Quando l’affresco realizzato dall’artista ebreo polacco Bruno Schulz, ritenuto ormai smarrito, venne nel 2001 riportato alla luce, si dipanò una serie di questioni giuridiche da risolvere. Chi avrebbe potuto legittimamente rivendicare la proprietà dell’opera d’arte? Il Museo dell’Olocausto Yad Vashem di Gerusalemme, dal momento che Schulz fu un Ebreo ucciso dai Nazisti, ed il Museo aveva, inoltre, gli strumenti, l’esperienza ed il know-how necessari a restaurare e custodire adeguatamente il bene? L’Ucraina, nel cui territorio l’opera è stata riscoperta? Oppure la Polonia, madrepatria dell’artista? Quando cinque frammenti dell’affresco svelato, dopo esser stati parzialmente restaurati da conservatori polacchi, vennero repentinamente condotti ad Israele da impiegati del Museo Yad Vashem, ne conseguì una bagarre politica. L’episodio illustra nitidamente come per determinate opere d’arte si debba tenere conto delle ambiguità avanzate dal diritto e dalle normatività, specialmente quando assumono rilievo le molteplici necessità che, dettate dalla globalizzazione, individuano specificità dei beni artistici annoverati.
Bruno Schulz, autore, illustratore e pittore ebreo polacco, venne ucciso da una pallottola nazista il 19 novembre 1942. Fu un uomo alquanto sensibile, imprigionato in un modo sopraffatto dalla guerra e dalle ingiustizie. Si dedicò alla realizzazione di maestose, malinconiche, sognanti opere d’arte, con la quale affrontare e comprendere la tetra realtà che lo circondava. Nel febbraio 2009, i pallidi restanti frammenti di un affresco – realizzato sulle mura di una cameretta dimenticata e che si riteneva ormai perso per sempre – vennero esposti per la prima volta al pubblico a Gerusalemme dal Museo Yad Vashem, quale Autorità per la rimembranza dei martiri e degli eroi dell’Olocausto. All’intenso ed acceso dibattito diplomatico tra lo Stato di Israele, l’Ucraina e la Polonia, seguì finalmente un accordo, in virtù del quale si decise di esibire la fiaba, dai toni sognanti, dipinta dall’artista. La variopinta opera, che aveva brillantemente decorato le mura della cameretta dei bambini nell’abitazione dell’Ufficiale nazista Felix Landau, era l’opera portavoce e dal valore senza tempo tramite la quale Bruno Schulz disquisiva delle ingiustizie alle quali assisteva e tramite il quale egli ovviò alle difficoltà legate alla realizzazione artistica, dovute allo scoppio e al protrarsi della devastante guerra.
La fiaba che egli illustrò per il figlio di Landau non può essere certamente ascritta nel genere ‘C’era una volta’; si tratta, piuttosto, di un atto dalla violente portata, la quale viene abilmente filtrata e che sancisce una rottura con la fiaba tradizionale, ne capovolge l’inizio e proclama invece il suo immaginario prologo: ‘Un giorno avverrà che…’
Quando, nel 2001, il film-maker tedesco Benjamin Geissler portò alla luce l’affresco perduto e, di fatto, dimenticato, il dibattito concernente la proprietà, la gestione e l’accesso all’opera d’arte che ne risultò fu inevitabile. Nel momento in cui cinque frammenti dell’affresco, già parzialmente e sommariamente restaurati da restauratori conservatori polacchi, vennero (e ciò dipende dall’interpretazione della vicenda), sottratti o salvati da impiegati dello Yad Vashem e condotti ad Israele, lo scandalo salì alla ribalta della cronaca internazionale. Chi avrebbe potuto legittimamente rivendicare la proprietà dell’opera d’arte? Lo Yad Vashem, dal momento che Schulz fu un ebreo ucciso dai Nazisti ed il museo aveva i mezzi, l’esperienza ed il know-how necessari a restaurare e custodire adeguatamente il bene? L’Ucraina, nel cui territorio l’opera è stata rivenuta ed essendo Schulz nato a Drohobyc, attuale città ucraina? O, ancora, la Polonia, lo Stato la cui autorità, ai tempi della vita di Schulz, si estendeva anche sul territorio ora considerato ed essendo, inoltre, la madrepatria dell’artista? L’episodio risalente al 2001 illustra nitidamente come per le questioni concernenti la proprietà e la gestione di determinate opere d’arte si debba tenere conto delle ambiguità avanzate dalle legislazioni moderne e del fatto che le leggi concernenti la proprietà, come la proprietà intellettuale, possano rivelarsi inadeguate dinanzi le molteplici esigenze delle opere d’arte quando, accanto all’interesse commerciale, rileva la volontà di preservare e rendere accessibile i beni culturali nel miglior modo possibile. Va riconosciuto, in modo inconfutabile, che la normativa in tema di proprietà e accesso alle opere d’arte e ai manufatti del patrimonio culturale sia talvolta inefficace e deve essere dunque oggetto di discussione, in modo tale da fornire una risposta quanto più armoniosa alla molteplicità di aspetti che contraddistinguono la cultura. In una società sempre più globalizzata, l’attuale legislazione, come il diritto della proprietà intellettuale, appare antiquata ed inadeguata nel momento in cui ci si interfaccia con episodi particolari e criticità concernenti il mondo dell’arte e della cultura, oltreché l’acquisizione e la divulgazione di opere aventi una pregnanza culturale. Il presente articolo esplora questo fenomeno.
Dinanzi a normative inadeguate, le opere d’arte subiscono un trattamento di oscuramento, in forza del quale il loro valore risulta essere sminuito ed esse vengono smarrite o mutilate a causa delle ambiguità delle legislazione o a causa degli impeti della contesa, sorta tra più parti rivendicanti la proprietà. Quando un tesoro culturale viene portato alla luce, come nel caso dell’affresco smarrito di Bruno Schulz, si colgono appieno le criticità della regolamentazione giuridica. Questi eventi dimostrano che, in presenza di opere culturali che rifuggono da una classificazione minuziosa, le attuali legislazioni talvolta non sono idonee a risolvere le sempre più complicate questioni concernenti la gestione e la proprietà di beni culturali. Può, dunque, dimostrarsi rivelante studiare il caso Schulz e il suo affresco, in particolare per alimentare un dibattito che evidenzi le implicazioni scaturenti dal rinvenimento. Oltre a configurarsi quale strumento con il quale mostrare peculiari deficit nel diritto, e quanto essi comportino in uno scenario più ampio, l’episodio merita di essere approfondito per far luce sulla natura dell’opera di Bruno Schulz e l’arte ad essa assimilabile. Il presente elaborato si avvale della storia dell’affresco per sollevare interrogativi sulle debolezza della legislazione concernente, ad esempio, la proprietà intellettuale e l’importanza del coinvolgimento pubblico e della proprietà in questi casi, soprattutto in una società multiculturale e globale.
Si potrebbe arguire che la produzione di Schulz possa potenzialmente essere annoverata tra le realizzazioni più importanti nella storia artistica e letteraria europea, sebbene essa sia altamente intimista, ispirata a temi esoterici e piuttosto sconosciuta al grande pubblico. Che ciò sia dovuto o meno al fatto che la nazionalità di Schulz sia stata a lungo oggetto di dibattito non è chiaro, ma, senza alcuna ombra di dubbio, ciò ha comportato non solo una perdita consistente per il patrimonio culturale europeo, ma ha fatto sì che sorgesse un buco nero nella storia dei popoli ebrei e polacchi. In modo ancora più interessante, in linea con la prospettiva adottata in questa ricerca, l’episodio illustra le debolezze latenti delle leggi attuali ed alcune delle difficoltà con le quali la normativa deve confrontarsi nel pronunciarsi in ambito culturale.
Comprendere Schulz
Bruno Schulz fu un artista estremamente versatile – scrittore, pittore ed illustratore, sceglieva la forma di espressione in virtù del soggetto scelto – sebbene sia stato affermato che egli preferisse scrivere. Durante la sua vita portò a compimento due sole raccolte di racconti, Le botteghe color cannella (la cui versione inglese è intitolata The Street of Crocodiles) e Il Sanatorio all’insegna della Clessidra. Si vocifera che egli stesse lavorando e che avesse ultimato un’opera più ampia, un racconto dal titolo Il Messia, che – si dice – egli abbia affidato ad un amico non ebreo affinché quest’ultimo lo custodisse qualora gli fosse accaduto qualcosa. Ciò che Schulz più temeva si avverò, la sua vita fu recisa da un Ufficiale nazista, e il manoscritto Il Messia non riemerse. La produzione artistica di Bruno Schulz ancora rimane largamente sconosciuta nel mondo artistico letterario maggiore, a causa di molteplici ragioni. Con rammarico, si può solamente ipotizzare il numero delle sue opere che nel tempo sono state smarrite o nascoste, ed in questo modo sottratte al pubblico. Di conseguenza, quando l’affresco nella cosiddetta ‘Casa Landau’ venne riscoperto, comprensibilmente esso rilevò quale preziosa testimonianza e indispensabile fonte di informazioni su Schulz, sull’epoca ed il luogo nel quale egli visse.
Il Rinvenimento
‘Loro sanno, signore’ – diceva mio padre – ‘che nei vecchi appartamenti esistono stanze di cui ci si dimentica. Trascurate per mesi, deperiscono in totale abbandono fra le vecchie mura, e accade che si richiudano in se stesse, si coprano di mattoni e, perdute ormai per sempre alla nostra memoria, smarriscono a poco a poco la propria esistenza. Le porte che vi conducono da un qualche pianerottolo delle scale di servizio, possono sfuggire per tanto tempo agli occhi degli inquilini da penetrare infine, entrare nella parete, che ne cancella ogni traccia nel disegno fantastico delle crepe e delle fessure’. (Schulz 2008).
Un film-maker di documentari, Benjamin Geissler, assieme alla sua équipe, riscoprì l’affresco smarrito con l’aiuto di alcuni cittadini, anziani a tal punto da ricordare e desiderosi, inoltre, di condividere le proprie memorie sull’Ufficiale nazista Felix Landau, sulla sua casa e sull’artista Bruno Schulz, suo protetto. La ricerca condusse l’equipe ad una palazzina residenziale di Drohobyc, in Ucraina. L’antica magione, dapprima appartenuta alla famiglia Landau, era stata, negli anni successivi, trasformata in spazio vitale per la collettività; le mura della vecchia cameretta erano state più e più volte dipinte e, al tempo della scoperta, nascoste dietro un armadio, decadenti e fatiscenti. La troupe fu abile nell’individuare le mura originarie dopo numerosi tentativi, avanzati da altre persone, e nel riportare alla luce l’affresco al quale si riteneva che Bruno Schulz avesse lavorato negli ultimi mesi della sua vita. Quando, finalmente, venne trovato, l’affresco era gravemente danneggiato a causa del decadimento e dell’umidità, caduto nell’oblio nel corso degli anni; le mura erano state dipinte molte volte. L’affresco emerse solo quando i restauratori rimossero i numerosi strati di pittura. Il toccante ritrovamento segnò l’inizio della querelle internazionale. L’affresco smarrito non solo costitutiva un importante contributo al complesso delle opere d’arte di Schulz note sino a quel momento, ma anche una penetrante testimonianza della società in cui egli è vissuto.
L’avversione nei confronti della burocrazia aveva rappresentato il comune denominatore in tutte le sue opere; la significatività dell’affresco risiede anche in ciò: nel costituire una notevole diversione e, dunque, nel fatto che esso individui un profilo addizionale rispetto al portfolio artistico di Schulz. L’artista ha realizzato l’affresco nel mentre viveva la più brutale delle circostanze – in cambio della propria vita, l’artista, vittima di ciò che può essere descritto solo e soltanto come un atto di coercizione – decorò la cameretta del bambino di un ufficiale nazista. Inoltre, ciò che rende l’affresco estremamente prezioso ed unico è dato dalla constatazione che, dipingendo per un bambino, Schulz si sia rivolto ad un destinatario completamente differente da quello al quale era solito indirizzare la propria produzione. Ciò comportò ovviamente un distacco dal suo tradizionale stile espressivo, nel quale trovano spazio visioni tenebrose, tormentate, mistiche, nel quale riecheggia il vocabolario visivo tipico della letteratura kafkiana, dal quale sovente attinse un vivido immaginario nel quale l’umiliazione sessuale è presentata tramite veli illusori o in modo sinistro e fantasmagorico. In questa circostanza, relazionandosi con un bambino, egli dovette adottare un registro differente, ricorrendo ad un immaginario simbolico, piuttosto che rimanere fedele alla propria consueta espressività.
L’interpretazione dell’affresco e della fiaba in esso illustrata si rivela interessante: inizialmente essa appare come una meravigliosa, ma al contempo semplice, fiaba, animata dai personaggi magici della commedia – gnomi, principesse e streghe – mentre ad uno sguardo più attento si può discernere l’urlo primitivo dell’artista angosciato e sopraffatto. Nella scelta del soggetto dell’affresco si rivela la volontà di sviluppare una sottile critica sociale. Un esempio è rappresentato dall’apparente autoritratto di Schulz, raffigurato mentre controlla le redini di una delle carrozze dipinte. Si noti che le leggi naziste del tempo vietavano agli ebrei di andare a cavallo e persino di trainare le carrozze. I connotati fisici che contraddistinguono le regine, le principesse ed i principi, chiaramente non riconducibili all’estetica ariana, possono essere enfatizzati quale ulteriore elemento di questo atteggiamento critico, velatamente presentato (si consideri che la simbologia di questo genere, ai tempi della vita di Schulz, era alquanto ignorata). Il ricorso all’allegoria e al simbolismo non ha semplicemente costituito un atto di disobbedienza ma, per il suo tramite, vengono evocati le silenti speranze dell’artista per un futuro migliore e nel quale regni la libertà, che egli deve aver sognato ad occhi aperti nel mentre realizzava l’opera (Bronner 2009). La cruda realtà che lo circondava, vissuta da Schulz in prima persona e tramandata alle generazioni future in chiave allegorica tramite questo affresco, dinanzi ai nostri occhi vive un processo di trasformazione: oltrepassando i confini della visione intimistica della propria realtà illustrata da Schulz, essa assurge ad eredità collettiva della storia contemporanea europea (Lukacs 1968, pp. 15 aa). Ciò dovrebbe avere un notevole peso e giocare un ruolo decisivo nel momento in cui si discute della proprietà giuridica di quest’opera e dell’interesse esercitato dalla sfera pubblica verso di essa. Secondo alcune tesi, Schulz agiva nella consapevolezza che sarebbe stato assassinato non appena avesse ultimato l’affresco e ci sono alcune prove che testimoniano che egli stesse architettando una fuga da Drohobyc proprio nel periodo di lavoro per l’Ufficiale Landau. Di tali fatti Schulz deve aver certamente risentito ed essi hanno conseguentemente influenzato la realizzazione dell’affresco. A causa di ciò, si dice che egli abbia rallentato il completamento dell’opera fin quando non ebbe raccolto tutta la documentazione necessaria per scappare (Ficowski 2003, pp. 133 aa). Tragicamente, non riuscì né a completare l’affresco né a scappare dalla città.
La Confusione
Subito dopo la scoperta dell’affresco vennero convocati esperti d’arte polacchi ed ucraini, che si aggiunsero a coloro che erano già presenti, in modo tale che essi potessero approcciarsi al rinvenimento e alla salvaguardia dei preziosi fragili resti nel modo più adeguato. Il Museo Yad Vashem venne messo al corrente della scoperta. L’affresco smarrito non solo costitutiva un importante contributo al complesso delle opere d’arte di Schulz conosciuto sino a quel momento, ma anche una penetrante testimonianza della società in cui egli è vissuto; un documento di valore inestimabile sia dal punto di vista strettamente storico che per la valenza artistica.
Ciò che successe immediatamente dopo la scoperta provocò sconcerto, sbigottimento e confusione. Cinque frammenti dell’opera, già in qualche misura restaurati dai conservatori polacchi, vennero prelevati lì in Ucraina e condotti ad Israele da impiegati del Museo Yad Vashem; un atto dal quale scaturì una situazione di confusione e sbigottimento (Ficowski 2003, pp. 168 ss). I restanti frammenti vennero lasciati nel luogo del rinvenimento. Il dibattito, incentrato sul perché e come i particolari frammenti vennero portati a Gerusalemme, si protrasse per molto tempo. Si giunse finalmente ad una conclusione molti anni dopo, nel 2007, quando venne stipulato un accordo in virtù del quale i contesi frammenti venivano conferiti allo Yad Vashem dal Museo di Drohobych in Ucraina tramite un prestito a lungo termine. In ogni caso, lo Yad Vashem continuò ad affermare che la propria condotta era in assoluta conformità con la legge, supportata dalla collaborazione con le autorità ucraine. Nonostante ciò, il caso ha aperto profonde ferite, lasciando un numero maggiore di interrogativi senza risposta e rivelando le inadeguatezze proprie del diritto internazionale e del diritto della proprietà intellettuale nella disciplina di specifiche opere d’arte come la presente.
Per comprendere l’importanza di ciò che accadde e le ripercussioni che la vicenda ha assunto ed assumerà negli episodi riguardanti le opere d’arte aventi una pregnanza sociale, è fondamentale soffermarsi sulla preziosità di quest’opera. Nel compiere tale operazione, si giunge a cogliere la necessarietà del diritto in questo frangente. Di conseguenza, bisogna innanzitutto osservare le opere di Bruno Schulz e il suo processo creativo, al fine di delineare gli enigmi giuridici, per poi analizzare più nello specifico la tematica della gestione e della proprietà di manufatti culturali come il presente affresco. Le implicazioni giuridiche, maturate nell’ambito di una riflessione critica, riguardano la proprietà, il controllo e l’accesso rispetto le opere d’arte aventi particolare valore.
Il Processo di Decostruzione della Produzione di Schulz
Nella realizzazione delle sue opere, Schulz, sebbene fosse un ebreo laico, fu profondamente influenzato dalla tradizione giudaica e dagli insegnamenti della Cabala ebraica. Di conseguenza, egli era solito enfatizzare la ricchezza semantica delle sue opere, che richiama il metodo derridiano di evocare significati tramite un processo di destrutturazione. L’affresco, quindi, non va considerato esclusivamente quale immagine che emerge dalla superficie dipinta di un vecchio muro, ma è fondamentale che ad esso ci si approcci con più profondità e adottando un criterio destrutturale che consenta di coglierne tutte le peculiarità (Agger 1991; Jay 1973, p. 176). E’ fondamentale che questo principio venga interiorizzato, sia in riferimento ai frammenti che all’intera riflessione, al fine di comprendere il motivo per il quale Schulz si avvale di questa metodologia di comunicazione, e come egli si assicurò che il dipinto potesse essere interpretato e reinterpretato dalle generazioni future, senza che la realizzazione dell’opera potesse giustificare la pronta intimazione di una minaccia alla sua vita. Attraverso la scelta del soggetto dell’opera, l’artista si pronunciò sull’assenza di giustizia e leggi nella società, ma la rappresentazione di tale pensiero nella sua arte doveva necessariamente essere filtrata e abilmente valorizzata, affinché egli potesse aver salva la vita.
Da una prospettiva psicoanalitica, si evince che il murale abbia rappresentato, per Schulz, lo strumento con il quale dipingere le sue più intime speranze, che trovano spazio nell’affresco in forma di enigma, illustrato attraverso un sicuro linguaggio cifrato. Goodrich, appellandosi a Jean de Coras, risolve il significato dell’enigma, interpretato quale ‘messaggio nascosto in un’immagine, una busta o una missiva contenente una memoria, un segno, una storia, un’immagine’ (Goodrich 2010). Quale messaggio voleva lanciare Schulz con questo enigma? Mentre nella psicoanalisi di Freud non è mai contemplata la distanza tra i sogni diurni, i sogni ad occhi aperti, ed i sogni notturni, Ernst Bloch nel trattato “Il Principio Speranza” riflette sul sogno realizzato ad occhi aperti, che risulta essere posto al centro di un vero e proprio approccio: è interessante cogliere come ciò si configuri quale supporto nell’approfondimento della conoscenza dell’affresco realizzato da Schulz. Bloch definì questa fenomenologia con l’espressione ‘Non-Ancora-Conscio”, in modo diametralmente opposto a Freud che invece parla di ‘Non-Più-Conscio” (Bloch 1986, pp. 86 ss). Il sogno ad occhio aperti che prende vita nelle opere d’arte – egli dichiara – è rappresentazione dell’immaginazione o del desiderio ardente per un futuro migliore e, affermando ciò, ‘restituisce alla teoria radicale un patrimonio culturale che gli viene generalmente negato e disconosciuto in quanto pura ideologia’ (Kellner 2010; vedi anche, Douzinas and Gearey 2005, pp. 97–106). Nel nostro caso, il sogno ad occhi aperti intensamente interiorizzato da Schulz, la sua consapevolezza non ancora pienamente acquisita in relazione all’intera vicenda, devono essere considerati nel momento in cui si considera la significatività dell’affresco.
Abbiamo in questo modo delineato la cornice che vede germogliare la nostra riflessione. Nei successivi focus troveranno spazio le considerazioni che più analiticamente investono la sfera giuridica, mostrando da quali ambiguità e debolezze è fondamentale che il sistema normativo internazionale prenda le distanze per garantire una pronta e certa soluzione alle problematiche in grado di immobilizzare una quanto più efficace ed effettiva tutela dei beni culturali.
Dottoressa in Scienze dei servizi giuridici