I falsi sono la morte della storia dell’arte

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Opere contraffatte attribuite a Dadamaino (fonte carabinieri Tpc)

Lo beccarono, secondo le accuse, a falsificare e certificare opere dell’artista Dadamaino, vendendole ovviamente per vere. Lui è un noto critico d’arte. La magistratura sta facendo la sua parte nel capire responsabilità e innocenze, ma la domanda d’etica professionale era e rimane sempre questa: un critico che dovrebbe vivere della sacralità intangibile dell’opera d’arte, non si sente un lurido ignobile quando, consapevolmente, esercita l’azione più vigliacca che il suo mestiere consente, ovvero falsificare la storia dell’arte, inventare una storia dell’arte che non c’è, far uscire dalla mano morta dell’artista opere che l’artista mai ha prodotto o pensato e certificarle come vere? Confidiamo che il critico d’arte, coinvolto con altre persone, esca del tutto innocente dalle accuse che gli sono state rivolte, perché, se così non fosse, se fossero appurati il reato e la responsabilità diretta, lui non è più un critico d’arte: è un distruttore della storia dell’arte e, come tale, andrebbe giudicato.
Se tu vandalizzi un’opera d’arte, ne riconosci la potenza, la maestà. Per questo la sfregi: perché ti turba la sua rilevanza. Ma se ti inventi opere che l’artista mai ha realizzato, le certifichi come manufatti da lui compiuti, le vendi come fossero uscite dal suo personale studio, tu fai un lavoro più diabolico del vandalo.
L’atto dello sfregio innalza la sacralità dell’opera. La falsificazione mercantile, invece, fa una cosa più brutale. È come se dicesse: la storia dell’arte non conta niente, come se non contasse niente il corpo di un malato per un dottore. Conta la trasformazione dell’opera (vera o falsa che sia) in merce di scambio, patteggiamento, denaro contante. Leggete il libro-denuncia “L’affare Modigliani” di Dania Mondini e Claudio Loiodice (Chiarelettere) per entrare negli abissi più scandalosi, più innominabili, di chi ha falsificato opere, documenti, tracce, manoscritti, grafie di Amedeo Modigliani, con un solo chiarissimo obiettivo: lucrare fiumi di denaro.


Falso Modigliani sequestrato nel 2019 a Palermo (fonte carabinieri Tpc)

Se un critico sbaglia un’autenticazione o un’attribuzione, fa parte della difficoltà del suo lavoro di rilettore della storia dell’arte. Ma se falsifica consapevolmente opere mai realizzate dagli artisti, esso smette di essere critico ed inizia a essere un’altra cosa: un verme.
Arriveremo ad un punto in cui i falsi nell’arte saranno così tanti che non compreremo più un’opera nel timore che non sia vera. Arriveremo a questo momento: i falsi nati per essere venduti come veri saranno così frequenti e ben documentati che giungeranno a paralizzare il mercato stesso dei veri. Perché falsifichi un Modigliani, un Burri, un Dorazio? Per certificarlo in mostre e cataloghi e poi venderlo come fosse vero, al prezzo del vero. Cosa comporta però se sempre più casi di falsi vengono scoperti, denunciati e la stampa giustamente ne dà risalto? Succede che, fintanto che i casi rimangono sporadici, tutto rimane come prima. Ma se i falsi, come sta accadendo, si moltiplicano, se la distinzione tra opere autografe, opere autenticate, opere documentate, e opere dubbie si assottiglia fino a scomparire perché i lavori – veri o falsi che siano – vengono immediatamente certificati e ufficializzati da mostre e volumi accreditanti, toccheremo un momento in cui il mercato imploderà. Nell’incertezza che la tela, la scultura, il disegno siano falsi, nell’incertezza che tutte le documentazioni fornite siano state alterate alla perfezione, nell’incertezza che anche l’expertise più autorevole sia stata condizionata da referenze, influenze e pagamenti considerevoli, nessuno comprerà più niente. Il mercato si inibirà della sua stessa forza. Compreremo le opere solo nelle case degli artisti ancora vivi, dalle loro stesse mani. E gli artisti morti, pazienza, li andremo a vedere nei musei.

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