“L’invenzione del colpevole” e quel filo rosso che unisce il tardo medioevo a noi
È la sera del 23 marzo 1475. Simone, un bambino di poco più di due anni, figlio di Andrea Lomferdorm, un conciapelli di origine tedesca, scompare a Trento. Il suo corpo sarà ritrovato al mattino di Pasqua, tre giorni più tardi, da Samuele di Norimberga nel fossato che attraversa lo scantinato della sua abitazione.
Il dolore privato si mescola alla commozione pubblica che ne amplifica l’eco e ne deforma la sostanza combinando diversi elementi indipendenti e casuali: la Settimana Santa, la morte di un fanciullo, il rinvenimento vicino all’abitazione di un esponente di spicco della comunità ebraica. Cominciano a circolare insistenti insinuazioni che si alimentano di credenze e pregiudizi antisemiti, radicati già dal XII secolo soprattutto nella comunità tedesca residente, secondo cui era «prassi normale di una setta dedita ai riti stregoneschi e satanici»1 che gli Ebrei torturassero e sacrificassero i bambini cristiani, per evocare la passione e la crocifissione di Cristo, adoperando il sangue delle vittime per pozioni magiche e riti religiosi.
Giovanni de Salis da Brescia, podestà di Trento, dispone che Samuele, sua moglie ed alcuni rappresentanti della comunità ebraica siano tratti in arresto. L’accusa è di infanticidio a scopo rituale. Sentimenti antisemiti, esigenze devozionali e ambizioni di politica ecclesiastica si intrecciano alla morte di Simone per costruire dei nemici prima ancora che dei colpevoli.
I sospettati confessano sotto l’atrocità dell’infamia e delle torture, e il processo inquisitorio, fatto istruire da Johannes Hinderbach, principe vescovo di Trento e vero dominus dell’“operazione mediatica”, mette al bando gli Ebrei da Trento: una frattura profonda, tra la città e i credenti di fede ebraica, che si ricompose solo molto tempo dopo. «Le prime sentenze ed esecuzioni si ebbero ai 21, 22 e 23 giugno del 1475. Due dei condannati ebbero commutata la pena nella decapitazione, grazie alla loro conversione alla fede cristiana; gli altri furono mandati al rogo; a tutti furono confiscati i beni»2. Dal latino gli atti processuali vengono tradotti in tedesco, in volgare italiano, in volgare yiddish per diffondere lo stereotipo antiebraico e seminare l’odio. Mentre attorno a Simone, detto Simonino, si sviluppa e si diffonde una venerazione popolare che nemmeno papa Sisto IV, pena la scomunica, riuscirà ad arginare. Il culto del piccolo martire beato, ufficializzato nel corso del Cinquecento, resisterà fino al 28 ottobre 1965 quando un’approfondita disamina critica delle fonti, anche su impulso di mons. Iginio Rogger3, ristabilisce la verità storica e ne decreta la soppressione4.
L’invenzione del colpevole. Il ‘caso’ di Simonino da Trento dalla propaganda alla storia, la mostra in corso al Museo Diocesano Tridentino, di Trento, parte da qui. Dalla ricerca, dallo studio che indaga la potenza evocativa delle immagini e l’efficacia dirompente della stampa manipolata. L’esposizione vuole fare il punto e parlare all’Italia di oggi, attraversata da “tempi interessanti”, lisciata da rigurgiti antisemiti che si nutrono di revisionismo e negazionismo, che cavalcano il malessere sociale stuzzicando il ventre molle dell’odio nei confronti del diverso, dell’altro da sé. L’ebreo, il povero, il nero, il migrante.
Con un questionario online, condiviso sui canali social ad un mese dall’apertura della mostra, il museo ha voluto promuovere il progetto espositivo e testare il grado di conoscenza e contestualizzazione storica sul “caso” di Simone da Trento. Articolato in cinque semplici quesiti a risposta multipla e uno spazio dove era chiesto di indicare dubbi, curiosità e interrogativi ai quali una mostra dedicata a Simonino avrebbe dovuto rispondere; il breve sondaggio ha registrato, senza alcuna velleità scientifico-statistica, un apprezzabile interessamento. «Il quiz è stato compilato 402 volte. Il 97% delle persone dichiara di aver sentito parlare della vicenda del Simonino, ma se si analizzano le risposte a domande storiche più specifiche i dati restituiscono l’immagine di una conoscenza media dei fatti un po’ imprecisa, sebbene abbastanza buona. Alla domanda “In quale anno si colloca la vicenda di Simonino da Trento?” risponde correttamente il 70% delle persone, mentre quasi il 20% dei compilatori ritiene che il Simonino fosse un bambino ebreo.» Ma sono i contributi a risposta libera, lasciati da oltre la metà degli intervistati, a risultare la parte più significativa. Questi «ruotano attorno a quattro nuclei tematici: la storia della comunità ebraica di Trento, le motivazioni che portarono all’affermazione del culto del Simonino, il contesto storico-culturale del XV secolo e i protagonisti della vicenda, l’antisemitismo antico e moderno. Dalle domande emerge una generale richiesta di chiarezza in merito ai fatti e alle responsabilità del caso, ma trovano ampio spazio anche le riflessioni sull’attualità e sul pericolo dei pregiudizi e del razzismo. Sono ricorrenti i riferimenti al potere dei mezzi d’informazione, alla forza della propaganda e alle cosiddette ‘fake news’. Molti, inoltre, stigmatizzano la logica del capro espiatorio, denunciando come i meccanismi di costruzione del ‘nemico’ siano una costante delle tragedie della storia sia moderna, sia contemporanea.»
Siamo difronte ad «una fake news ante litteram – ha dichiarato la direttrice Domenica Primerano, curatrice del catalogo e della mostra con Domizio Cattoi, Lorenza Liandru, e Valentina Perini – radicata, oggetto di propaganda, strumentalizzazione contro gli Ebrei, che ha prodotto importanti opere d’arte per celebrare il culto del Simonino». Dipinti e incunaboli, sculture e bassorilievi, stampe e disegni, xilografie ed affreschi, reliquiari ed ex voto, sono oltre 70 le opere in mostra nel programma espositivo che si articola su due piani di Palazzo Pretorio. E due sono gli indicatori che dimostrano quanto questo progetto sia stato un lavoro corale che ha coinvolto soggetti diversi e intrecciato competenze trasversali. Da un lato il supporto scientifico dell’Università degli Studi di Trento con Diego Quaglioni, docente ordinario di Storia del diritto medievale e moderno della Facoltà di Giurisprudenza, e con Aldo Galli ed Emanuele Curzel, rispettivamente professore associato di Storia dell’arte moderna e professore associato di Storia medievale, del Dipartimento di Lettere e Filosofia; la collaborazione dell’Archivio Diocesano Tridentino e della Fondazione Museo Storico del Trentino, e il concorso del Castello del Buonconsiglio e del Fondo Ambiente Italiano. E dall’altro la ricchezza di dialogo e collaborazione testimoniata dalle opere in prestito da importanti musei e istituti culturali nazionali e stranieri: le Gallerie degli Uffizi di Firenze, la Pinacoteca Nazionale di Ferrara, la Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli di Milano, la Biblioteca Classense di Ravenna, il Castello del Buonconsiglio di Trento, l’Abbazia di Wilten di Innsbruck.
Infatti, spiega la direttrice, «il progetto parte da lontano. Già da diversi anni le nostre attività didattiche rivolte alla scuola e, in parte, anche i percorsi in città destinati agli adulti includevano il ‘caso’ di Simone da Trento. Il progetto della mostra ha cominciato a prendere forma, almeno come ipotesi di lavoro, nel 2017. Il progetto si è poi meglio definito nel 2018 (anno sul quale abbiamo comunque veicolato alcuni costi in preparazione della mostra). Da gennaio 2019 abbiamo concretamente dato avvio al tutto con le richieste di prestito e gli incarichi per la redazione dei testi. Da agosto i preparativi si sono fatti ovviamente più intensi e da allora tutto lo staff del museo è stato praticamente impegnato esclusivamente nella preparazione della mostra.»
Da ultimo, ma certamente non per importanza, l’esposizione presenta un’opera recuperata: il rilievo con il Compianto sul corpo morto di Simone da Trento, attribuito alla bottega dello scultore svevo Daniel Mauch e databile attorno al primo quarto del XVI secolo. La scultura lignea è una porzione del polittico ad ante mobili posto sull’altare maggiore della chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Trento, luogo dove per secoli vennero custodite le spoglie di Simone. Il rilievo sparì dall’edificio in circostanze mai chiarite prima del 1882, anno in cui fu acquistato, si presume sul mercato antiquario, a Merano. «Oggi il museo – scrive lo staff del Diocesano Tridentino – è in grado di presentare nuovamente questa importante opera al proprio pubblico, con la segreta speranza che essa possa restare nella città per la quale fu realizzata. Per questo motivo il rilievo è stato scelto come immagine guida dell’esposizione.»
Il 13 dicembre alla conferenza di apertura si sono accalcate, tra la Sala degli arazzi e l’esposizione, oltre 200 persone. «Siamo consapevoli delle potenzialità della mostra – ha affermato Lorenza Liandru, responsabile della comunicazione e responsabile dei servizi educativi dell’area adulti del museo e co-curatrice del progetto espositivo – e vedere questa risposta di pubblico da un lato ripaga degli sforzi, dall’altro conferma che l’argomento interessa un pubblico dagli interessi trasversali.»
«È una mostra necessaria e coraggiosa», ha sottolineato Aldo Galli. «Serviva una mostra e non bastava un libro perché l’immagine ha contato tantissimo nel culto del Simonino, soppresso solo 54 anni fa.»
Alla cerimonia di inaugurazione non è mancata la voce della Senatrice Liliana Segre che, non potendo intervenire di persona, ha fatto recapitare per l’occasione una lettera che qui riportiamo integralmente.
Cari cittadini e care cittadine di Trento,
saluto con voi tutti i partecipanti all’inaugurazione della mostra “L’invenzione del colpevole. Il “caso” di Simonino da Trento. Dalla propaganda alla storia”, promossa dal Museo Diocesiano di Trento.
Purtroppo non potrò essere fra voi alla cerimonia di inaugurazione, ma ci tenevo a non far mancare una mia parola in occasione di un evento così significativo. Importante per la città, Trento ricca di storia e memorie locali, italiane, europee, ma importante anche per il tema: un caso una volta tanto positivo di “revisionismo” storico, ma soprattutto civile; importante infine perché promosso dal Museo Diocesiano, a dimostrazione che nel caso specifico la Chiesa cattolica ha mostrato di fare i conti con la storia, passando appunto “dalla propaganda alla storia”.
Non devo ricordare a voi la vicenda di Simonino da Trento, molto più interessante considerare come da un purtroppo classico caso di violenza antisemita, come lo sterminio della comunità ebraica di Trento, ci si può, sia pur a fatica e attraverso un troppo lungo corso di tempo, emancipare.
Un caso emblematico, quello di Simonino, di “invenzione del nemico”, a partire da un evento tragico come la morte di un bambino, con argomenti speciosi ovvero patentemente falsi, ricorrendo alla violenza e alla tortura, si è creato un “mostro” e alla fine lo si è sterminato.
E non è un orrore del lontano XV secolo. Perché nel modernissimo XX secolo si procedette esattamente allo stesso modo: ogni falsità e pretesto furono utilizzati per fare dell’Ebreo il Nemico Assoluto dell’umanità da denigrare, umiliare, depredare e da ultimo sterminare.
Rimanga per sempre nella nostra memoria il monito di Primo Levi: “meditate che questo è stato. Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore”.
Un ideale abbraccio e un caro saluto a voi tutti,
Liliana Segre
L’invenzione del colpevole. Il ‘caso’ di Simonino da Trento dalla propaganda alla storia in mostra fino al 13 aprile 2020.
Da domenica 12 gennaio 2020 il museo propone un ciclo di visite guidate
Museo Diocesano Tridentino
Piazza Duomo, 18 a Trento (TN)
Infoline 0461 234419
Orari: Mercoledì-Lunedì ore 10:00-13:00 e 14:00-18:00. Martedì chiuso.
Note
1 Diego Quaglioni, Rovereto nella controversia sui processi contro gli ebrei di Trento (1475-1478), in Atti Accademia degli Agiati di Rovereto, a. 238 (1988), s VI, v. 28 (A), 1990, p. 117.
2 Op. cit.
3 Al «cercatore di verità», già direttore del Museo Diocesano Tridentino, la mostra è dedicata. Sia in omaggio al centenario della sua nascita (1919-2014) sia per il ruolo di primo piano avuto nel processo di revisione storica dei fatti ed abrogazione del culto di Simone da Trento.
4 Su 2000 vescovi chiamati a decidere, 203 furono contrari all’abrogazione.
Dopo la laurea a Trento in Scienze dei Beni Culturali, in ambito storico-artistico, ho “deragliato” conseguendo a Milano un Perfezionamento in Scenari internazionali della criminalità organizzata, un Master in Analisi, Prevenzione e Contrasto della criminalità organizzata e della corruzione a Pisa e un Perfezionamento in Arte e diritto di nuovo a Milano. Ho frequentato un Master in scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Colleziono e recensisco libri, organizzo scampagnate e viaggi a caccia di bellezza e incuria.