Si è svolta oggi presso l’Ambasciata della Repubblica Francese in Italia una cerimonia in cui l’Ambasciatore S.E. Christian Masset e il Generale di Brigata Roberto Riccardi, Comandante Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (TPC), hanno proceduto alla reciproca restituzione di beni appartenenti ai patrimoni culturali di Italia e Francia e recuperati nei rispettivi Stati:
Restituzione dalla Francia all’Italia
Scultura in marmo raffigurante una fanciulla dormiente; frammento di testa in marmo; frammento di scultura in marmo riproducente una gamba femminile.
I beni sono stati sequestrati nell’aprile 2006 dalla Brigata Doganale di Port-Vendres (Francia) che ha proceduto al controllo del veicolo sul quale erano trasportati, asseritamente provenienti dal giardino di uno dei due italiani trovati a bordo dell’autovettura. Le Autorità francesi hanno chiesto informazioni al Comando TPC dei Carabinieri, che avendo una pregressa conoscenza di uno dei due per reati contro il patrimonio culturale l’ha comunicata ai colleghi d’Oltralpe, rafforzando i dubbi sulla provenienza dei beni. Concluse le indagini, il Tribunale di Perpignan ha condannato i due connazionali per importazione illecita e disposto la confisca dei reperti per la restituzione all’Italia.
Dagli accertamenti nella Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti, gestita dal TPC per il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, si è accertato che il frammento di statua, unitamente alla scultura in marmo di fanciulla dormiente (identificata quale importante opera dello scultore italiano Arturo Dazzi, dal titolo “Sogno di bimba”, realizzata nel 1926 di cui esiste anche il calco a tasselli in gesso, donato al Comune di Forte dei Marmi), erano parziale provento del furto denunciato all’inizio di aprile 2006 in danno di una residenza privata di Roma.
Dal punto di vista storico-artistico, è stato appurato che il frammento di testa in marmo, con occhi dalle pupille incavate e capigliatura a riccioli distinti, coperta da un berretto conico, è verosimilmente riferibile, per dimensioni e stile, a un sarcofago di una tipologia ben documentata in Italia nel III secolo d.C. Nello specifico, la testa è quasi certamente quella di un Dioscuro, sia per l’attributo del cappello frigio che per la marcata rotazione. La presenza dei Dioscuri è piuttosto comune nei sarcofagi di età tardo severiana (230 d.C. circa), epoca alla quale deve essere riferito il frammento sia per ragioni stilistiche che esecutive.
Il frammento di scultura in marmo riproducente una gamba femminile è identificabile, invece, quale porzione inferiore dell’articolazione sinistra completa del piede nudo, affiancata da un’anfora sulla quale si adagia il panneggio. La lavorazione incompiuta della superficie posteriore del vaso suggerisce un’originaria collocazione all’interno di una nicchia o in prossimità di una parete. In base all’accurato livellamento della parte superiore della gamba e alla forma anomala del vaso, potrebbe trattarsi di un elemento di integrazione di una scultura raffigurante una Venere al bagno, ispirata a modelli classici (il dettaglio del panno sul vaso deriva dalla Venere Cnidia), probabilmente risalente al XVII secolo.
Oinochoe apula.
Le Autorità doganali di Nizza (F), nel corso di un controllo alla circolazione stradale, nel settembre 2003 hanno sequestrato a un cittadino italiano un reperto archeologico del quale non era in grado di indicare la provenienza. Il bene, sottoposto a expertise dal personale del Louvre, è risultato autentico e riconducibile alla Puglia. L’esito, confermato dagli esami in termoluminescenza, ha consentito al Tribunale di Grande Istanza di Nizza di ordinarne la restituzione all’Italia.
Si tratta di un’oinochoe con corpo globulare, becco a cartoccio e ansa sormontante a vernice nera con decorazione sovradipinta in bianco, giallo e paonazzo, recante motivi fitomorfi (elementi vegetali, pampini, tralci e grappoli) e geometrici (meandri, tratti). Il reperto è riconducibile a una nota produzione dell’Italia antica indicata come “stile di Gnathia”, attribuibile con certezza a una fabbrica apula del tardo IV-III secolo a.C.
Restituzione dall’Italia alla Francia
Sei manoscritti databili tra il 1814 ed il 1815, provenienti dall’archivio segreto dell’Imperatore Napoleone I Bonaparte, rinvenuti sul mercato antiquario toscano.
Tra il prezioso materiale archivistico rinvenuto, accompagnato da un’accurata descrizione interpretativa dattiloscritta in francese risalente a molti decenni addietro e che ne ricostruisce la collocazione storico/politica, spicca una lettera del 1814 sulla quale è presente un’annotazione di pugno dell’Imperatore Napoleone I che apostrofa il suo stesso archivista come “traditore” .
I beni erano stati acquistati sul web da un appassionato commerciante del settore, originario della provincia di Firenze, che dopo averli esaminati, rendendosi conto dell’importanza che potevano rivestire per la storia francese, aveva contattato direttamente quelle Autorità.
In occasione di un controllo amministrativo condotto nel marzo 2019 dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Firenze, il commerciante ha riferito ai militari di essere entrato in possesso di tali documenti e di avere avuto notizia in quei giorni dal Ministero della Cultura francese che si trattava di beni ritenuti parte integrante del patrimonio archivistico nazionale e che avrebbero avviato le procedure per rivendicarli. L’acquirente in buona fede quindi ha consegnato spontaneamente ai Carabinieri il materiale documentario e archivistico in questione, al fine di esperire i necessari accertamenti.
Il TPC ha poi proceduto agli accertamenti investigativi tesi a ricostruire le vicende e i “passaggi”, dalla fuoriuscita dal territorio francese alla loro “riemersione” in territorio nazionale, dei beni in oggetto, la cui natura pubblica, ai sensi della Legge francese e in analogia a quella italiana, li rende inalienabili, non esportabili e pertanto non commerciabili. Ciò ha consentito al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di intraprendere con l’Ambasciata francese le azioni opportune per facilitare la restituzione dei manoscritti, senza che fosse necessaria una formale azione di rivendica giudiziaria o diplomatica.
In un documento interpretativo dattiloscritto che accompagna i sei beni archivistici, si fa riferimento a una eccezionale raccolta comprendente numerose lettere e relazioni autografe dell’archivista del Gabinetto dell’Imperatore, Louis Francois Bary, che venendo meno alla lealtà verso Napoleone, intratteneva relazioni epistolari con importanti rappresentanti della prima Restaurazione, quali il conte d’Artois (rappresentante a Parigi di Luigi XVIII), il Re Luigi XVIII stesso, il conte di Blacas (Ministro della Casa del Re). La corrispondenza in questione inizia immediatamente dopo la prima abdicazione di Napoleone nell’aprile del 1814, quando era ancora a Fontainebleau, e termina il 21 marzo 1815, all’indomani del ritorno dell’Imperatore dall’esilio sull’Isola d’Elba. Quest’ultimo documento, a firma di Antoine Louis Jouanne, “premier commis” del Gabinetto dell’Imperatore, è una relazione indirizzata a Napoleone, con gli esiti delle dichiarazioni rese dal Bary e riferite alle vicende degli archivi che lo stesso, dopo il marzo del 1814, aveva solo parzialmente bruciato e distrutto, disattendendo alle disposizioni imperiali. Sulla lettera del settembre 1814, inviata da Bary al Conte di Blacas, in alto a sinistra è presente questa annotazione, vergata a mano da Napoleone: “Bary capo degli archivi, traditore”.
Nonostante questi episodi, Bary all’avvento della seconda Restaurazione conseguente alla sconfitta di Waterloo, ritornò a coprire il suo incarico agli Archivi che mantenne fino al 1848 quando andò in pensione.
Mentre il valore venale dei beni restituiti può essere stimato in qualche decina di migliaia di euro, i manoscritti, fornendo importantissime informazioni sulla composizione degli archivi segreti di Napoleone e sulle vicende che li riguardarono nel corso della prima Restaurazione, hanno un valore storico incommensurabile.
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