dopo aver sbagliato autobus e aver percorso un tratto di strada in taxi, raggiunse la sua abitazione in Rue de l’Hôpital Saint-Louis. Nascosta la Gioconda nel suo appartamento, il decoratore cominciò a creare il suo alibi: verso le nove del mattino uscì dal palazzo facendosi notare dalla portinaia, la quale, impicciona e curiosa, gli chiese il motivo del suo ritardo in una giornata lavorativa. Alla domanda Peruggia rispose con astuzia, alludendo di soffrire ancora dei postumi della sbornia della sera precedente. 

È proprio intorno alle 9 che cominciò a essere notata l’assenza del quadro. Due artisti, il pittore Louis Béroud e l’incisore Frédéric Laguillermie, autorizzati quel giorno a visionare e ritrarre il quadro, alla vista del muro privo dell’opera supposero che fosse stata portata via per un servizio fotografico, come spesso capitava. Intorno alle 11, dopo una serie di domande al personale e ricerche varie, scattò l’allarme: la Gioconda era stata rubata! Il ritrovamento della cornice e del vetro di protezione confermarono quello che inizialmente era solo un sospetto e che determinò poi l’avvio di tutte le operazioni volte all’individuazione della tela. Vennero interrogate oltre 250 persone facenti parte del personale autorizzato dal museo e la gendarmeria condusse ispezioni a tappeto. Per ironia della sorte, il controllo interessò anche l’appartamento del decoratore italiano, ma il quadro rimase celato alla vista dei gendarmi.

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La parete del Salon Carré priva del quadro di Monna Lisa

Per giustificare il continuo via vai di personalità importanti e polizia durante un giorno di chiusura, venne diramata la notizia di un guasto alle tubature del museo. La verità venne annunciata solo il giorno dopo, martedì 22 agosto. Da quel momento in poi, la notorietà del quadrocrebbe a livelli esponenziali. È proprio in quegli anni che nacque il mito della donna dal sorriso enigmatico: la sua scomparsa la rese ancor più desiderabile e corteggiata, al punto da renderla una delle opere più famose al mondo.

La caccia al ladro divenne frenetica. Vennero arrestati e interrogati anche personaggi illustri dell’epoca, come Guillaume Apollinaire. Difatti, un suo ex segretario, Honoré Géri Pieret, si autodenunciò dichiarando di avere rubato presso il Louvre delle statuette fenicie, ancora non inventariate. Il suddetto corpo del reato venne ritrovato a casa dello scrittore, il quale fu arrestato ed interrogato per 10 giorni. L’indagine condusse inoltre all’interrogatorio di un celebre pittore, Pablo Picasso, il quale dichiarò di aver visionato le statuette (che pare abbiano ispirato l’artista durante la realizzazione dell’opera “Les demoiseilles d’Avignon”), ma di non essere a conoscenza della loro illecita provenienza. Rimase immortale la frase pronunciata dal pittore dopo il suo scagionamento: «Amici, vado al Louvre, serve qualcosa?».

Intanto il tempo passava e della Gioconda non si ebbero più notizie almeno fino all’autunno del 1913. Alfredo Geri, collezionista d’arte di Firenze, decise di realizzare una mostra con opere provenienti da collezioni private e per dar vita al suo progetto pubblicò un annuncio sul giornale. Tempo dopo ricevette una lettera proveniente da Parigi, firmata da Monsieur Léonard Vincent. Le richieste del francese sembravano alquanto singolari. Infatti, egli era intenzionato a restituire un’importante opera di provenienza italiana, ma a patto che venissero rispettate due condizioni:  il quadro doveva essere consegnato al Museo degli Uffizi di Firenze e gli doveva essere corrisposta una cifra in denaro pari a mezzo milione di lire. La particolare situazione incuriosì il collezionista che tempestivamente fissò un incontro in un albergo fiorentino col francese per il 21 dicembre 1913 (precisamente 2 anni e 4 mesi dopo il furto della Gioconda). All’appuntamento prese parte anche Giovanni Poggi, allora direttore della Galleria degli Uffizi, il quale riconobbe immediatamente la Gioconda e, facendo credere al Peruggia di essere interessato all’acquisto, riescì a farsela lasciare in consegna per poterla esaminare con calma. Solo la mattina dopo il decoratore comprese l’errore commesso: a svegliarlo nel suo albergo fu la polizia, accorsa ad arrestarlo. 

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La Gioconda ritrovata

Peruggia affrontò il suo processo mentre l’opera, grazie ad accordi con la Francia, rimase lungamente in Italia, ospitata da diversi musei italiani  come la Galleria degli Uffizi di Firenze, Palazzo Farnese e Galleria Borghese di Roma, prima di tornare a casa. La condanna per furto aggravato, indetta dal Tribunale di Firenze il 5 giugno del 1914, fu di un anno e 15 giorni di galera; tuttavia, il decoratore sconterà solo 7 mesi e 8 giorni per la riduzione della pena stabilita in appello il 29 luglio dello stesso anno.  

Per ovvie ragioni, rispetto al 1911 la situazione oggi è decisamente cambiata: ora la bella Monna Lisa sorride enigmatica dietro al suo vetro di cristallo, protetta da una struttura in acciaio inaccessibile e ipertecnologica. Colui che la rese famosa visse assai poco, avvolto dall’infamia che lo costrinse a far nascere la sua unica figlia in Italia. Il sindaco di Dumenza, città natale del decoratore, sostenne sempre che «un furto è un furto» e a nulla valsero le richieste della cittadinanza e dei familiari per far sì che una delle strade del paese fosse intitolata al tristemente noto concittadino. Viceversa, la Gioconda ha cavalcato e continua a cavalcare l’onda del successo derivatole da questa vicenda: film, libri e serie tv continuano a ricordare, più o meno fedelmente, il sequestro di Monna Lisa.

E tuttavia, un altro dubbio continua a tormentare gli esperti del settore che, osservando quel sorriso sornione, si domandano se si tratti dell’originale leonardesco o di un fedelissimo falso realizzato dallo stesso Peruggia…

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