Accade spesso di sentirsi dire frasi come «Stavo sistemando la soffitta di mia madre e l’ho trovato in mezzo ai ricordi di una vita», per poi innescare la naturale curiosità umana verso un oggetto che non si conosce ma di cui si rileva un’aurea speciale. Allo stesso tempo, però, sorgono diversi quesiti, quali: adesso che l’ho ritrovato, è di mia proprietà? Dovrò pagare le tasse di successione anche su questo oggetto? A chi posso rivolgermi per capire che cosa sto guardando?
1. La proprietà
La proprietà privata di oggetti aventi un interesse culturale (espresso o meno dall’Amministrazione competente) è un lecito diritto protetto dall’attuale normativa nazionale e internazionale: l’Italia, attraverso gli artt. 832 e 839 del Codice Civile, sottopone tali cose, mobili e immobili, alle disposizioni speciali in materia, ossia al Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. Lgs. 42/2004 e s.m.i.).
Appare immediatamente necessario fare alcune precisazioni su questo tema, spesso sentito come un vero e proprio “problema” che può anche comportare l’adozione di comportamenti illeciti da parte di “proprietari poco attenti”.
Innanzitutto, è bene ricordare che lo scopo del Codice dei beni culturali (leggasi dello Stato) è quello di adottare tutte le azioni necessarie in attuazione dell’art. 9 della Costituzione:
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Per questo motivo, l’art. 2 del Codice afferma che:
La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura.
Entro tali margini si muove l’azione statale e da questo si può evincere il ruolo propositivo dell’Amministrazione competente (ossia, il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo), da leggersi a protezione del patrimonio culturale nazionale e al servizio dei cittadini.
Come qualsiasi bene, anche un oggetto con presumibile valore storico-artistico o archeologico (per citare i casi più diffusi), è sottoposto all’asse ereditario e alle norme successorie previste dal nostro ordinamento.
Un’unica limitazione alla proprietà privata è prevista per le cose mobili o immobili che presentano un interesse archeologico: per esse, infatti, è necessario affermare (mediante autodichiarazione ai sensi del D.P.R. 445/2000) il possesso precedente al 1909, anno in cui entrò in vigore la Legge n. 364 per la protezione delle “antichità e belle arti”, oppure il lecito acquisto secondo le modalità previste dalla Legge, ossia già sottoposte all’attenzione dell’Organo di tutela.
Si faccia attenzione, però, che le autodichiarazioni rilasciate sul possesso delle cose archeologiche precedente al 1909 possono anche essere sottoposte ad accertamento, su richiesta del Soprintendente competente (si veda oltre), a cura del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, fiore all’occhiello della tutela italiana nel campo dei beni culturali.
2. Tasse di successione
Gli oggetti con valore artistico concorrono a formare l’asse netto tassabile e il loro valore viene aggiunto a quello derivante dai beni immobili, dagli strumenti finanziari e dal restante attivo ereditario. Tali beni artistici, secondo l’attuale normativa, devono essere dichiarati per il valore venale espresso dal comune commercio. Tuttavia, l’art. 13 del Testo unico sull’imposta di successione e donazione (D. Lgs. 346/1990) esclude dall’attivo ereditario i beni dichiarati di interesse culturale ai sensi dell’art. 13 del Codice dei beni culturali.
L’inventario dei beni culturali di proprietà privata del defunto, unitamente alle dichiarazioni rilasciate dalle Soprintendenze competenti, andrà presentato all’Agenzia delle Entrate insieme con la dichiarazione di successione, entro un anno dal decesso del proprio congiunto. Tuttavia, la norma esclude questa soluzione qualora si agisse allo scopo di alienare i beni, esportarli senza autorizzazione, oppure per il mancato assolvimento degli obblighi di conservazione da parte del successore.
E se l’oggetto ritrovato non fosse dichiarato di interesse culturale? In questo caso, l’art. 9 del D. Lgs. 346/1990 prevede un’ulteriore possibilità di esonero, prevedendo l’imponibilità per il 10% del valore globale netto dell’asse ereditario.
Per tutti questi aspetti, si raccomanda comunque il ricorso a professionisti del settore (commercialisti o avvocati tributaristi).
3. A chi ci si deve rivolgere?
Da professionista la risposta deve essere – in ogni caso – alla Soprintendenza competente per il proprio territorio di residenza, o per il luogo ove sono conservati i beni.
Le Soprintendenze, istituite nel lontano 1902, sono gli organi periferici del Ministero incaricato della tutela del patrimonio culturale nazionale (Ministero della Pubblica Istruzione fino al 1974 e oggi Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo). Tali Uffici, regolamentati dal recente D.P.C.M. 169/2019, prevedono al loro interno tutte le figure necessarie per la tutela del patrimonio culturale, grazie alla contemporanea presenza di archeologi, architetti, storici dell’arte, restauratori, antropologi e diagnosti dei beni culturali.
Tali funzionari sapranno aiutare il privato cittadino nell’espletamento delle eventuali formalità amministrative e, soprattutto, sapranno descrivere l’oggetto ritrovato casualmente in soffitta, pur non fornendone – per deontologia – alcuna valutazione economica. Potrebbero invece avviare la procedura di dichiarazione di interesse culturale, ai sensi dell’art. 14 del Codice dei beni culturali, oppure comunicare l’assenza di tale interesse.
Si noti bene che la dichiarazione di interesse non lede in alcun modo la proprietà privata, bensì sottopone la cosa avente un particolare interesse culturale a un regime di tutela speciale, di cui parleremo meglio prossimamente.
La materia è senz’altro complessa, in alcuni passaggi decisamente ostica. Di solito infatti, le richieste rivolte a un professionista dei beni culturali sono indirizzate a trovare supporto o una vera e propria bussola in questo mare in burrasca, così da non finire vittime di ritrovamenti imprevisti o eredità scomode.
Al professionista in questione si potrà chiedere una valutazione della natura dell’oggetto, del suo possibile valore culturale ed economico, del suo stato di conservazione e, soprattutto, l’indicazione dei passaggi amministrativi formali per la sua corretta e lecita gestione.
A questo punto mi chiederete: esiste un albo dei periti d’arte a cui rivolgersi? La risposta è “No!”. Sebbene ipotizzato già nel 1971, tale albo non è mai stato regolamentato e, ad oggi, il mondo dell’arte abbonda di sedicenti e autoaffermati “periti”, “critici”, “esperti”. Cerchiamo quindi di fare chiarezza.
Non esistendo un albo dei periti d’arte (tantomeno degli archeologi o degli storici dell’arte) bisogna innanzitutto analizzare il curriculum vitae et studiorum delle persone che vorremmo contattare: è bene ricordare che, attualmente, un archeologo o uno storico dell’arte si formano in ambito universitario mediante una laurea triennale, una laurea magistrale e un percorso post-lauream (scuola di specializzazione e/o dottorato di ricerca). Ad essi si affiancano master e corsi di perfezionamento, esperienze lavorative e attività sul campo.
Una regolamentazione di tutto questo settore è giunta solamente di recente con il D.M. 244/2019, che istituisce i cosiddetti “Elenchi dei professionisti dei beni culturali”. In questo decreto si attribuisce ad archeologi e storici dell’arte di prima fascia (il livello maggiore) anche il compito di eseguire perizie ed expertise sulle cose presumibilmente aventi valore culturale.
È però opportuno evidenziare che questi “Elenchi nazionali” non costituiscono un Albo e che, quindi, l’iscrizione non è obbligatoria. Tuttavia, è altrettanto vero che per accedere all’Elenco è prevista la valutazione dei titoli posseduti e dell’attività lavorativa pregressa, punto di partenza fondamentale, come sopra definito, per la valutazione della persona a cui affidarsi.
Ulteriore modalità di riconoscimento di un “Perito-Esperto” è quella relativa alla sua iscrizione agli albi tenuti presso le Camere di Commercio sulla base del D.M. 29 dicembre 1979. In questa sede, il candidato perito-esperto, oltre alle qualità morali, deve dimostrare il possesso di un curriculum vitae idoneo alla specializzazione richiesta (per gli oggetti d’antichità e d’arte, categoria n. 22). Anche in questo caso, la valenza dell’iscrizione è pubblicistica anziché dirimente rispetto all’assenza di un vero e proprio albo.
Infine, c’è un’ulteriore categoria, ad avviso di chi scrive, la più importante: i consulenti tecnici d’ufficio (C.T.U., ai sensi degli artt. 13-16 Disp. Att. c.p.c.) o periti (ai sensi degli artt. 67-69 norme di attuazione c.p.p.) presso i Tribunali della Repubblica.
Tali soggetti, iscritti in appositi registri conservati presso la sede del tribunale (e spesso consultabili online), possono essere chiamati dal Giudice civile o penale, così come dal Pubblico Ministero o dalla Polizia giudiziaria, per la risoluzione di determinati quesiti: ciò sottintende una selezione iniziale di non secondaria rilevanza. Alcuni tribunali, inoltre, richiedono la preventiva iscrizione all’albo della locale Camera di Commercio, sinonimo di una preliminare verifica dei requisiti necessari per assolvere al meglio il compito conferito.
Riassumendo, è bene rivolgersi a un professionista che possa dimostrare un curriculum vitae et studiorum adeguato alle vostre esigenze (per esempio, il tema dell’autenticazione dei beni culturali viene affrontato in pochissime università italiane, con ai vertici Roma Tre e Padova), il cui ruolo sia riconosciuto da uno o più enti preposti a tale compito (Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo – Direzione Generale Educazione e Ricerca, Camere di Commercio, Tribunali della Repubblica) e, piccolo “trucco”, che sappia spiegarvi senza problemi la differenza fra perizia ed expertise (argomento che toccheremo in un prossimo appuntamento).
Per saperne di più:
M. Fiorilli, S. Gatti, Beni culturali. Fiscalità, mecenatismo, circolazione, Editoriale Scientifica, Napoli 2019
Ringrazio Serena Epifani, Michela De Bernardin e tutto il Comitato di Redazione di The Journal of Cultural Heritage Crime per la fiducia accordatami nella costituzione di questa “Rubrica” mensile sui temi del diritto del patrimonio culturale, dell’autenticazione dei beni culturali e dell’archeologia legale.
Specializzato in Archeologia Classica presso l’Università degli Studi di Padova, si occupa di ricerca, sviluppo e formazione nei settori dell’archeologia legale (con particolare attenzione al tema della falsificazione dei beni archeologici), della museologia e della progettazione culturale. È perito e C.T.U. presso il Tribunale di Udine, iscritto all’elenco dei Periti ed Esperti della Camera di Commercio di Pordenone-Udine.