Il recupero dei beni culturali sottratti: il dialogo tra il MIBACT e i Musei Americani
Nel saggio “The Agreements between the Italian Ministry of Culture and American Museums on the Return of Removed Cultural Properties”, il Prof. Tullio Scovazzi ha ricondotto un’analisi lucida e ragionata su uno strumento particolarmente significativo nel rafforzamento della tutela volta a recuperare i beni culturali illecitamente sottratti. Ve ne proponiamo una traduzione
1. Introduzione
Nel momento in cui ci si interfacci con la questione della restituzione dei beni culturali sottratti, assumono particolare rilevanza gli accordi bilaterali sottoscritti, da un lato, dal Ministro per i beni e le attività culturali e, dall’altro, dalle istituzioni culturali estere. Il Ministro ha sottoscritto accordi di questo tipo con diversi Musei Americani, come il Metropolitan Museum of Art di New York, il Museum of Fine Arts di Boston, il Princeton University Art Museum, il John Paul Getty Museum di Los Angeles, il Cleveland Museum of Art e il Dallas Museum of Art. Non mancano accordi con ulteriori istituzioni.
Con gli accordi, lo Stato di provenienza è in grado di travalicare gli ostacoli ai quali gli esiti incerti, scaturenti dalla controversia svolta dinnanzi a un tribunale straniero e concernente la proprietà del bene culturale rivendicato, potrebbero dar adito. Inoltre, non bisogna sottovalutare il riscontro in termini di credibilità che da tali accordi discende a favore delle istituzioni culturali. Ciò in quanto scoraggiano il saccheggio del patrimonio culturale nei paesi esteri, supportando il contrasto alla distruzione dei contesti e siti culturali ed il traffico illecito che ne consegue. Gli accordi rilevano il loro potenziale non solo in rapporto alla restituzione dei beni considerati. Essi, difatti, sono diretti a rafforzare il dialogo tra le parti mediante attività di futura cooperazione. Queste possono giungere a comprendere prestiti, concessi dallo Stato di provenienza, di testimonianze archeologiche che presentino il medesimo valore.
2. L’Accordo con il Metropolitan Museum of Art
Generalmente, il testo dei suddetti accordi rimane riservato: costituisce eccezione l’accordo sottoscritto il 21 febbraio 2006 dal MiBACT e dall’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, da un lato, e dal Metropolitan Museum of Art di New York, dall’altro.
Nel preambolo dell’accordo, il Ministro definisce il patrimonio archeologico italiano quale ≪fonte della memoria collettiva nazionale e strumento di studio storico e scientifico≫. L’accordo, inoltre, opera il rinvio ad alcuni aspetti essenziali della legislazione italiana in materia di beni culturali. In particolare:
[…] Il patrimonio archeologico comprende le strutture, costruzioni, complessi architettonici, siti esplorati, beni mobili, monumenti di altro tipo e il loro contesto, che si trovino nel suolo o sott’acqua (Preambolo, considerando B); allo scopo di salvaguardare il patrimonio archeologico e di garantire la scientificità delle operazioni di ricerca archeologica, la legislazione italiana stabilisce le procedure d’autorizzazione e di controllo degli scavi e delle altre attività archeologiche, al fine di impedire tutti gli scavi illegali o il furto di elementi del patrimonio archeologico, di garantire che gli scavi e le ricerche archeologiche vengano svolte in modo scientifico da persone qualificate e munite di un’autorizzazione speciale; inoltre, che vengano applicati nella misura del possibile metodi di ricerca non distruttivi […]
Difatti, ai sensi del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, denominato Codice dei beni culturali e del paesaggio, ≪le cose da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile≫. Allo scopritore è corrisposto ≪un premio non superiore al quarto del valore delle cose ritrovate≫. Il medesimo premio è corrisposto ≪al proprietario dell’immobile dove è avvenuto il ritrovamento; al concessionario dell’attività di ricerca, qualora l’attività medesima non rientri tra i suoi scopi istituzionali o statutari. […] Il premio può essere corrisposto in denaro o mediante rilascio di parte delle cose ritrovate≫. L’articolo 93 individua una specifica procedura, volta a determinare il premio spettante. Va specificato che principi simili abbiano ispirato la normativa italiana in materia a partire dal 1909 (Legge 20 giugno 1909, n.364; Legge 1 giugno 1939, n. 1089; Decreto Legislativo 29 ottobre 1999, n.490).
Nella premessa, l’accordo altresì stabilisce che il Museo:
[…] ritiene che il patrimonio artistico di ogni civiltà dovrebbe essere preservato e messo in mostra nei musei artistici, i quali soli offrono al pubblico l’opportunità di entrare in contatto direttamente con beni di tale natura, nel contesto che risulta essere di loro pertinenza e anche di altre culture, e dove tali opere possono educare, ispirare ed essere fruiti da tutti. Gli interessi del pubblico sono protetti mediante il lavoro dei musei artistici di tutto il mondo, consistente nella conservazione contestualizzata e nell’interpretazione del nostro condiviso patrimonio culturale. [Il Museo] aborre lo scavo illecito e non effettuato secondo metodi scientifici di materiali archeologici e di arte antica dai siti archeologici, la distruzione o la deturpazione di monumenti antichi ed il furto di lavori artistici a danno di individui, musei o altri siti; si impegna nell’acquisizione responsabile dei materiali archeologici e dell’arte antica secondo il principio che tutta la raccolta avvenga secondo i migliori criteri etici e professionali […]
L’obiettivo primario che l’accordo intende perseguire è il ritorno dei beni archeologici che il Ministro ha avanzato. La ragione è che ≪essi siano stati illecitamente scavati in territorio italiano e commercializzati clandestinamente entro e fuori il territorio italiano≫. Il Museo, ≪respingendo ogni addebito di conoscenza della affermata illecita provenienza dal territorio italiano dei beni rivendicati dall’Italia, ha deliberato il trasferimento dei Beni richiesti dal Ministero nel quadro di questa convenzione≫. Tale decisione non comporta il riconoscimento, da parte del Museo, di alcuna forma di responsabilità civile, amministrativa o penale per l’originaria acquisizione o detenzione dei beni richiesti. Il Ministero e l’Assessorato per i Beni Culturali della Regione Siciliana, in conseguenza dell’accordo, rinunciano ad ogni azione riconducibile a tali forme di responsabilità in relazione ai beni richiesti.
I beni considerati documentano magnificamente il fiorire della civiltà dei Greci nell’Italia meridionale. Trattasi del Cratere di Eufronio, quattro vasi (una Kylix laconica; un Dinos apulo a figure rosse attribuito al cosiddetto Pittore di Dario; una Psykter a figure rosse, raffigurante cavalieri; un’anfora attica a figure rosse, realizzata dal cosiddetto Pittore di Berlino), quindici argenti ellenistici ed una Pyxis.
L’ulteriore obiettivo che l’accordo si propone di perseguire è rappresentato dalla promozione di una cooperazione culturale tra le parti. Con lo scambio del Cratere di Eufronio, ≪al fine di rendere possibile la continua presenza nelle gallerie del Museo di beni culturali di pari pregio e rilevanza storico-culturale≫, il MiBACT concederà al Museo prestiti quadriennali di beni archeologici scelti da una lista, appositamente contemplata nell’accordo, ove sono ricondotti dodici beni. In ragione dello scambio delle quattro ceramiche sopra-menzionate, il Ministero ≪presterà al Museo, per periodi di quattro anni a rotazione, un artefatto laconico di primaria qualità≫. In cambio degli argenti ellenistici, il Ministero concederà al Museo prestiti di beni culturali ≪di pari pregio e rilevanza storico artistica, su base concordata continuativa e rotativa e in sequenza≫. Nella durata quarantennale dell’accordo, la reciproca cooperazione maturata nell’ambito dell’accordo costituirà terreno fertile per scavi, prestiti e restauro di beni culturali. Le controversie concernenti l’interpretazione o l’applicazione dell’accordo debbono essere risolte amichevolmente. Laddove, al contrario, le parti non dovessero pervenire ad una risoluzione della controversie che sia soddisfacente per entrambe, ≪queste saranno trattate in via riservata e deferite in arbitrato secondo le Regole di Arbitrato della Camera di Commercio Internazionale da tre arbitri nominati secondo tali regole≫.
3. Il Cratere di Eufronio
Le vicissitudini che hanno coinvolto il Cratere di Eufronio (cratere a calice, utilizzato per mescolare il vino con l’acqua) dimostrano la gravità del fenomeno di saccheggio dei siti archeologici e dei conseguenti traffici internazionali di beni culturali, da esso discendenti, che stanno minacciando l’Italia nelle ultime decadi. Dopo esser stato realizzato dal ceramista Euxitheos, il vaso conosciuto come Cratere di Eufronio venne dipinto e firmato dall’artista atenese Eufronio (attivo tra il 520 ed il 470 a.C.), uno dei tre Maestri dello stile a figure rosse. Si tratta di uno dei più pregevoli vasi attici e l’unico integro tra i 27 noti di Eufronio. Nella scena principale il dio Ermes è raffigurato mentre vigila su Hypnos (il Sonno) e Thanatos (la Morte), impegnate a trasportare il corpo dell’eroe troiano Sarpedonte, ucciso in battaglia. Sul lato opposto del cratere, l’artista ha rappresentato soldati in procinto di armarsi per la battaglia. Ai tempi di Eufronio, i vasi più pregiati venivano realizzati e dipinti ad Atene, per poi essere inviati in Italia centrale, ove gli Etruschi erano soliti acquistarli spendendo ingenti somme. Nel 1972 il Cratere di Eufronio venne per la prima volta esposto nelle collezioni del Metropolitan Museum, acquistato in cambio di un milione di dollari e di una collezione di antiche monete greche. In un’intervista rilasciata il 12 novembre 1972, il Direttore del Museo, il Sig. Thomas Hoving, fornì informazioni del tutto approssimative e dubbie in merito alla provenienza del reperto:
[…] Il Cratere costituiva parte della collezione privata di una persona sin dalla Prima Guerra mondiale. Noi abbiamo acquisito il Cratere tramite l’agente, un mercante. Il motivo per il quale non riveliamo il nome delle persone coinvolte è dato dal fatto che esse sono in possesso di altri beni, al cui acquisto potremmo essere interessati in futuro […] Abbiamo acquistato il Cratere da una persona che si trovava in Svizzera, agente di un terzo che si trovava in un Paese diverso e la cui famiglia era entrata in possesso del vaso già nella Prima Guerra mondiale; ciò è accaduto molto tempo fa […]
Il resoconto si rivelò ancor meno credibile quando il Sig. Dietrich von Bothmer, curatore del Dipartimento delle Antichità Greche e Romane del Met, rivelò che i precedenti proprietari del Cratere erano membri di una famiglia armena che, in ragione degli infausti eventi, era stata costretta a lasciare la propria dimora nel Libano e ad emigrare in Australia. Successivamente, la verità emerse, svelata da episodi del tutto inaspettati. Dalle perquisizioni, svolte a seguito della morte di un trafficante italiano in un incidente stradale, risultarono diversi documenti. In essi era riportata una pluralità di nomi di soggetti coinvolti nel traffico di reperti archeologici illecitamente scavati. Le autorità italiane concentrarono la propria attenzione su Giacomo Medici, altro antiquario italiano. La collaborazione con la polizia svizzera permise di ispezionare il deposito presente nel porto franco di Ginevra, intestato al Sig. Medici.
La scoperta lasciò tutti attoniti. Nel deposito erano conservati circa 3000 reperti, alcuni dei quali di pregiata manifattura e molti dei quali erano stati clandestinamente scavati in Italia. Il tutto era corredato da un archivio dettagliato, tale da far luce su una fitta rete – strutturata in diversi livelli – di soggetti coinvolti nel traffico illecito, nell’esportazione e nella vendita dei beni archeologici: scavatori abusivi (i cosiddetti tombaroli), intermediari, mercanti, restauratori, esperti, curatori dei musei europei ed americani, collezionisti. Nel deposito, inoltre, è stato rinvenuto un numero consistente di immagini documentarie dei fatti in evidenza. Nel caso del Cratere di Eufronio, le foto hanno comprovato come il reperto sia stato rinvenuto nel corso di scavi clandestini; le operazioni di restauro al quale è stato successivamente sottoposto; la sua esposizione al Museo, dove il Sig. Medici ed il Sig. Robert Hecht (il mercante americano che lo aveva acquisito dal Sig. Medici e che lo aveva rivenduto al Museo) erano colti sorridenti accanto ad esso. Oltre a recuperare i beni nel deposito, la polizia italiana e i pubblici ministeri riuscirono a risalire ai siti di provenienza di molti reperti archeologici, venduti a musei e collezionisti. Si giunse così alla conclusione che il Cratere di Eufronio era stato clandestinamente rinvenuto a Cerveteri nel 1971, nel cuore dell’area abitata dagli Etruschi. Secondo quanto stabilito dalla legislazione italiana, era stato illecitamente esportato dall’Italia alla Svizzera e, dopo una serie di trasferimenti, venduto al museo da Robert Hecht. Questi lo avrebbe importato in America legalmente, secondo i criteri della legge americana. Sembra che l’addetto alla dogana nell’aeroporto di New York si sia espresso con un commento quanto mai pertinente quando, aperta la cassa, il Sig. Hecht gli mostrò il vaso: ≪Non me ne intendo di arte greca, ma Lei ha qualcosa di estremamente meraviglioso qui≫. Da quando il Cratere è stato rimpatriato in Italia, a seguito dell’avvenuto accordo tra il Ministero e il Museo, il manufatto è esposto al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma [n.d.r. attualmente al Museo archeologico di Cerveteri]. Se il summenzionato incidente stradale non fosse accaduto, si sarebbe comunque giunti all’accordo? È questo un quesito più che legittimo.
4. Ulteriori testimonianze archeologiche recuperate o non
L’accordo concluso nel 2002 con il Museum of Fine Arts di Boston ha consentito di recuperare ben tredici beni culturali. Tra di essi, la statua marmorea di Vibia Sabina, la moglie dell’imperatore romano Adriano, e diversi vasi. Vi è poi l’intesa conclusa nel 2007 con il John Paul Getty Museum di Los Angeles, con il quale si è pervenuti al ritorno di: la Venere di Morgantina (la statua, alta due metri presenta arti e testa in marmo, mentre il corpo è realizzato in calcare; rinvenuta durante scavi clandestini a Morgantina e frammentata in tre parti, era stata esportata ed acquisita dal Museo per 18 milioni di dollari); il Trapezophoros (supporto per tavola rituale raffigurante due grifoni che sbranano una cerva, illecitamente scavato nei pressi di Ascoli Satriano e pagato dal Museo 5 milioni e mezzo di dollari); alcuni vasi. Infine, grazie agli accordi conclusi con il Princeton University Art Museum (2007), il Cleveland Museum of Art (2008) e il Dallas Museum of Art, il Ministero ha conseguito il recupero di, rispettivamente, otto, quattordici e sei beni culturali. È da sottolineare che ulteriori beni culturali illecitamente esportati all’estero sono stati rinvendicati dall’Italia, o potrebbero esserlo in futuro. Talune rivendicazioni si riferiscono a beni culturali non menzionati negli accordi sopraccitati con i Musei Americani, come le statue bronzee del Giovane Vittorioso (o Atleta), attribuito a Lisippo ed esposto nella collezione del John Paul Getty Museum, e dell’Apollo attribuito a Prassitele ed esposto nel Cleveland Museum of Art.
5. Evidenze Conclusive
La questione dei beni culturali rimossi, ai quali i suddetti accordi non si riferiscono, per criteri cronologici o altro, è ben lontana dall’essere risolta nell’ambito del diritto internazionale consuetudinario. Sebbene non sia possibile approfondire il discorso in tale sede, sembra che un trend evolutivo si stia sviluppando nel diritto internazionale consuetudinario contemporaneo. Tale evoluzione comprenderebbe sia le rivendicazioni interstatali che le rivendicazioni tra gli Stati e le istituzioni estere. In ragione di ciò, le rivendicazioni concernenti il ritorno di beni culturali dovrebbero essere affrontate in modo tale da pervenire a una soluzione equa, che tenga conto di tutte le circostanze, quali, tra le altre:
– i fattori che hanno determinato la sottrazione del bene culturale dal Paese di origine, in particolare la legalità della sottrazione in conformità con la legislazione del Paese di origine o la sostanziale ingiustizia dell’operazione; – l’importanza del bene culturale per il Paese di origine, che tenga conto del suo carattere emblematico;
– la lesione inferta all’integrità del contesto culturale dal quale il bene culturale è stato sottratto;
– il tempo trascorso dal momento della sottrazione allo Stato di origine;
– l’atteggiamento di cura dimostrato dallo Stato di destinazione nei confronti del bene culturale;
– l’impegno alla conservazione che lo Stato di provenienza dimostra di assumere laddove il bene culturale gli venga restituito.
A tal proposito, i partecipanti alla Conferenza Internazionale degli Esperti in materia di Recupero dei Beni Culturali, tenutasi a Seoul il 16 ed il 17 ottobre 2012, raccomandano, tra l’altro, che:
[…] Gli Stati affrontino le questioni concernenti il ritorno dei beni culturali non specificamente menzionati negli strumenti giuridici internazionali, cercando soluzioni eque che tengano conto di tutte le circostanze rilevanti e specifiche, quali l’integrità del contesto culturale, l’importanza del bene considerato per gli Stati coinvolti, il trattamento riservato al bene dallo Stato attualmente possessore e l’impegno profuso dallo Stato di provenienza in merito alla conservazione e alla protezione dei beni; […] gli Stati, nel tentativo di raggiungere soluzioni eque, considerino gli strumenti di cooperazione con gli altri Stati, gli enti e gli individui mediante una politica culturale che includa, in generale, prestiti, mostre temporanee, attività di scavo congiunte, ricerche e restauri […]
Le regole provenienti dal testo di implementazione (The Operational Guidelines for the Implementation of the Convention on the Means of Prohibiting and Preventing the Illicit Import, Export and Transfer of Ownership of Cultural Properties) della Convenzione Unesco sottoscritta a Parigi nel 1970, concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali, adottato il 18 maggio 2015 dagli Stati membri della Convenzione, stabilisce quanto segue:
[…] Per i beni culturali che siano stati illecitamente esportati, illecitamente trafugati o rubati ed importati da un altro Stato membro, prima dell’entrata in vigore della Convenzione in ciascuno degli Stati coinvolti, gli Stati membri sono chiamati a individuare un accordo di reciproca soddisfazione, che tragga forza dallo spirito e dai principi della Convenzione e che tenga conto di tutte le circostanze rilevanti […] (Operational Guidelines, 103)
Gli accordi tra il Ministero e i Musei Americani mirano a risolvere le controversie riguardanti il ritorno dei beni culturali al fine di raggiungere una soluzione equa che consideri il complesso delle circostanze rilevanti. Il presente obiettivo dovrebbe preservare le relazioni tra gli Stati di provenienza e gli Stati di destinazione dei beni culturali; dovrebbe, inoltre, nel caso, essere condiviso dagli enti non statali, coinvolti nella circolazione dei beni culturali. Nel futuro più prossimo, il ricorso a mezzi non contraddittori per la risoluzione delle controversie e un ricorso più consistente al Comitato intergovernativo per la Promozione del Ritorno dei Beni Culturali, istituito con l’Unesco nel 1978, così come alla procedura di mediazione e conciliazione adottata in seno alla Raccomandazione del Comitato n. 4 del 23 settembre 2010, potrebbe rivelarsi lo strumento più idoneo, nell’ambito della cooperazione promossa per il rientro dei beni culturali.
Testo di riferimento: T. Scovazzi, The Agreements between the Italian Ministry of Culture and American Museums on the Return of Removed Cultural Properties, in S. Pinton, L. Zagato (a cura di), Cultural Heritage. Scenarios 2015-2017 [disponibile online].
Dottoressa in Scienze dei servizi giuridici