Argomento spinoso e ancora relativamente poco discusso, le procedure che permettono di “restituire“ al pubblico una collezione privata non sono purtroppo definite come un insieme uniforme. Tale disomogeneità di dinamiche acuisce i problemi che emergono già regolarmente quando un cittadino decide di donare a un museo, a una fondazione o a un comune, un proprio bene culturale, se non addirittura un’intera collezione. Sussistono infatti problematiche di tipo giuridico-fiscale e di carattere pratico per la conservazione e la valorizzazione del nuovo patrimonio acquisito. Punto di partenza è spesso ovviamente il riconoscimento e la conseguente dichiarazione di eccezionale interesse culturale di una collezione, status che ne stabilisce permessi e divieti nella gestione.
Le collezioni padovane Marchetti, Merlin e Casuccio rappresentano dei casi felici di donazione privata. Infatti, dopo i vari passaggi burocratici tra Soprintendenza e istituzioni comunali, esse sono state riconosciute proprietà dell’Università di Padova e del Comune di Padova, andando così a costituire i nuclei del Museo universitario di Scienze Archeologiche e della sezione archeologica del Museo Civico degli Eremitani. Queste raccolte di antichità, lasciate al pubblico per volontà testamentaria di tre grandi collezionisti, hanno trovato nelle rispettive sedi finali gli spazi adeguati alla loro conservazione e alla loro, sebbene non sempre ottimale, esposizione.
Purtroppo, però, ciò non è affatto scontato. Mancando criteri omogenei, o un protocollo unitario da seguire per stabilire e formalizzare l’acquisizione dei beni privati, musei e fondazioni si trovano spesso a dover accogliere collezioni che vengono donate dai proprietari ormai defunti. Capita quindi che proprio il testamento fissi dei vincoli molto stretti per la musealizzazione della donazione, risultando a volte persino controproducenti per la stessa.
Uno dei primi elementi da prendere in considerazione nel momento in cui viene proposta una donazione è dunque la capacità di conservazione e custodia del bene donato da parte dell’ente che ne diverrà possessore. Accanto a ciò è fondamentale garantire che ogni nuova acquisizione possa essere fotografata e catalogata permettendone la trasmissione della memoria anche in assenza del dato materiale. Non va infine sottovalutata la valorizzazione e la fruizione del bene acquisito, dal momento che esso viene donato appunto per essere messo a disposizione del pubblico. La sede espositiva deve perciò essere in grado di gestire le acquisizioni rendendole visibili e apprezzabili. Le nuove collezioni non devono però inficiare quelle già allestite, al contrario, il museo deve poter mantenere la propria impronta e coerenza interna.
Un esempio lodevole di buona pratica nell’oculata gestione e nelle innovative acquisizioni è offerto dal Museo Civico di Bassano, che sta rivoluzionando la fruizione della storica collezione di Antonio Canova. Caso eccezionale è invece quello della donazione di Geremia Nonini: grazie alla lungimiranza dell’amministrazione locale e dello stesso donatore che, ancora in vita, ha regalato al comune di Buttrio (UD) ben 3500 oggetti, si è infatti potuta progettare la fondazione di un intero nuovo museo con sede nella storica Villa Toppo-Florio.
Gli interventi padovani hanno stimolato e arricchito un dibattito molto attuale sul valore e la concezione stessa della realtà museale, dibattito che è necessario affrontare a vari livelli se si auspica di realizzare davvero un moderno “sistema museale nazionale”.
Venerdì 16 novembre 2018