Premiate ancora le indagini dei Carabinieri TPC: a via Anicia tornano reperti datati al IV secolo a.C. e al XVIII d.C.

I recuperi che il Comando dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale ha presentato nella conferenza stampa del 21 novembre scorso riguardano un fenomeno in crescita nel nostro Paese: il furto di opere d’arte e d’archeologia dietro precisa committenz. Il colpo diventa così un’operazione chirurgica di sottrazione di opere in contesti dove il controllo è minore e l’immissione nel mercato antiquario è più veloce

(Tempo di lettura: 4 minuti)

Tutti e tre i lotti meritano un breve approfondimento.

Ladri di Romanico

La chiesa di San Giovanni in Leopardis a Borgorose (Rieti) è in stato di abbandono almeno da 350 anni: nonostante fosse stato uno dei più importanti monasteri benedettini nel reatino, nella seconda metà del XVII secolo diventò un luogo di culto scomodo perché troppo in quota e lontano dalla via di comunicazione verso il Regno di Napoli. Non deve stupirci che il primo episodio di spoglio a danno della bella chiesa romanica risalga a tempi lontani: nel 1745 il portone ed il rosone vennero sottratti per abbellire la chiesa di Sant’Anastasia. Da quel momento il declino si fece più marcato, tanto che si conservò solo la cripta. Nonostante un restauro ad opera del Comune di Borgorose, lo stato di disinteresse secolare deve aver incoraggiato un grosso furto nel 1984: cinque capitelli romanici vengono rubati e parte della volta della cripta collassa perché privata delle 5 colonne rimosse. Ciò che resta di San Giovanni in Leopardis dal 2012 è nella campagna di sensibilizzazione del FAI “I Luoghi del Cuore”. Questo come altri numerosi casi confrontabili costituisce un grande campanello d’allarme: se le comunità anche piccolissime non custodiscono e quindi non monitorano un Patrimonio Culturale così fragile e importante per la storia locale (e non solo), centinaia di piccole chiese diventeranno “miniere” per furti su committenza. Fondamentale è il lavoro che il Comando Tutela Patrimonio Culturale porta avanti nel controllo del commercio legato all’antiquariato: grazie ad una di queste indagini coordinata dalla Procura della Repubblica di Spoleto due di quei cinque capitelli sono stati individuati e sequestrati presso un antiquario umbro.

Capitello romanico - S. Giovanni in Leopardis
Foto Comando Carabinieri TPC

 

Capitello romanico - S. Giovanni in Leopardis
Foto Comando Carabinieri TPC

Cacciatori di teste

Lo scenario in questo caso è diverso, ci troviamo ad una nota fiera internazionale d’antiquariato di Firenze: qui il lavoro dei Carabinieri si fa più complesso perché gli oggetti sono molto numerosi ed esposti per pochi giorni con un discreto via vai di persone. A colpire il Reparto Operativo è una testa di Giove tardo barocca che, dopo rapidi accertamenti, risulta effettivamente il frammento di statua reciso e rubato nel giugno 2013 da Villa Albani Torlonia a Roma.
Questo luogo incantato della Capitale, aperto ai visitatori solo in poche occasioni, è proprietà della famiglia Torlonia dal 1867: si tratta di un complesso di 10 ettari voluto a metà Settecento dal Cardinale Alessandro Albani che ospita oggi come allora una collezione di circa 600 reperti di inestimabile valore. Statue, bassorilievi, frammenti, ma anche affreschi e suppellettili rispecchiano perfettamente un gusto antiquariale che unisce rinascimento, barocco e neoclassicismo.
Inutile dire quante precauzioni debbano essere prese in un luogo del genere, basti pensare che si tratta della più grande collezione di beni archeologici di proprietà privata, collocata in una tenuta nel cuore di Roma (che il Comune avrebbe volentieri acquistato nel 2003, senza riuscirci, a fronte di un’offerta di 23 milioni di euro).
Il ricettatore della testa di Giove è stato individuato analizzando la documentazione a corredo dell’opera in vendita e ricostruendo i diversi passaggi di mano avvenuti: si tratta dell’ennesimo illecito di un uomo già noto al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale per reati analoghi.

La Testa di Giove e i recuperi dell'Operazione "Principato"
Foto Comando Carabinieri TPC

 

Cash only

Un bottino da 500 mila euro ma in una valuta molto più antica perché le monete chiuse in cassette di sicurezza delle sedi UBS di Chiasso e Zurigo erano romane e magnogreche, oltre a fibule e medaglie in bronzo. Capillare il lavoro coordinato dalla Procura della Repubblica di Roma e dal Ministero Pubblico di Lugano: al centro delle indagini iniziate nel 2011 sono le aste internazionali, soprattutto quelle orientate alla numismatica. Grazie alla meticolosa analisi dei tabulati telefonici di soggetti sospettati di portare avanti traffici illeciti, i Carabinieri sono giunti alla fine del labirinto individuando un numero consistente di monete, medaglie, ed altri reperti bronzei pronti per essere immessi nel mercato, tra Stati Uniti e Svizzera. Individuato anche un fil rouge tra gli indagati di questa Operazione pluriennale – denominata “Principato” – e noti pregiudicati per reati specifici con base in Sicilia. La sinergia tra i due Paesi – Italia e Svizzera – in indagini di questo tipo è preziosa perché la maggior parte dei traffici di materiale archeologico di provenienza italiana viene custodito anche per molti anni in depositi e caveaux del Paese elvetico.

(Le immagini sono state diffuse dall’Ufficio Stampa del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale)

 

Venerdì 07 dicembre 2018

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