The Stolen Works of Art database. La banca dati delle Opere d’Arte rubate di INTERPOL
Anche quest’anno INTERPOL ha pubblicato il manifesto delle opere d’arte più ricercate al mondo, con l’invito a segnalare la loro presenza laddove venissero intercettate. Abbiamo incontrato il coordinatore della Works of Art Unit del Segretariato Generale di INTERPOL, Corrado Catesi, al quale abbiamo chiesto lumi sulla diffusione dei poster e sul funzionamento della banca dati delle Opere d’Arte rubate.
Nei manifesti diffusi da INTERPOL campeggiano le foto dei beni d’arte più ricercati in assoluto. Quanto è importante informare il pubblico?
Ormai dal 1972, due volte all’anno, pubblichiamo il poster delle opere più ricercate al mondo. Insieme alla sensibilizzazione del pubblico sul problema dei beni rubati e sottratti alle comunità, vogliamo richiamare l’attenzione di tutti i collezionisti e degli operatori del settore sulla verifica della lecita provenienza di un oggetto d’arte prima del suo acquisto.
INTERPOL pubblica due tipi di poster: il poster ordinario, che esce a giugno e a dicembre; e il poster speciale, che riguarda eventi specifici e che pone l’enfasi su una vicenda o un furto in particolare, come quelli a Castelvecchio in Italia, a Mosul in Iraq o a Palmyra e Raqqa in Siria.
Il poster ordinario permette di focalizzare l’attenzione su sei oggetti rubati e non ancora recuperati, che noi consideriamo tra i più importanti sottratti illecitamente negli ultimi sei mesi. Gli oggetti selezionati non sono quelli che hanno valore economico più alto. Più del valore economico, infatti, è importante il valore culturale che un oggetto d’arte racchiude. I beni culturali segnalati appartengono a sei distinte categorie individuate in vari paesi e possibilmente provenienti da regioni del mondo diverse. L’obiettivo è quello di fare arrivare al pubblico il messaggio per cui i furti non accadono soltanto in Europa, dove c’è sicuramente una maggiore sensibilità verso alcune forme artistiche, ma possono verificarsi in tutto il mondo e avere come oggetto i beni più svariati. A dicembre 2019 abbiamo inserito nel manifesto il cranio di un orangotango rubato da un museo olandese: nel paese il fatto ha suscitato grande scalpore perché, anche se custodito in un museo, in pochi hanno compreso il suo valore culturale, che evidentemente non è percepito da tutti nello stesso modo. Anche questo bene, dunque, al pari di un’opera d’arte universalmente intesa, può essere ricercato da INTERPOL, perché veicola come tutti gli altri oggetti nel poster un messaggio culturale, che lo rende importante e che non può assolutamente essere trascurato.
Il messaggio principe che cerchiamo di comunicare risale alla fondazione della banca dati, creata nel 1995, lo stesso anno in cui è stata emanata la Convenzione Unidroit. Quest’ultima all’art. n. 4 indica chiaramente che, prima di comprare un bene d’arte, chiunque, in base al principio della “dovuta diligenza”, dovrebbe consultare ogni registro ragionevolmente accessibile di beni culturali rubati e ogni altra fonte di informazione per assicurarsi della lecita provenienza del bene. In sostanza, negli stessi anni in cui si matura l’esigenza di porre l’enfasi sulla lecita provenienza di un bene prima dell’acquisto o, in generale, della sua immissione nel mercato, INTERPOL crea il database delle opere d’arte rubate per uso esclusivo delle sue forze di polizia e che rapprensenta oggi uno dei registri internazionali di riferimento. La Convenzione Unidroit non fa riferimento alla banca dati INTERPOL perché questa è venuta poco dopo. In quella fase esistevano soltanto la banca dati “Leonardo” gestita dai Carabinieri e quella del Registro dell’OCBC, l’unità specializzata francese. Quello che noi cerchiamo di ribadire, insomma, è sempre la necessità di verificare la provenienza degli oggetti d’arte, fornendo uno strumento straordinario come la banca dati di INTERPOL. Del resto, non è possibile chiedere a ognuno di utilizzare la diligenza del buon padre di famiglia prima di acquistare un oggetto d’arte se prima non gli si dà la possibilità di verificare la sua provenienza. Anche soltanto un controllo andrebbe sempre fatto.
Si è notato un incremento, grazie al suo utilizzo, del numero di beni culturali ritrovati?
Sì. In questa direzione ci incoraggiano i dati forniti dall’UNESCO. Pare, infatti, che rispetto ad altre opere rubate, gli oggetti inseriti nei poster dei “Most Wanted Works of Art” abbiano una probabilità più alta del 15% di essere ritrovati, identificati, sequestrati e recuperati, e quindi restituiti all’avente diritto.
Quanti sono gli oggetti presenti nella banca dati?
Attualmente ne figurano al suo interno più di 51.000 provenienti da 134 paesi appartenenti a INTERPOL. Poi ci sono paesi come l’Italia, che hanno un numero elevatissimo di oggetti rubati e paesi che ne hanno soltanto uno.
Quali sono i criteri di inserimento delle opere d’arte nel database?
Intanto gli oggetti che riceviamo provengono tutti da un fatto-reato. La banca dati di INTERPOL, infatti, è l’unico database internazionale basato su informazioni di polizia, fatto fondamentale questo per la successiva restituzione, qualora un giorno un oggetto rubato venisse identificato e localizzato dall’altra parte del mondo. Se prima le informazioni erano riservate, dal 2009 in poi per decisione dell’Assemblea Generale di INTERPOL l’accesso ai dati è pubblico. Due i motivi: il primo, perché il database non contiene dati sensibili, quindi al suo interno non figurano le informazioni di polizia, ma solo quelle relative all’oggetto d’arte, come le sue dimensioni o in generale la descrizione. Sicuramente non vengono indicati né il valore né il luogo da cui è stato rubato; il secondo motivo è legato all’efficacia di tutta l’operazione: più persone hanno accesso al database, più possibilità abbiamo noi di perseguire il nostro obiettivo, quello cioè di ritrovare le opere d’arte. E non è raro che qualcuno ci segnali la presenza in un dato luogo di un oggetto inserito nella banca dati.
Un requisito importantissimo perché un bene culturale possa essere inserito nella banca dati è la foto di buona qualità, anche perché siamo di fronte a un sistema che offre la possibilità di effettuare non solo una ricerca tradizionale per categorie, ma anche visuale, per cui se non c’è una buona qualità iniziale, la consultazione darà sempre esito negativo, anche se l’oggetto è stato registrato. Esistendo dal ’95, anche noi abbiamo foto non sempre nitide. Oggi la buona qualità delle immagini è una condizione necessaria, altrimenti a livello internazionale se i dettagli non sono chiari, l’oggetto non sarà mai riconoscibile. Pur essendo aperto al pubblico, il database resta sempre uno strumento rivolto alle forze di polizia ed è quindi fondamentale per quelle avere tutti i dettagli per poterne chiedere la restituzione con rogatoria internazionale.
Per consultare la banca dati è necessaria una registrazione.
Sì, perché resta sempre una banca dati di polizia, quindi chiunque effettui una ricerca al suo interno, che si tratti del carabiniere, del poliziotto o di un utente qualsiasi, deve lasciare traccia. La banca dati è protettissima, quindi noi dobbiamo sapere chi chiede l’accesso. È un database di oggetti rubati che può essere utilizzato solo per la consultazione e che non prevede spazi riservati o gestiti dagli utenti. Nessun privato può comunicare direttamente con INTERPOL attraverso il database. I dati sui furti vengono forniti dalle polizie, quindi bisogna passare sempre e imprescindibilmente da quelle. Consigliamo a tutti di chiedere l’accesso al database delle opere d’arte rubate di INTERPOL: è gratuito ed è consentito a collezionisti, galleristi, artisti, appassionati, ricercatori, studenti universitari, curiosi. Basta collegarsi al sito, completare il form con i propri dati e inviarlo a INTERPOL. Dopo qualche giorno si ricevono username e password, che se non utilizzati scadono dopo un anno dalla loro creazione.
È possibile che la ricerca nel database porti a un risultato negativo?
Sì, è possibile, ma il fatto che un bene non sia presente nel database di INTERPOL non significa che non sia stato rubato. Semplicemente non c’è nella banca dati e i motivi possono essere molteplici. Pervenendo a INTERPOL solo i dati relativi a un fatto-reato, l’oggetto potrebbe non essere stato ancora denunciato alla polizia come rubato. Va ricordato che i singoli paesi inviano a loro discrezione le informazioni e quelle su alcuni oggetti non necessariamente devono attraversare le frontiere. Se a parere del paese, in base alla sua natura e valore, il bene è destinato al solo mercato illecito interno, l’informazione non ci verrà inviata. Può capitare che il rapporto sul furto non sia stato ancora ricevuto da INTERPOL attraverso i canali ufficiali oppure che non sia stato ancora inserito nel database perché c’è qualcosa che non funziona, come una foto di cattiva qualità o l’indicazione errata delle misure. L’esito negativo della ricerca può essere determinato dal fatto che ci sia un processo in corso e che quindi non sia ancora possibile effettuare la segnalazione del furto. Un’altra eventualità è che il bene sia un reperto paleontologico o archeologico proveniente da scavo clandestino, di cui quindi non si hanno informazioni.
Qual è in questo contesto il ruolo dei singoli paesi?
INTERPOL ne conta 194, ma i paesi che forniscono informazioni sulle opere d’arte rubate sono solo 134, perché nessuno è obbligato a inviarne. Si tratta di una scelta che avviene su base volontaria. A volte non lo comunicano perché ci sono delle indagini in corso o perché non c’è la reale necessità che l’oggetto sia visibile a tutti o perché non si hanno sufficienti dati da potere garantire l’inserimento nel database. Le forze di polizia coinvolte possono essere tutte quelle esistenti al mondo che hanno ricevuto denuncia di furto di opere d’arte. Se la forza di polizia decide di trasmettere i dati lo fa al National Central Bureau, che poi lo trasmette a noi. Ma resta ad oggi una scelta.
Tutto ciò può condizionare i dati statistici?
In generale, è possibile effettuare statistiche, ma a livello regionale, non globale. Inoltre le statistiche nazionali non si possono paragonare tra stati, proprio perché non in tutti i paesi i dati vengono rilevati nello stesso modo. Su 194 paesi coinvolti non tutti rispondono: all’inizio erano 58 poi 57 poi 73 e quest’anno hanno risposto in 77. Le informazioni possono dunque non esserci e anche il non-dato viene tenuto presente.
Quali sono i paesi che forniscono più informazioni sulle opere d’arte sottratte illecitamente? Dispongono tutti di una banca dati a tema?
L’Europa la fa da padrone, perché nella maggior parte dei suoi stati c’è un’unità specializzata che si occupa di traffico illecito di opere d’arte. Il nostro continente, insomma, è lo zoccolo duro per il contrasto a questo genere di reato, anche se abbiamo paesi fantastici in giro per il mondo che si distinguono in questo, come l’Argentina. Qui, all’interno della Polizia Federale, c’è un’unità per la tutela del patrimonio artistico che ottiene risultati incredibili. Essa nasce sulla scorta dell’esperienza maturata con i Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale. L’hanno mantenuta nel tempo e oggi è una struttura forte, efficiente, che per quanto più piccola del T.P.C. ottiene risultati importanti non solo a livello nazionale, ma anche internazionale nella localizzazione e il recupero dell’arte rubata. Abbiamo in molti paesi altri eccellenti esempi di unità specializzate che ovviamente conducono attività investigative importantissime. Se il contrasto al traffico fosse considerato una priorità da tutti i paesi, i risultati sarebbero completamente diversi. Purtroppo per la mancanza di confidenza con lo specifico settore che viene spesso considerato molto naïf, ciò non accade. Dove manca l’unità specializzata è difficilissimo avere risultati.
Poiché collegato alle organizzazioni criminali, il traffico di beni culturali oggi non è più considerato soltanto un problema legato alla sicurezza. Il terrorismo, per esempio, si finanzia anche con l’attività del traffico dei beni culturali. Ciò si legge chiaramente nelle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU n. 2199 del 2015 e n. 2347 del 2017. Qui i riferimenti sono alla Siria e all’Iraq, ma il principio vale anche per gli altri paesi. Dunque siamo di fronte a un problema serissimo e se all’interno di ogni stato non viene creata un’unità specializzata anche solo con l’impiego di poche unità investigative, i risultati sperati relativi al contrasto di questo genere di reati non si avranno mai. Molti risultati sono determinati dall’occasionalità, dalla fortuna, anche da un’indagine affascinante, ma restano realtà isolate.
È possibile interrogare la banca dati sulle opere già recuperate?
No, quando un’opera viene recuperata, se l’oggetto viene anche solo localizzato, il problema per INTERPOL è risolto, nel senso che la gestione della cosa torna al paese che ha segnalato il furto.
Non conserva dunque uno storico?
No, a livello internazionale non avrebbe senso proprio perché in primis è un database finalizzato al lavoro delle polizie nazionali. Ci sarebbe inoltre un problema di mantenimento dei dati e quindi quando un paese ci chiede di cancellare le informazioni noi lo facciamo. In realtà, la memoria viene coltivata da INTERPOL attraverso i poster, che abbiamo sistemato nella nostra sede, in una stanza dove sono affissi alle pareti (recovered e non).
Tra quelli che interagiscono con INTERPOL, quali sono i paesi più colpiti?
Non esiste paese più colpito, ma quello che fornisce i maggiori dati su quello che accade al suo interno. Quindi l’Italia, per esempio, non è come un altro paese. Da noi si conducono statistiche puntualissime, che consentono di effettuare analisi. Ci sono paesi che rispondono negativamente non perché lì non avvengano reati, ma perché non si sono dotati degli strumenti necessari finalizzati alla registrazione dei crimini legati al patrimonio culturale.
Quale tipologia di bene culturale ritorna con più frequenza nel database di INTERPOL?
Il tipo di oggetti rubati varia da paese a paese. In generale, si tratta di dipinti, sculture, statue e oggetti religiosi. Sono oggetto di furto anche manufatti antichi, libri, mobili, monete, armi, oro, argenteria. In realtà, nessuna categoria viene risparmiata. In Europa vengono rubati di più i dipinti; nel Sud America vanno per la maggiore i reperti archeologici o paleontologici. Dipende da quello che c’è a disposizione in un dato paese e dipende soprattutto dalla richiesta del mercato. Perché, di fatto, il bene d’arte sta sul mercato. In Europa evidentemente esiste una specifica domanda con il risultato che i quadri sono i beni più trafugati. I furti rispondono nello specifico alle richieste del mercato collezionistico: se il bene non vende è inutile rubarlo, non lo compra nessuno, anche quando si è di fronte all’oggetto più bello del mondo. I rischi in questo genere di reati sono davvero limitati. Il furto di un’opera d’arte non viene punito come lo spaccio di droga o l’omicidio: la pena è senza dubbio minore.
Non in tutti i paesi del mondo poi si hanno magistrati specializzati nel settore dell’arte come in Italia. I magistrati sono senza dubbio preparati, e lo sono “anche” in questo settore. Inoltre, non è sufficiente disporre di forze di polizia specializzate, ma bisogna avere anche un’autorità giudiziaria consapevole della rarità del reato, altrimenti quel reato non viene considerato per la sua importanza, perché altri fatti, ritenuti comunemente più gravi, avranno la priorità. Nel mondo vengono commessi reati di tutti i tipi e se il magistrato non ha una certa confidenza con la materia si ferma lì e si rischia tutte le volte che il reato legato all’arte non sia perseguito correttamente.
Si veda anche:
Archeologa PhD candidate e giornalista. Specialista in art crime e archeologia legale, si occupa di informazione e di comunicazione del patrimonio culturale.
Laureata con lode in Conservazione dei Beni Culturali, indirizzo archeologico, presso l’Università del Salento, ha conseguito con lode il diploma presso la Scuola di Specializzazione in Archeologia Classica “Dinu Adamesteanu”, il Master di II livello in “Valorizzazione del Patrimonio Culturale”, promosso dalla Scuola Superiore ISUFI dell’Ateneo salentino, e il Master biennale di II livello in “Esperti nelle attività di valutazione e di tutela del patrimonio culturale” all’Università di Roma Tre. Ha conseguito quindi l’attestato di partecipazione al corso on line su “Antiquities Trafficking and Art Crime” della Glasgow University e al corso promosso da UNESCO,“Engaging the european art market in the fight against illicit trafficking in cultural property”. Presso la LUISS ha frequentato il Corso Executive in “Intelligenza Artificiale e Personal Media: Nuovi Modelli per la Comunicazione e Giornalismo”, organizzato dal Master in “Giornalismo e Comunicazione multimediale” del Centro di Ricerca Data Lab in collaborazione con la School of Government dell’Università LUISS Guido Carli. Ha partecipato a numerose campagne di scavo in ambito universitario e successivamente come responsabile di cantiere per la Soprintendenza Archeologica di Roma. Ha fondato e dirige dal 18 settembre 2018 The Journal of Cultural Heritage Crime, la prima testata giornalistica on line in Italia sul tema del traffico illecito di beni culturali e, più in generale, sulla tutela del patrimonio culturale. È socio fondatore dell’Associazione Culturale Art Crime Project APS, socio di EAA – European Association of Archaeologists, socio simpatizzante dell’Associazione Nazionale Carabinieri-Tutela Patrimonio Culturale.