Indetta dall’Art-Center e dalla Cattedra UNESCO in Diritto Internazionale per la Protezione dei Beni Culturali, nella sua terza edizione, la All Art and Cultural Heritage Conference, svoltasi il 10 novembre 2018, ha avuto lo scopo di guardare al concetto di “national treasures” e di esplorarne criticamente il significato e l’impatto sulla regolamentazione del commercio transfrontaliero di oggetti culturali.
Come ben noto, i più importanti trattati internazionali che promuovono la libera circolazione delle merci, come il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, prevedono eccezioni al fine di garantire la protezione dei “national treasures”. Purtroppo, questi trattati non forniscono una definizione di questa nozione. Inoltre, non ci sono state finora decisioni giudiziarie sul significato dei “national treasures”.
Sulla base di questo presupposto, i relatori sono stati chiamati ad esplorare il concetto di “national treasures” alla luce di recenti studi, sviluppi giuridici contemporanei (a livello nazionale, regionale e internazionale) e dei problemi affrontati dall’industria dell’arte. Accademici e professionisti sono intervenuti dall’Italia, dalla Polonia, dall’Olanda, Regno Unito e Lussemburgo con lo scopo di sviluppare nuove concettualizzazioni, impegnarsi in un dibattito interdisciplinare, identificare nuove direzioni per la ricerca ed analizzare le implicazioni pratiche della nozione di “national treasures” per tutte le parti interessate impegnate nel commercio internazionale dell’arte.
Ne abbiamo parlato con il Dott. Alessandro Chechi, UNESCO Chair Senior Researcher presso l’Art-Law Center dell’Università di Ginevra:
Dott. Chechi, perché è importante una definizione di “national treasures” nel diritto dell’Unione Europea?
Come hanno avuto modo di affermare molti relatori non occorre una definizione a livello di Unione Europea di “national treasures”. A mio avviso quella che già c’è e sufficiente: è una definizone aperta che ogni Stato poi applica al proprio caso. Tra gli anni ’60 e ’80 gli Stati Membri hanno convenuto sulla necessità di accordarsi su una definizione ma ad oggi nulla è stato fatto, il che dimostra come questa situazione accordi già tutti. Inoltre la competenza europea è sussidiaria, quindi in campo culturale gli Stati hanno autonomia. Per questo non occorre una definizione di “national treasures”: esistono troppe differenze tra gli Stati Membri.
In che modo la normativa europea in materia può andare a scontrarsi con le normative dei singoli stati membri?
La normativa non è particolarmente specifica e dettagliata, ma proprio perché la sua funzione è sussidiaria. La normativa importante a livello europeo è quella sul Ritorno e Restituzione di oggetti illecitamente esportati, quindi lo scopo della normativa è quello di dare attuazione alle definizioni ed a riconoscere le violazioni del diritto nazionale. Un primo problema in merito alla direttiva si può riscontrare nel fatto che questa non copre alcune categorie di oggetti, mentre problemi non legati alla direttiva sono i limiti temporali e procedurali in materia di Ritorno e Restituzione. Il secondo problema è la mancanza di collaborazione a livello amministrativo che però dovrebbe essere stato risolto con la direttiva del 2014. Personalmente ritengo dunque scongiurata una qualsiasi possibilità di scontro con le normative dei singoli Stati Membri in quanto chiamati, sulla base del Trattato Europeo, a dare attuazione a livello nazionale. Per cui se c’è un problema di incompatibilità ogni Stato ha facoltà di rivolgersi alla Corte Europea, ma questo non è mai avvenuto, proprio perché manca il presupposto per la creazione del conflitto, ossia una definizione precisa di “national treasures”.
La necessità di giungere ad una definizione uniforme a livello Europeo è percepita anche dagli Stati membri? Ovvero le normative nazionali stanno cercando di allinearsi su una nozione unitaria di “national treasures”?
No, ad oggi gli Stati Membri non avvertono la necessità di mettere mano alla propria normativa e uniformarla.
Possiamo dire dunque che non si tratta di un problema di terminologia, ma dell’interpretazione di uno Stato Membro in riferimento al proprio oggetto di valore storico-artistico-archeologico?
I relatori hanno toccato il tema del “national treasures” analizzandolo per lo più in rapporto alle esperienze nazionali e di singoli casi. Non ci sono grossi problemi di sistema per la mancanza di definizione. A mio parere dobbiamo accontentarci, e non è poco, della libertà concessa agli Stati, perché questa libertà non deve essere concepita in maniera negativa proprio perché concepita per venire incontro alle esigenze dei diversi Stati. La vaghezza dei termini e la mancanza di precisione a livello diplomatico, legislativo o giurisdizionale è utile poiché lascia spazio alla normativa nazionale, perché se fosse troppo precisa potrebbero sorgere dei problemi. Per questo motivo la direttiva non contiene più, ad esempio, le soglie di valore economico, inapplicabile in casi in cui non ci sia corrispondenza del valore di un medesimo oggetto da Stato a Stato. C’è stata dunque una predisposizione per una definizione larga come quella della Convenzione del ’70.
Martedì 20 novembre 2018
Archeologo