Rimandato a gennaio il processo sui falsi Modigliani di Genova
La funzione dell’arte è di combattere contro le imposizioni
(Amedeo Modigliani, 1884-1920).
2017. Genova, Palazzo Ducale, Appartamenti del Doge. È quasi tutto pronto per l’inaugurazione della mostra di Modigliani (16 marzo – 16 luglio) curata da Rudy Chiappini, storico dell’arte già direttore del Museo di Lugano. Il nastro non è ancora stato tagliato eppure l’esposizione comincia, già, a fare parlare di sé, attraverso la prima circolazione delle immagini delle opere che saranno presenti in mostra.
Dubbi, sospiri, perplessità iniziano ad intaccare l’euforia del mondo dell’arte che si preparava a raggiungere il culmine il 16 marzo 2017.
Ad un mese dall’apertura delle porte ai visitatori Carlo Pepi, studioso di Modigliani e già fondatore della Casa Museo a lui dedicata, dichiara: «Non è facile accorgersi che ci sono diversi falsi in mostra, mi è bastato vedere il catalogo». Lui, lo stesso Carlo Pepi che nel 1984 durante lo scandalo dei fossi livornesi aveva affermato con estrema sicurezza che le teste scultoree non potevano che essere dei falsi, a distanza di 33 anni, torna a far sentire la sua voce. Sostiene che 13 delle opere in esposizione sono dei falsi tra cui: Cariatide Rossa/Sposi, Ritratto di Chiame Soutine, Grande nudo disteso, Ritratto di Moise Kisling, mentre Testa di donna, Ritratto femminile e Ritratto di Maria risultano erroneamente attribuite al pennello i Kisling-Modigliani.
Palazzo Ducale replica alle dichiarazioni di Pepi affermando che le opere presenti, 11 delle quali del collezionista Joseph Guttmann, erano già state pubblicate ed esposte da tempo. Il flusso continuo di dichiarazioni, opinioni e prese di posizione tra critici, studiosi, collezionisti, esperti o presunti tali sembra inarrestabile.
Il legame tra Italia e Francia, già forte nella vita di Dedo, torna a rinsaldarsi, quando al fianco di Carlo Pepi si schiera, avvalorandone la tesi, Marc Restellini, in quanto esperto del pittore livornese con una grande esperienza maturata alla Pinacotheque de Paris, a cui si aggiunge l’incarico ricevuto nel 1997 dall’Institut Wildenstein per lo svolgimento di un catalogo ragionato, in aggiornamento a quello in uso di Ceroni (1950-1977) contenente 337 opere. Restellini, oltre confine, dichiara inoltre di essere in possesso di documentazione scientifica dalla quale è possibile evincere come 1/3 delle opere esposte a Genova siano, in realtà, dei falsi.
Pepi non si ferma e procede con la presentazione di un esposto alla procura per far aprire le indagini. Viene mobilitato il Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale: l’arma si reca a Palazzo Ducale per acquisire la documentazione relativa alle opere d’arte presenti.
Quest’accadimento vede la massima collaborazione di MondoMostre Skira e del comitato scientifico: «Abbiamo puntato su opere presenti in cataloghi ragionati, grandi mostre, libri dedicati ed expertise che le accompagnavano. Ci siamo affidati alla comunità museale», dichiara Chiappini.
Massimo Vitta Zelman, presidente di MondoMostre Skira difende con tenacia il lavoro svolto dal suo team, ricordando tramite alcune dichiarazioni che Pepi, in realtà, non era mai stato autore di nessuna pubblicazione scientifica su Modigliani e che Restellini, aveva chiuso la galleria parigina e che non era neppure riuscito a portare a compimento il catalogo ragionato.
Il TPC consegna alla Procura un dossier di oltre 90 pagine: l’indagine è stata avviata. 7 opere (6 dipinti, 1 disegno) risultano essere nell’occhio del ciclone, così il TPC di Roma chiede a Maristella Margozzi, storica dell’arte e già direttrice del Museo Boncompagni Ludovisi, di svolgere una perizia.
I botta e risposta tra le istituzioni e le persone coinvolte continuano, così come la mostra che, giorno dopo giorno, viene visitata da centinaia di persone, fino ad un nuovo colpo di scena.
Marc Ottavi, esperto ed autenticatore di Moise Kisling invia a Palazzo Ducale alcune lettere attraverso le quali dichiara che 3 delle opere presenti in mostra sono dei falsi. Le stesse che, nel 2008, erano state inserite in un catalogo non autorizzato, pubblicato illegalmente e finanziato dallo stesso Joseph Guttmann.
Il 13 luglio, a pochi giorni dalla chiusura della mostra 21 opere vengono sequestrate, una poi, viene dissequestrata e riconsegnata: l’esposizione giunge al termine.
Le indagini proseguono nei mesi successivi ed i nomi delle persone che andranno a processo sono quelli di Joseph Guttmann, Rudy Chiappini e Massimo Vitta Zelman accusati di truffa e ricettazione; Nicolò Sponzilli e Rosa Fasan dell’organizzazione MondoMostre Skira e, in ultimo, Pietro Pedrazzini, proprietario del Ritratto di Chiame Soutine, accusato di contraffazione.
È plausibile ipotizzare che la mostra di Genova sarebbe dovuta essere lo strumento per mezzo del quale ottenere l’autentica dei falsi esposti, per poi quest’anno, in occasione del centenario della morte, immetterli nel sistema del mercato dell’arte rivedendendoli a cifre esorbitanti.
Il processo sarebbe dovuto, finalmente, iniziare quest’estate ma, per riuscire ad evadere dal labirinto minoico della contraffazione, si dovrà attendere fino a gennaio 2021.
Lecito a questo punto chiedersi:
– Se non ci fosse stato Carlo Pepi a sollevare le iniziali perplessità che cosa sarebbe successo?
– Perché alcuni dubbi sulle opere sono emersi solo dopo che queste avevano già preso parte ad altre esposizioni?
– Ognuna delle persone coinvolte nella vicenda che cosa aveva da guadagnarci?
– La comunità museale avrebbe dovuto esprimersi in maniera più forte prendendo una posizione decisa su tutta la vicenda?
Si resta in attesa dell’epilogo della storia con l’auspicio di riuscire a far emergere la verità e, proprio come pensava Modigliani, di restituire all’arte la sua funzione, quella più pura e bella di straordinario strumento per combattere contro le imposizioni.
Esperta di economia e gestione dei beni culturali.