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Storia del Pigneto, storia di Roma

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(Tempo di lettura: 2 minuti)

[J/Red/gm]

Spina dorsale di questa zona è la lunga e insolita via del Pigneto, che esiste almeno dal 1550 come strada poderale tra i vigneti. Pigneto per via degli imponenti pini, piantati a fine Settecento dalla famiglia Caballini e oggi rimasti in tre.

La Storia del Pigneto racconta la vita del quartiere attraverso testimoni di un percorso cronologico lunghissimo: elefanti in epoca preistorica, popoli antichi, imperatori romani che si sono affrettati a costruire gli acquedotti, barbari che li hanno sabotati, e poi papi, latifondisti, monaci, imprenditori, ferrovieri, partigiani, immigrati italiani prima, stranieri oggi. Ogni epoca ha lasciato un segno e dato personalità a questo borghetto che altrimenti sarebbe sparito. Fabbriche nate per pagare meno tasse, perché fuori le mura, binari per i treni, binari per i tram, poi alla fine un tunnel per la metro C. Una distesa di villini con giardino per una borghesia nascente, che voleva stare bene.

Testimoni di un passato glorioso sono l’eccentrica tomba del fornaio Eurisace, riscattato dalla schiavitù, il torrione prenestino, il terzo più grande mausoleo di Roma, gli acquedotti, in ultimo l’acquedotto Felice, che alla fine del Cinquecento portava acqua corrente alla grande villa di papa Sisto V, per diventare poi appoggio per le baracche di via del Mandrione, e Porta Maggiore, un diaframma a ricordare la differenza tra dentro e fuori Roma, tra città e suburbio.

Di giorno i residenti storici si dividono tra il mercato, le panchine e i bar. C’è chi si ricorda ancora le bombe, chi la vita in tanti in una stanza. Di notte arrivano giovani, universitari, fricchettoni, ballerini, stranieri, perché ogni sera accade qualcosa, un concerto, un dibattito, oppure semplicemente una birra tra amici ed una passeggiata nell’area pedonale.

Si fa fatica a trovare una strada dritta e un palazzo uguale a quello vicino: tutto quello che si vede oggi è nato per caso e per fortuna dopo il 1870. Gli immigrati nelle nuove fabbriche sulla Prenestina si sono sbrigati a tirare su casette e baracche, a mettersi un tetto sopra la testa. La troscia della Marranella fino agli anni ’30 del Novecento ha fatto divertire i bambini ma li ha anche uccisi di tubercolosi. Qui si viveva alla giornata, ce lo dice chiaramente Pasolini, che amava questa borgata, nel testo della canzone cantata da Gabriella Ferri: fileme si ce sei Gesù Cristo guardeme tutta zozza de pianto, abbi pieta’ de me io che nun so gnente.

Dal 1945 sono 15 i film girati al Pigneto: da Roma Città Aperta e Accattone fino a Fantozzi, il Pigneto è il palcoscenico naturale di una borgata resiliente che si salva da sola, sotto l’ala della Tangenziale Est. Nessuno verrà a tappare le buche, quando piove i pantaloni si inzuppano fino alle ginocchia e i cassonetti non bastano mai. Gli street artists si litigano i fianchi ciechi delle palazzine e gli sguardi dei passanti.

Ma nessuno si senta straniero al Pigneto, perché qui c’è posto per ogni radice.


Mercoledì 12 giugno 2019 ©Tutti i diritti riservati

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