La risposta alle situazioni di emergenza: una questione attuale per la salvaguardia del Patrimonio Culturale
La pandemia di Covid-19 ha posto i Paesi della comunità internazionale di fronte alla scelta di occuparsi o meno della salvaguardia della cultura durante un periodo storico contraddistinto dal perdurare dello stato di emergenza
Nel corso della Conferenza sui rischi per il patrimonio culturale, tenutasi il 27 novembre 2020 all’interno dell’evento “Rome Museum Exhibition”, sono stati sottolineati i numerosi problemi che le istituzioni culturali sono state obbligate ad affrontare a seguito della pandemia e, più in generale, della dilagante diffusione di molteplici situazioni di crisi a livello mondiale
Oggi, la diminuzione degli introiti in rapporto alla riduzione del flusso di visitatori, l’adozione di standard di sicurezza adeguati alla gestione della crisi sanitaria e il calo delle risorse umane disponibili a svolgere l’attività lavorativa in presenza – che in molti casi ha dato adito all’aumento dei saccheggi nei musei e negli altri siti culturali – sono solo alcune delle conseguenze legate all’emergenza sanitaria, economica e sociale che si sta riverberando sull’intera comunità internazionale.
A questi problemi si aggiunge il fatto che spesso le crisi e i disastri naturali collaborano tra loro. A dimostrare questa tendenza sono state le terribili calamità che hanno accompagnato la pandemia nel corso del 2020, ovvero i terremoti in Croazia, il ciclone Amphan (che ha colpito l’India e il Bangladesh), il ciclone tropicale Harold (che ha devastato le isole Salomone, Vanuatu, Fiji e Tonga), gli incendi in Australia e California e l’esplosione a Beirut (che ha colpito circa 8 mila edifici, tra i quali molti di interesse storico-artistico).
Durante la conferenza dello scorso 27 novembre, Rohit Jigyasu, project manager dell’International Centre for the Study of Preservation and Restoration of Cultural Property (ICCROM) specializzato nel settore del risk management of cultural heritage, ha sottolineato che, oltre alla pandemia, il cambiamento climatico e le considerazioni economiche sollecitano i professionisti a valutare i disastri in maniera più completa e complessa. Per questo motivo, sarebbe, dunque, necessario adottare un approccio multirischio.
Secondo Jigyasu la corretta gestione del patrimonio culturale presuppone una risposta alle emergenze che ponga le basi su aspetti quali la mitigazione, la preparazione e l’adattamento, al fine di creare un sistema che consenta di ridurre le vulnerabilità e di migliorare la resilienza per il futuro.
Per quanto concerne la risposta alla pandemia di Covid-19, questo sistema prevede tre situazioni: una fase che precede il lockdown, nella quale è necessario prepararsi alla chiusura del sito culturale; una fase che si svolge durante il periodo di lockdown, quando il sito è chiuso e viene usato per espletare l’attività di gestione della crisi; infine, una fase successiva al periodo di lockdown, ovvero quando risulta essenziale procedere con la riapertura.
Jigyasu sostiene che, nel corso dell’emergenza sanitaria, la gestione dei rischi per il patrimonio culturale si debba concretizzare nella definizione e applicazione di procedure specifiche che non possono prescindere dalla identificazione dei rischi e monitoraggio del loro impatto, dalla sicurezza del personale, dalla valutazione delle necessità e, infine, dalla preparazione alla chiusura e apertura dei siti e delle istituzioni culturali.
Durante il periodo di chiusura sarebbe necessario attuare procedure che prevedano la pulizia e manutenzione dei siti e delle opere, senza trascurare l’impiego di strumenti digitali per il monitoraggio remoto dei luoghi adibiti alla conservazione, poiché spesso il personale preposto al controllo e alla vigilanza non ha la possibilità di recarsi sul luogo di lavoro. A questi elementi si dovrebbe affiancare la necessaria riconfigurazione della gestione dei visitatori e del sistema di sicurezza per i siti e le istituzioni, con la possibilità di adibire questi ultimi alle esigenze della crisi sanitaria.
Il quadro elaborato da Jigyasu riflette, dunque, la necessità di sviluppare maggiore collaborazione a livello internazionale per meglio tutelare il patrimonio culturale dell’intera umanità in situazioni di emergenza.
Attori internazionali di rilievo primario che agiscono in questo senso sono, senza dubbio, l’International Council of Museums (ICOM) e la United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization (UNESCO), che, nel corso della conferenza in oggetto, sono stati rappresentati, rispettivamente, da Sophie Delepierre ed Edouard Planche.
Durante il suo intervento, Delepierre, Head of Protection Heritage and Capacity Building Department dell’ICOM, ha convenuto che il Covid-19 ha avuto un impatto netto sui progetti presenti nell’agenda dell’ICOM e sul suo modus operandi.
Sin dall’inizio della pandemia, l’ICOM ha proposto soluzioni specifiche che hanno efficacemente risposto alle problematiche affrontate dalle istituzioni culturali di tutto il mondo. Per raggiungere questo obiettivo, l’ICOM ha collaborato con una rete di esperti e partner internazionali e ha effettuato raccomandazioni sulla sicurezza museale, conservazione preventiva, gestione digitale dei beni e riapertura sicura post-crisi dovuta alla diffusione del Covid-19.
Durante il lockdown l’ICOM ha offerto assistenza a diversi paesi in difficoltà attraverso la predisposizione di inventari, la raccolta di dati, la digitalizzazione e l’attuazione di sistemi di sicurezza. In questo contesto, è emersa l’importanza di applicare misure preventive che possano scongiurare il ripetersi del tragico impatto che la crisi sanitaria ha avuto nel settore della cultura, tra le quali risulta indispensabile la realizzazione di un percorso di digitalizzazione e inventariazione delle collezioni per raccogliere più informazioni possibili e soddisfare le richieste della clientela.
Ovviamente, questi sistemi di protezione dei beni di interesse culturale non possono non rientrare nell’orbita di un percorso a medio-lungo termine che presupponga una stabile cooperazione tra enti di natura internazionale, Stati e istituzioni culturali.
All’interno di questa precisa dinamica, negli ultimi anni l’UNESCO è risultata particolarmente attiva nell’ambito della salvaguardia della cultura in situazioni di emergenza. Già nel 2015 l’UNESCO ha predisposto, con l’approvazione dei suoi Stati membri, una strategia ad hoc per far fronte alle situazioni di estrema urgenza attraverso una politica di coordinamento e finanziamento a risposta rapida, che si avvale del supporto di un gruppo di esperti per la risposta alle emergenze e della disponibilità di un fondo per le emergenze che coinvolgono il patrimonio culturale.
Secondo Planche, Senior Legal Expert dell’UNESCO, questo sistema è stato messo a dura prova durante la pandemia, nel corso della quale l’UNESCO ha riscontrato difficoltà nell’offrire assistenza tecnica e nel coordinare le missioni nei paesi colpiti dall’emergenza sanitaria. In queste aree, per contenere le situazioni di crisi, risulta fondamentale affidarsi a esperti locali e nazionali che, purtroppo, spesso non dispongono delle attrezzature necessarie per effettuare gli interventi di primo soccorso in modo adeguato.
A tali problemi si aggiunge il fatto che la maggior parte dei siti culturali non ha un piano di emergenza e non è opportunamente preparata per rispondere ai rischi per il patrimonio culturale. Questo avviene principalmente a causa della mancanza delle conoscenze appropriate e dell’inesperienza nell’applicazione di procedure di valutazione dell’impatto sociale ed economico che l’emergenza può causare a livello nazionale.
In questo contesto, non è affatto raro riscontrare le difficoltà politiche degli Stati dovute a una mancanza di soluzioni concrete per reagire alle emergenze di natura multipla. Senza dubbio il settore politico deve essere coinvolto a tutti i livelli per offrire una risposta efficace a tali problematiche.
Più nel dettaglio, per poter garantire un’adeguata preparazione al contrasto del Covid-19, secondo Planche, servirebbe creare nuovi meccanismi di collaborazione tra tutti gli attori coinvolti e rafforzare la cooperazione tra essi, sia a livello politico sia sul piano operativo ed esecutivo. In secondo luogo, sarebbe necessario ampliare e consolidare le abilità e le capacità delle autorità nazionali e delle istituzioni affinché le operazioni di risposta all’emergenza siano sicure ai fini della tutela della cultura. Infine, sarebbe utile sviluppare nuovi strumenti e, in altri casi, rafforzare gli strumenti già esistenti, ad esempio tramite l’adattamento di linee guida per l’integrazione di tematiche centrali quali la sicurezza e la salute durante la crisi sanitaria e nel periodo post-Covid-19.
Il quadro che ne deriva deve essere tale da impedire che le situazioni di emergenza compromettano il funzionamento dei musei e delle altre istituzioni culturali che, in quanto fonte di conoscenza, veicolano la diffusione e la valorizzazione della cultura.
Per questi motivi, gli istituti culturali hanno il compito fondamentale di organizzarsi nel migliore dei modi per proteggere il nostro patrimonio culturale e promuovere il suo rispetto, in quanto esso costituisce un vero e proprio valore che deve fare necessariamente i conti con l’urgenza di oggi, ovvero la sostenibilità.
Laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Torino con una tesi sul traffico illecito di beni culturali. Istruttore direttivo amministrativo presso la Città metropolitana di Torino.