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«Disse Caino al fratello Abele: “andiamo fuori”. E come furon pei campi, Caino insorse contro il fratello Abele, e l’uccise» (Genesi 4,8-16). Genesi, primo libro della Bibbia, narra la storia dei due figli di Adamo ed Eva, Caino agricoltore e Abele pastore. Un giorno avvenne che entrambi offrirono a Dio in sacrificio i prodotti del loro lavoro, ma solo le offerte di Abele vennero accettate. Irato e geloso della preferenza accordata da Dio ad Abele, Caino portò il fratello nei campi e lo uccise.



Questa può sembrare un’indagine un po’ anomala, ma il compito dei tutori del Patrimonio Culturale è quello di ricostruire la verità e ridare dignità ai capolavori perduti e privati della loro storia. Tutto ha inizio con una email, indirizzata al Reparto Tpc: un antiquario cagliaritano chiedeva informazioni su un dipinto del Seicento di cui asseriva essere proprietario. Si trattava dell’opera attribuita a Giovanni Battista Caracciolo detto Battistello, importante seguace del Caravaggio a Napoli, e l’antiquario voleva sincerarsi che non fosse stata rubata. Nella banca dati del Comando Tpc non venne rinvenuta alcuna denuncia di furto: la tela non risultava censita come opera da ricercare. E la storia poteva anche finire lì, invece i carabinieri si sono insospettiti e hanno cominciato a indagare, appurando che nel 2004 l’antiquario in questione aveva già messo il dipinto all’asta da Sotheby’s, a Milano. Verificando le informazioni contenute in un articolo segnalato dallo stesso antiquario e pubblicato sul web è emerso che Michele Figliulo, ex-sindaco di Valva, aveva già citato l’opera fra quelle facenti parte della ricca pinacoteca del marchese Francesco d’Ayala, custodita, prima della sua dispersione, proprio nel castello D’Ayala di Valva. I Carabinieri si sono dunque recati in questo piccolo borgo della provincia di Salerno e hanno avuto la fortuna di trovare una fotografia che ritraeva la tela all’interno della sua cornice e la stessa cornice recante sul retro la scritta «Giovanni Battista Caracciuolo». La fotografia era stata scattata nel 1989 nell’ambito di un censimento eseguito da Figliulo e mostrava anche il contesto in cui era stata immortalata l’opera: sotto il porticato del castello. Con il collega Pompeo Micheli e coordinati dal magistrato titolare dell’inchiesta, dott.ssa Tiziana Cugini, abbiamo potuto ricostruire il profilo dei personaggi implicati, andando a verificare la falsità delle loro affermazioni con domande specifiche e permettendo quindi il sequestro e l’affidamento della tela al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. Un’opera importante, dal valore stimato di circa tre-quattro milioni di euro, che ritrae il momento successivo al tragico evento, quando Adamo ed Eva scoprono il corpo esanime del figlio assassinato. Sulla sinistra, il corpo senza vita del giovane, ai cui piedi è deposta la mascella d’asino, strumento del fratricidio compiuto, è adagiato in una posa classica e arcadica da novello Endimione. Un lieve rivolo di sangue esce dal naso e ricade sulla cerea gota di Abele, immagine del “sangue innocente versato sopra la terra” dal giusto e prefigurazione del sangue versato da Gesù in remissione dei peccati dell’intera umanità. Sopra di lui, in un mutuo colloquio di dolore, Adamo ed Eva celebrano il dramma senza tempo della morte di un figlio. L’angoscia del doloroso dubbio sul responsabile dello scempio trapela nello sguardo sgomento della madre. Un patrimonio ritrovato e conteso, tanto che dopo il ritrovamento si è aperta una querelle giudiziaria. L’antiquario ritiene che la tela sia sua perché acquistata incautamente. Il Comune dice che appartiene a Valva. La controversia finirà in Tribunale, con l’antiquario da una parte e il Comune e l’ordine di Malta che si costituiranno parte civile. Il reato, visti i tempi, sarebbe prescritto, ma la controversia si aprirà ugualmente dopo 25 anni dal furto. Il buon senso trionfa sempre e l’opera, mi auguro, tornerà dove la storia la mise.

La tela ritrae il momento successivo al tragico evento, quando Adamo ed Eva scoprono il corpo esanime del figlio assassinato. Sulla sinistra, il corpo senza vita del giovane, ai cui piedi è deposta la mascella d’asino, strumento del fratricidio compiuto, è adagiato in una posa classica e arcadica da novello Endimione. Un lieve rivolo di sangue esce dal naso e ricade sulla cerea gota di Abele, immagine del “sangue innocente versato sopra la terra” dal giusto e prefigurazione del sangue versato da Gesù in remissione dei peccati dell’intera umanità. Sopra di lui, in un mutuo colloquio di dolore, Adamo ed Eva celebrano il dramma senza tempo della morte di un figlio. L’angoscia del doloroso dubbio sul responsabile dello scempio trapela nello sguardo sgomento della madre. Tema raro e raffinato che non trova riscontro preciso nella fonte biblica, il Compianto di Adamo ed Eva sul corpo di Abele compare spesso nella pittura napoletana dell’inizio del XVII secolo. Sono noti, infatti, diversi esemplari variamente attribuiti alla cerchia di pittori napoletani attivi nella città partenopea nella prima metà del Seicento. Il dipinto qui esposto è entrato nella letteratura artistica solo nel 2001 pubblicato da Nicola Spinosa come opera di “ignoto battistelliano”. Qualche anno dopo (2003) lo stesso studioso ha rivisto la sua posizione attribuendo il dipinto alla mano dello stesso Giovan Battista Caracciolo detto il Battistello, pittore attivo a Napoli tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Seicento. Esponente di spicco del primo naturalismo napoletano, acuto interprete della poetica caravaggesca, del Battistello si conoscono almeno altri due dipinti di analogo soggetto (Museo di Capodimonte a Napoli e collezione privata romana). Il Compianto di Adamo ed Eva sul corpo di Abele secondo Spinosa sarebbe databile agli anni venti del 1600, non oltre il 1630, ossia in una fase ormai matura del percorso artistico del pittore avviato ad una nuova monumentalizzazione dell’immagine che gioca sulla raffigurazione di poche figure imponenti sul piano come sculture. La lezione del classicismo romano ed emiliano, il preciso grafismo del segno si associano allo studio di un meditato e compreso chiaroscuro caravaggesco. Scuro e minaccioso il paesaggio di fondo squarciato da un intenso azzurro quasi scompare a vantaggio degli attori del dramma. L’immagine è tutta occupata e concentrata sulle figure dei protagonisti, del terreo Abele, dei rustici ma intensi Adamo ed Eva in un angosciato colloquio di sguardi e gesti quasi bloccato, focalizzato in modo “metafisico” sul più grande dolore del mondo.

(Scheda tecnica di Alessandra Rodolfo).


Gli autori del recupero, i luogotenenti Roberto Lai e Pompeo Micheli.

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