Parte sabato 30 novembre “Invito al Monte“, l’iniziativa attraverso la quale la Banca torna ad aprire al pubblico il museo e l’archivio storico in Piazza Salimbeni attraverso una serie di visite guidate e gratuite.
Da martedì 19 novembre gli interessati potranno iscriversi all’appuntamento scegliendo tra cinque diversi orari di ingresso: al mattino, a partire dalle ore 10.00, e nel pomeriggio, dalle ore 14.30. Da dicembre poi, mese per mese, saranno comunicate le date e le modalità di prenotazione dei successivi appuntamenti.
Le visite saranno a numero chiuso solo su prenotazione obbligatoria tramite la pagina dedicata del sito Internet.
La vasta Collezione d’arte di Banca Monte dei Paschi di Siena è il risultato di una stratificazione storica di committenze e importanti acquisizioni mirate che ha assunto, poco a poco, la fisionomia di una vera e propria “raccolta”. Le prime opere d’arte, infatti, furono realizzate per dare risalto all’Istituto negli episodi rilevanti della sua secolare attività. Il maggiore sviluppo della Collezione è avvenuto, però, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, quando furono previsti spazi appositamente destinati ad ospitare una struttura museale nel complesso di palazzi della Sede storica, a Siena. Da allora la Banca ha rivolto la sua attenzione ad opere di “scuola artistica” senese, considerata, fin dai suoi esordi, una delle più significative nella storia della cultura figurativa del nostro Paese. Si è così venuta a formare unaCollezione di dipinti, sculture e arredi, principalmente di scuola senese dal XIV al XIX secolo, tra cui però spiccano interessanti incursioni, in particolare nel ‘900 italiano. Ad incrementare il numero già di per sé rilevante di opere d’arte quelle provenienti dalle Banche acquisite nel corso degli anni e la maggior parte di quelle facenti parte della Collezione Chigi Saracini (una delle più importanti raccolte artistiche private italiane, voluta da Galgano Saracini tra la fine delSettecento ed i primi decenni del secolo successivo), ancora oggi conservate nell’omonimo Palazzo nobiliare senese. Alla Collezione d’arte si affianca un Archivio storico dichiarato – con notifica ministeriale del Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali del 7 aprile 1997 – di “notevole interesse storico”, i cui documenti antichi sono conservati nei locali, musealizzati, al piano terra della Rocca Salimbeni. Significativo è anche il patrimonio librario, antico e moderno, di proprietà della Banca. Di particolare interesse il Fondo librario antico, composto da edizioni (spesso esemplari “unici” nel circuito delle biblioteche) del Cinquecento, fino all’Ottocento, oltre che da una ricca sezione di manoscritti. A questo patrimonio culturale si aggiungono anche due Fondi bibliografici appartenuti ad illustri personalità della cultura e dell’economia: Mario Delle Piane e Bonaldo Stringher. Di proprietà della Banca, oltre agli Archivi storici delle Banche acquisite (i più consistenti sono quelli di Banca Toscana, Banca Agricola Mantovana, Banca Antonveneta), anche l’Archivio Chigi Saracini (conservato nella Torre dell’omonimoPalazzo) e il Fondo Sansedoni.Entrambi complessi documentari sostanzialmente “completi”, capaci di testimoniare la storia familiare di due nobili casate senesi.
PALAZZO SALIMBENI
Dimora duecentesca della famiglia dei Salimbeni, ospitò agli inizi del XV secolo per volontà della Repubblica di Siena il Monte di Pietà ed è oggi la sede storica di Banca Monte dei Paschi di Siena. Il complesso architettonico che si affaccia su Piazza Salimbeni, con l’antico “castellare” della nobile famiglia di mercanti e banchieri senesi, il rinascimentale Palazzo Spannocchi e le forme eclettiche di Palazzo Tantucci custodiscono memorie storiche e testimonianze artistiche di valore inestimabile. Nella seconda metà dell’Ottocento il Monte interessò Giuseppe Partini, architetto esponente della corrente “purista”, allora dominante in Italia, per un intervento di restauro importante. Nel 1972, in occasione del quinto centenario dalla fondazione della Banca, fu inaugurato un nuovo programma di ristrutturazioni, attuato su progetto dell’architetto Pierluigi Spadolini. Ispirata a moderni criteri di intervento, questa operazione ha avuto come principale finalità il recupero e la messa in luce delle strutture antiche ed originali dei Palazzi mantenendo, comunque, gli elementi principali dell’intervento partiniano.
ALCUNE TRA LE OPERE PRINCIPALI
Pietro Lorenzetti – Crocifissione con la Madonna, la Maddalena e San Giovanni Evangelista dolenti. Vergine Annunciata, San Paolo e San Pietro, San Giovanni Evangelista e un committente – tempera su tavola, 60 x 31 cm e 51 x 16 cm, 1335 circa.
Le due tavole costituiscono lo scomparto centrale e laterale di un trittico di devozione privata. Nonostante le dimensioni contenute, la scena gode di monumentalità espressiva, indicando una conoscenza diretta di Giotto, mentre la cura dei particolari ed il gusto per la cromia dai toni brillanti rimandano ad un tratto specificamente senese.
Maestro dell’Osservanza – Lamento della Vergine sul Cristo deposto, il donatore Peter Volckammer, San Sinibaldo – tempera su tavola, 101 x 71 cm, 1432 circa.
La tavola è stata riconosciuta dalla critica come una fra le opere più antiche del Maestro dell’Osservanza, nome convenzionale sotto il quale si riunisce tutta una serie di pitture riconducibili ai modi del Sassetta. Alle figure della Vergine, del Cristo deposto e di San Sinibaldosi accosta il committente dell’opera, Peter Volckammer, ricco cittadino di Norimberga giunto a Siena al seguito dell’imperatore Sigismondo ed ivi deceduto nel 1432.
Bernardino Mei – Il ciarlatano – olio su tela, 190 x 135 cm, 1656.
L’originalità del soggetto trattato fornisce uno spaccato sociale della Siena del tempo. La figura del ciarlatano, raffigurata in maniera quasi ironica come un filosofo che suscita con i suoi gesti perentori lo stupore della folla ignorante, è inserita sullo sfondo cupo ed inquietante di un cielo tempestoso, nel quale si staglia il profilo della Torre del Mangia.
Giovanni Fattori – Butteri e mandrie in Maremma – olio su tela, 105 x 150 cm, 1894. Esposto alla I Biennale di Venezia, poi entrato a far parte della collezione di Edoardo Bruno, il dipinto gode del favore della critica, che lo identifica come rappresentativo della poetica fattoriana. La salda costruzione formale ed espressiva rappresenta una scena campestre di butteri maremmani, tema molto caro all’artista.
Ottone Rosai – I giocatori di toppa – olio su tela, 160 x 200 cm, 1928.
Il soggetto, trattato in modo irridente nei confronti delle convenzioni borghesi, è assai lontano dalla retorica di tanta arte ufficiale del periodo. L’umanità rappresentata, umile e quotidiana, viene rivestita di una scarna arcaicità ed inserita in una città livida e severa.
Gino Severini – L’équilibristeo Maschere e rovine – olio su tela, 158 x 144 cm, 1928.
Il dipinto fa parte della serie di pannelli che il mercante parigino Léonce Rosenberg commissionò all’artista per la propria abitazione. Nel palcoscenico di rovine di un passato illustre Severini inserisce i personaggi della commedia dell’arte al posto dellefigure anticheggianti richieste da Rosenberg, avvolgendo la scena in una luminosità mediterranea, su uno sfondo rosso squarciato dall’azzurro di un cielo appena solcato da nuvole sparse. Il dipinto ha partecipato alla mostra Solo. Gino Severini, curata da Sergio Risaliti e Lino Mannocci, tenutasi a Firenze, Museo Novecento, dall’11 luglio al 10 ottobre 2019 ed è attualmente in prestito a Genova, Palazzo Ducale, per la mostra Anni Venti in Italia. L’età dell’incertezza, curata da Matteo Fochessati e Gianni Franzone.
Giorgio De Chirico – La città di Tebe, Donna della folla, Uomo della folla, L’uomo albero–matita nera, acquerello di vari colori, carta bianca incollata su cartone, 1942.
Si tratta di bozzetti realizzati per ilmelodramma Anfione, scritto da Paul Valéry nel 1931 e rappresentato al Teatro alla Scala il 12 ottobre 1942 con scene e costumi di De Chirico. Lo spazio metafisico viene popolato quasi giocosamente da figure “architettura”, che nelle loro vesti e forme richiamano gli elementi costruttivi.
Henry Moore – Modello per forma animale – scultura a tutto tondo in bronzo, 39 x 66 x 30 cm, 1969-1971 circa.
Moore è uno dei pochi artisti stranieri presenti in collezione, per via dello stretto rapporto con l’Italia dove soggiornò per lunghi periodi. Partendo dall’arcaismo etrusco, si accostò successivamente al surrealismo e all’astrattismo. Questo bronzo, fuso in nove esemplari, risale agli anni Settanta, periodo in cui l’artista sperimentò anche una produzione più monumentale.
(Fonte: www.mpsart.it)
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