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Maledetto Modigliani, un docufilm senza leggenda

Jeanne-Modigliani
(Tempo di lettura: 3 minuti)

Ognuno dice a se stesso che una volta nell’acqua non potrà più respirare perché, per quanto vada indietro con la memoria, non trova neppure un pesce tra i suoi avi. Ma si sforza di trattenere il fiato il più possibile per prolungare la sua vita di due o tre secondi.

Inizia con queste parole la pellicola di Valeria Parisi, scritta con Arianna Marelli sul soggetto di Didi Gnocchi per 3D Produzioni e Nexo Digital.

Maledetto Modigliani, il docufilm a lungo atteso nel corso dell’anno in cui ricorre il centenario dalla morte del pittore livornese, è finalmente arrivato nelle sale italiane il 12, 13 e 14 ottobre come evento della programmazione dedicata a La Grande Arte al Cinema. Ambientato un po’ nella città di nascita e un po’ tra Montmartre e Montparnasse, nella città che Modì aveva scelto di vivere (e di morire), il lungometraggio presenta una narrazione granulare fatta di inquadrature sul contemporaneo e di filmati d’epoca accompagnati dal punto di vista e dalla voce di Jeanne Hébuterne, ultima giovane compagna di Modigliani. Pittrice a sua volta, la Hébuterne morì suicida due giorni dopo l’amato, lanciandosi incinta al nono mese da una finestra al quinto piano. La figlia Jeanne, avuta appena un anno e mezzo prima, crebbe a Livorno con la nonna paterna. 

In questo fitto intreccio di vita e di morte, di malattia e di eccessi, di arte e di miseria si inserisce dunque la finzione per restituire al pubblico il mosaico di incontri, amori, passioni e collaborazioni che la breve esistenza “senza leggenda”[1] di Modigliani seppe comporre e ritrarre: Anna Achmatova, Beatrice Hastings, Chaïm Soutine, Jean Cocteau, Paul Alexandre, Paul Guillaume, Léopold Zborowski, Jonas Netter, è questa una parte dei protagonisti che la storia e le tele di Modigliani hanno saputo consacrare. Ma accanto alla ricostruzione filologica sfila il contemporaneo altrettanto polifonico delle interviste a Marc Restellini, storico dell’arte tra i massimi esperti di Modì, ad Antonio Marras, lo stilista che per la collezione Autunno Inverno 2019/20 si è ispirato ad una storia del padre di Modigliani, al regista livornese Paolo Virzì, a Klaus Albrecht Schröder e Jacqueline Munck, rispettivamente direttore dell’Albertina di Vienna e curatrice del Musée d’Art Moderne de Paris, e ad altri conoscitori ed artisti. Tra questi figurano due personaggi che, per ragioni simili ma intenti profondamente differenti, sono indissolubilmente legati alla maledizione che ha avvolto la figura ma soprattutto la produzione artistica di Modigliani: Pier Francesco Ferrucci e John Myatt.

Ferrucci, oggi direttore dell’Unità di Bioterapia dei Tumori dell’Istituto Europeo di Oncologia a Milano, nell’estate del 1984 fu tra gli autori della “beffa del XX secolo”: insieme a Pietro Luridiana e Michele Ghelarducci scolpì una pietra con il trapano che venne gettata nel canale di Livorno dove erano in corso le ricerche delle famose teste di Modigliani. La goliardata riuscì a trarre in errore storici dell’arte del calibro di Carlo Giulio Argan, Cesare Brandi, Dario Durbé e Carlo Ludovico Ragghianti che ne accreditarono l’autenticità ma, una volta svelato l’inganno con dimostrazione in diretta tv, il clamore della burla boccaccesca offuscò il centenario della nascita di Modì e minò la reputazione di diversi studiosi. Myatt invece, tra il 1986 e il 1995, si rese protagonista della “più grande frode artistica del XX secolo” falsificando e piazzando sul mercato oltre duecento opere di vari maestri. La truffa gli fruttò quasi 3,7 milioni di dollari prima di finire in carcere nel 1998. Una volta chiuso il conto con la giustizia, Myatt ha continuato a dedicarsi alla pittura e ai Geniune Fakes.

Maledetto Modigliani si ferma qui, non scava nell’animato dibattito che da decenni, con fortune alterne, è acceso attorno al riconoscimento di autenticità delle opere di Modì, una produzione che conta oltre 400 quadri certificati, una trentina di sculture e oltre 3000 disegni. Non vi è traccia dello scandalo che ha travolto la mostra al Palazzo Ducale di Genova né de L’affare Modigliani. Trame, crimini, misteri all’ombra del pittore italiano più amato e pagato di sempre, il volume di Dania Mondini e Claudio Loiodice. Maledetto Modigliani prende persino le distanze nei titoli di coda: non è compito suo giudicare, indagare, entrare e ad avere cittadinanza nel dibattito. Maledetto Modigliani prende per verità le dichiarazioni rilasciate ma ne declina le responsabilità. Maledetto Modigliani è solo «un’immagine inedita e diversa di Modigliani»[2], un racconto partecipato senza essere partecipe che soddisfa ma non convince. E nemmeno vince il confronto diretto con l’altro film evento in programmazione nelle stesse giornate: Il caso Pantani. L’omicidio di un campione di Domenico Ciolfi si aggiudica il gradino più alto del podio ogni giorno. Maledetto Modigliani, «uno dei migliori film d’arte di sempre» secondo Artribune, incassa poco più di 165mila euro[3].

La maledizione continua…


Note
[1]Jeanne Modigliani, Modigliani senza leggenda, Vallecchi Editore, Firenze, 1958.
[2]Valeria Parisi intervistata da Artribune, 11 ottobre 2020.
[3]165.171 euro, dato Cinetel.

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