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Storie di pagine dipinte. Manoscritti e miniature recuperate dai Carabinieri

(Tempo di lettura: 6 minuti)

«Oh!», diss’io lui, «non se’ tu Oderisi,
l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte
ch’alluminar chiamata è in Parisi?».

«Frate», diss’elli, «più ridon le carte
che pennelleggia Franco Bolognese;
l’onore è tutto or suo, e mio in parte.»

Le lettere miniate sembrano ridere talmente sono colorate, vivide e luminose. Così ce le descrive Dante Alighieri,  nel canto XI del Purgatorio, mentre si rivolge ad Oderisi da Gubbio, considerato fra i massimi miniatori del suo tempo.

Storie di pagine dipinte. Catalogo della mostra.

Pagine decorate, miniature preziose, lettere dai colori vividi che si stagliano sulle pagine e sembrano sorridere ai visitatori che possono ammirarle a Palazzo Pitti fino a ottobre all’interno del percorso espositivo Storie di Pagine dipinte. Miniature recuperate dal Nucleo Tutela del Patrimonio di Firenze.

La mostra raccoglie circa quaranta antichi manoscritti, corali liturgici e pergamene illustrate dai grandi maestri di Medioevo e Rinascimento, trafugati e in seguito recuperati dal Nucleo Tutela del Patrimonio di Firenze ed è ospitata e progettata dalle Gallerie degli Uffizi che da anni dedicano spazio ed impegno alla diffusione della cultura e del concetto di legalità ed educazione al patrimonio che il Nucleo Tutela cerca di trasmettere.

I quaranta codici miniati e pergamene finemente illustrate e decorate che sono ospitati nella Sala delle Nicchie di Palazzo Pitti attraversano la storia della grande produzione libraria dell’Italia centrale fra Duecento e Cinquecento. I corali, provenienti da Castelfiorentino, Pistoia, Perugia, Colle di Val d’Elsa e Firenze si fanno portavoce del talento di celebri artisti del tempo come il Maestro di Sant’Alessio in Bigiano a capo di una delle botteghe più attive nella Toscana di fine XIII secolo e famosi miniatori come Pacino di Bonaguida, Attavante degli Attavanti, Gherardo e Monte di Giovanni.

 Ufficio dei Morti appartenuto a Papa Leone X de’ Medici (foto di Michela De Bernardin).

Si tratta di opere di grande valore artistico, ma la bellezza e il pregio di questa mostra non risiedono esclusivamente nel prezioso materiale esposto. La vera attrazione del percorso espositivo viene rivelata attraverso il dispiegarsi della storia dei furti e dei recuperi di cui è protagonista ogni volume, ogni pagina, ogni miniatura.

Il valore aggiunto dell’esposizione consiste proprio nella capacità di sapersi narrare, sulle tracce delle opere raccolte in mostra. Attraverso una sintesi del grande lavoro di ricerca, documentazione, analisi e ricostruzione storica delle vicende inerenti il materiale esposto, si è potuta costituire una narrazione che costituisce l’autentico fil rouge del progetto.

La mostra nasce da una riflessione sulla prospettiva suggerita dalle molte esposizioni che si concentrano sul tema dei beni artistici recuperati dal TPC. I progetti espositivi nati in relazione a questo tema si focalizzano tendenzialmente su due punti di vista: la valorizzazione della bellezza e del pregio delle opere recuperate e la riflessione sul danno perpetrato dai furti e la dissoluzione dell’integrità del contesto che ne consegue.

Come ci ha ricordato il direttore delle Gallerie degli Uffizi – Eike Schimdt – nella mattinata inaugurale della mostra, il progetto ha mirato a riassumere un lavoro di ricerca intesa in senso criminalistico di pari passo con una ricerca di tipo storico – artistico.

I materiali esposti in mostra hanno necessità di essere valorizzati da un allestimento che li presenti nel migliore dei modi, ma anche e soprattutto di approfondite campagne di studio che ne ricostruiscano le vicende e gli intrecci narrativi: questo è proprio il cuore del progetto.

Le pagine recuperate e selezionate sono infatti tutte protagoniste di storie diverse, ma accomunate da una dinamica costante. Al principio c’è un inizio fausto, un intreccio complicato – che talvolta porta anche alla asportazione di pagine o lettere minate ritagliate dai ladri per essere vendute clandestinamente sul mercato nero – e infine una conclusione lieta dovuta al recupero delle stesse.

La mostra e il catalogo che la accompagna sono il risultato del lavoro di collaborazione fra i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Firenze, le Gallerie degli Uffizi e storici dell’arte, specializzandi e dottorandi del corso di Storia della Miniatura dell’Università degli Studi di Firenze che hanno operato, sotto la supervisione della professoressa Sonia Chiodo – una dei massimi esperti mondiali in codicologia – un lavoro di analisi, ricerca e ricostruzione dei libri perduti, basato sull’incrocio dei dati derivati dalla disamina delle fonti, dalla ricerca archeologica, bibliografica, dall’indagine in fototeca e dallo studio della liturgia.

Considerata la complessità di un settore di ricerca specialistico come quello della codicologia, risulta ancor più evidente quanto sia importante che le indagini delle forze dell’ordine si avvalgano del supporto scientifico di competenze qualificate ed esperti del ramo.

Visitatore alla mostra (foto di Serena Oliveri).

Il focus e la peculiarità della mostra risiedono pertanto nell’operazione sinergica attuatasi fra le forze dell’ordine e la comunità scientifica resa possibile da un clima di dialogo e cooperazione fra i due settori, favorito dall’efficace mediazione svolta dalle Gallerie degli Uffizi.

Gli Uffizi, come ribadisce il direttore, si propongono da anni il traguardo di valorizzare in loco il patrimonio territoriale attraverso un’azione efficace, attiva e polidirezionale che si snoda fra centro e periferia.

La mostra Storie di pagine dipinte non può che corrispondere perfettamente alle aspettative descritte dagli indirizzi culturali dichiarati dagli Uffizi, tenendo inoltre presente il collegamento diretto che si viene a creare tra il contenuto della mostra e la natura stessa dell’istituzione museale.

Infatti gli Uffizi, a differenza di quanto è accaduto per altre celebri e antiche realtà museali, preservano ancora la Biblioteca all’interno della propria istituzione, e con essa mantengono vivo e saldo un legame e una connessione che si può riflettere – come in questo caso – nell’attenzione dedicata alla valorizzazione dei volumi miniati esposti.

Il risultato tangibile di questo lavoro non consiste esclusivamente nell’allestimento espositivo realizzato, ma anche e soprattutto nell’accurata pubblicazione del catalogo derivatane.

Il catalogo, vera e propria eredità materiale del progetto, raccoglie non solo le descrizioni accurate delle opere esposte con annesse le storie della creazione, degli autori e del contesto di appartenenza, ma anche le ricostruzioni di tutte le rocambolesche vicende dei furti e dei recuperi delle stesse.

Il catalogo, da custode delle storie delle opere che descrive, diventa esso stesso un’opera di pregio e assume il valore di repertorio e punto di riferimento per gli studi futuri.
Come precisa Sonia Chiodo, le schede contenute nel catalogo ricostruiscono le serie di volumi dispersi e, grazie al censimento delle mancanze, fungono da banca dati aggiornata e da validissimo strumento di indagine.

Oltre al catalogo che di certo sintetizza il felice esito del lavoro di sinergia creatasi fra le forze dell’ordine e gli esperti del settore, un risultato analogamente efficace è certamente il particolare corredo infografico della mostra.
All’interno del percorso espositivo sono proiettati infatti sette disegni opera della nota illustratrice Vanna Vinci, resi interattivi grazie a un sistema di tecnologia touch con la funzione di agevolare la comprensione dei visitatori in relazione alle singole vicende di creazione, furti e recuperi delle opere.

Pannellistica digitale (foto di Michela De Bernardin).

L’utilizzo di tecnologie moderne e strategie il più possibile coinvolgenti dimostra ancora una volta la volontà di rendere questo progetto espositivo qualcosa che superi la dimensione dell’esposizione temporanea, ma che si dimostri piuttosto un modello replicabile di “laboratorio di tutela” che sappia coniugare ricerca, esposizione e sensibilizzazione.

Il carattere innovativo, multimediale e sonoro della mostra riflette curiosamente la più interessante peculiarità del corale liturgico miniato: la multimedialità. Il libro liturgico miniato può essere definito infatti come il libro multimediale del Medioevo come ci ricorda lo stesso generale di Brigata Roberto Riccardi, Comandante del Nucleo Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale.

La natura stessa del corale rappresenta l’unione fra il sapere e l’arte visiva che si declina attraverso le sue differenti manifestazioni.  I corali liturgici infatti non sono certamente libri comuni. Non sono destinati allo studio individuale o al diletto personale, si tratta per la precisione di volumi contenenti i testi musicali e verbali dei canti intonati dalle comunità religiose maschili o femminili durante la celebrazione della Messa o della liturgia delle ore ed esibiti in posizione elevata al centro del coro.

Il valore aggiunto di questi volumi, al pari di affreschi, dipinti e sculture presenti negli stessi luoghi sacri, oltrepassa la capacità di rappresentare il talento e la maestria dei loro artefici e consiste nel saper comunicare attraverso più “canali” i contenuti e i valori culturali e spirituali delle comunità che li hanno commissionati e che ne fruivano.

Si può azzardare dunque la definizione di “e-book” del Medioevo per la loro capacità di interagire con il lettore attraverso diversi sensi, passando dalla vista all’udito senza dimenticare l’importanza del tatto e dello stimolo all’immaginazione.
Lo stesso forte richiamo all’immaginazione quanto alla riflessione che – millenni dopo – i manoscritti e le lettere miniate riescono a stimolare attraverso le sale di Palazzo Pitti.

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