Persi, recuperati, dimenticati. Il ritorno della dea Cerere

Il patrimonio recuperato costituisce parte integrante della nostra eredità culturale, ma è per lo più sconosciuto al grande pubblico. Dei numerosi recuperi effettuati nel passato non si parla più e oggetti che pure sono di straordinaria bellezza cadono nell’oblio, esposti senza indicazione della loro storia insieme a tanti altri nei nostri musei o, nel peggiore dei casi, conservati nei magazzini

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L’identità di un popolo si riconosce dalla sua storia, dalle sue tradizioni. Aggredire il patrimonio culturale di una nazione equivale a cancellare parte della sua stessa identità e a produrre danni che vanno oltre la materiale perdita delle opere, in quanto privano le generazioni presenti e future della possibilità di leggere il percorso storico, culturale e sociale vissuto da quelle passate.

L’impegno continuo, profuso nel tempo per conservare e tramandare un patrimonio di beni mobili e immobili di notevole valore artistico e storico, si è spesso scontrato quindi con l’assenza di memoria pubblica. Se è vero che ogni bene recuperato ricompone una pagina di Storia, il recupero sarà davvero tale solo se non sarà nuovamente dimenticato.

Nel lontano 1997, tra le tante conferenze stampa, l’allora Comando Tutela Patrimonio Artistico presentò un sequestro di diverse centinaia di reperti: all’epoca non si dava peso alla quantità, ma alla qualità dei beni recuperati. Tra questi figurava una statuetta in bronzo raffigurante Cecere, che riportammo in Patria con il collega Morando.

Cerere è una divinità latina arcaica della vegetazione e delle messi, il cui culto era associato a quello della Terra Madre (Tellus Mater). Ben presto, in seguito al processo di ellenizzazione, fu pienamente identificata con la dea greca Demetra, di cui assunse gli attributi e le vicende mitiche. A Roma, il suo centro cultuale più importante era un tempio ai piedi dell’Aventino (493 a.C.) dove veniva adorata assieme a Libero e Libera, costituendo con questi la cosiddetta “triade dell’Aventino”. In onore di Cerere si celebravano ogni anno le feste Cerealia, ultimo giorno del ciclo dei ludi Cereales (12-19 aprile).

La nostra era un’opera di pregevole fattura, che conserva ancora oggi tracce dell’ageminatura in argento e che era stata trafugata da un magazzino della Sovrintendenza Archeologica di Roma nel 1972. Adesso, invece, faceva bella mostra di sé da diversi anni in una vetrina di bronzi romani del I secolo d.C. presso il Römisch-Germanisches Museum  di Colonia in Germania.

Nell’esposizione organizzata dai carabinieri, anche un lotto di 108 reperti archeologici recuperati grazie a una delle prime collaborazioni con la dogana francese, attraverso un’attività organica d’indagine dell’allora Reparto Operativo Carabinieri Tutela Patrimonio Artistico. Gli speciali Monuments Men, grazie alla collaborazione di funzionaria delle dogane francesi, riuscirono a bloccare a un’ora dal traforo del Fréjusa Chambéry, un trafficante italiano che aveva da poco varcato la frontiera.

Tra i reperti recuperati, anche un grande cratere apulo a volute e un’anfora apula frammentaria di grande qualità, sulla quale è raffigurata la leggenda di Filotette. Questo eroe, originario della penisola di Magnesia in Tessaglia, figurava tra i pretendenti di Elena e a questo titolo si era unito alla spedizione contro Troia. Guidava un contingente di sette navi con cinquanta arcieri. Tuttavia non arrivò mai a Troia con gli altri principi. Durante uno scalo a Tenedo, fu morso al piede sinistro da un serpente nel corso di un sacrificio. La ferita divenne in poco tempo così infetta da emanare un nauseabondo e insopportabile fetore. Ulisse non faticò molto a persuadere gli altri capi elleni ad abbandonare il ferito a Lemno, allorché la flotta passò vicino a quest’isola, allora deserta, situata nell’Egeo settentrionale tra la penisola del Monte Athos e la costa anatolica. Filottete vi rimase per 10 lunghi anni, cibandosi degli uccelli che riusciva a catturare con le frecce e l’arco di Eracle.

Al centro dell’esposizione, infine, era posta anche una testa marmorea di Eracle, rubata nel 1994 dalla villa Aldobrandini di Roma.


Scheda

La statuetta di Cerere è conservata oggi al Museo Nazionale Romano.

Recupero Carabinieri Tutela Patrimonio Artistico 1997

  • Bronzo, alt max 28,3; alt statuetta cm.22. Patina verdastra in superficie. Lacune nella veste e nella basetta.
  • Inv. n. 190665.
  • Provenienza: Roma, scavi San Giovanni in Laterano.
  • Bibliografia : N. Franken 1994, pp. 467-468 ivi bibl. precedente; Santamaria Scrinari, 1995, p.96.
  • Descrizione: La statuetta è collocta su una base circolare, modanata, dai bordi profilati e decorati. La figura gravita sulla gamba destra, mentre scarta leggermente di lato la sinistra. Nella mano destra protesa in avanti teneva una patera, ora perduta, col braccio sinistro regge una lunga cornucopia con frutti, tra cui una pigna. Indossa un chitone, chiuso sulle spalle e sugli avambracci da una serie di bottoncini. Sopra il chitone porta un mantello doppio allacciato sulla spalla destra. La testa è cinta da un diadema ed è caratterizzata da una capigliatura a bande ondulate che si raccolgono in un grosso nodo, dal quale scendono due lunghe ciocche sulle spalle. La statuetta discende da un tipo statuario creato probabilmente in età ellenistica e noto attraverso numerose copie di età imperiale romana. La cornucopia è in genere attributo caratteristico di Tyche – Fortuna, divinità che ebbe vasto seguito in età imperiale romana, sopratutto nel II secolo d.C. Tuttavia è opportuno ricordare che iconografie molto simili furono utilizzate anche per altre divinità, quali Iside – Fortuna, o per personificazioni di virtù o città.
    (Daniela Candilio)


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