Non è passato inosservato, nella comunità di addetti ai lavori, il servizio che Striscia La Notizia ha mandato in onda il 20 aprile scorso per sollevare attenzione sulla situazione del Parco di Veio, antico insediamento etrusco alle porte di Roma.
Parimenti, non è passata inosservata la risposta del Direttore del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia con la quale, pur apprezzando lo spirito con cui si è mosso l’inviato Jimmy Ghione, non ha mancato di evidenziare pubblicamente come tra i comportamenti dello stesso siano ravvisabili delle ipotesi di reato.
Con questo articolo, non per desideri punitivi ma solo per sottolineare la necessità di relazionarsi al patrimonio culturale in maniera meno superficiale, proveremo a capire se e quali fattispecie di reato si potrebbero contestare al giornalista che vestito da Indiana Jones, nel tentativo di sensibilizzare il pubblico rispetto allo stato del sito, ha a tutti gli effetti manomesso la sabbia posta intenzionalmente a copertura di diversi mosaici – e non certo sedimentata per incuria, come da lui ritenuto.
Vediamo dunque a quali articoli del codice penale e del codice dei Beni Culturali potremmo fare riferimento.
Danneggiamento (art. 635 c.p.)?
Punto di partenza non potrebbero che essere le ipotesi di danneggiamento, di cui all’art. 635 cod. pen. che punisce “chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili le seguenti cose altrui”, tra cui rientrano le “cose di interesse storico artistico ovunque siano ubicate”. Sorvolando su questioni riguardanti l’individuazione del bene tutelato dalla norma, passiamo ad analizzare queste modalità di aggressione.
Distruzione: ossia l’annientamento della cosa nel senso materiale di ridurla a niente, disfarla nella sua totalità ed identità. Tuttavia, distruggere, demolire, annientare, polverizzare, incenerire, tagliare, fondere etc., non sembra riguardare il caso in esame. Dispersione: consiste nel far fuoriuscire la res dalla disponibilità del proprietario rendendone impossibile o difficoltoso il recupero o l’impossessamento. E nemmeno questo sembrerebbe un reato ipotizzabile per il caso in esame. Deterioramento: modificazione materiale della res tale da peggiorarne le qualità e ridurne il valore anche se in maniera non irreversibile (ad esempio la mutilazione di una statua). Al riguardo la Cassazione ha affermato che il reato di danneggiamento sia configurabile soltanto quando la situazione creata richieda per il ripristino un’attività non agevole. Guardando al nostro episodio risulta però difficile qualificare l’attività di ripristino come non agevole. Inservibilità: il rendere inservibile è una categoria interessante poiché copre già il caso in cui un bene venga reso, anche solo parzialmente, inutilizzabile per un certo periodo di tempo in rapporto alla sua normale utilizzabilità. Ai nostri fini, oltre a valutare l’inservibilità del bene culturale, sarebbe da considerarsi più opportunamente una ipotesi di danneggiamento per inservibilità della sabbia, intesa nel suo essere dispositivo materiale funzionale alla conservazione: sarebbe quindi proprio l’interruzione parziale delle funzionalità conservative della sabbia rimossa a determinare una sua potenziale inservibilità, rilevante ai fini dell’art. 635 c.p.
Naturalmente questo inquadramento normativo del fatto deve essere affiancato dalla verifica dell’effettività del danno che, si badi, deve essere un danno tale da consentire l’applicazione di una sanzione penale: non ogni danno è misura sufficiente ad attivare misure punitive. Al riguardo la giurisprudenza ha ritenuto che la lesione non debba essere modesta al punto tale da non interferire, neppur minimamente, sulla struttura o sulla funzionalità del bene. Nel nostro caso dovremmo verificare concretamente se e in che misura la condotta del giornalista di Striscia abbia interferito sulla funzionalità conservativa della sabbia posta a protezione del bene.
Uso illecito (art. 170 D.Lgs 42/2004)?
Vi è una norma che potrebbe apparire applicabile: l’art. 170 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio che, a sostegno dell’art. 20 in cui si trattano gli interventi vietati, punisce “chiunque destina i beni culturali indicati nell’Articolo 10 ad uso incompatibile con il loro carattere storico od artistico o pregiudizievole per la loro conservazione o integrità”.
Per quanto riguarda l’incompatibilità con il carattere storico artistico non possiamo che escluderla in virtù di una pronuncia di Cassazione che configura come incompatibili quegli interventi sul bene culturale “finalizzati a valorizzare la natura storica od a garantirne il miglior utilizzo, quanto, piuttosto, a soddisfare beni ed interessi privi di relazione con tale natura e con la destinazione pubblica”[1]. Appare chiaro come la condotta di Ghione non abbia distorto il bene dalla destinazione che gli è propria, né che l’uso posto in essere fosse teso alla realizzazione di interessi non relativi alla natura e alla destinazione pubblica del bene stesso.
Per quanto riguarda l’altra ipotesi di uso sanzionato dall’art. 170, quello pregiudizievole per la conservazione o integrità del bene culturale, innanzitutto immaginiamo potersi escludere una lesione all’integrità del mosaico, quanto è piuttosto ipotizzabile un rischio relativo alla sua conservazione. E’ curioso evidenziare come nel caso in esame, nella verifica dell’effettivo pregiudizio alla conservazione del bene culturale, si ponga attenzione al medesimo oggetto che sopra, nel danneggiamento, abbiamo posto al centro nella verifica dell’effettiva inservibilità. Infatti, nel nostro caso, vi è assoluta coincidenza tra una potenziale diminuzione della conservazione del bene (con l’ipotesi di uso illecito) e l’interferenza alle funzioni conservative della sabbia (con l’ipotesi di danneggiamento).
A mio avviso risulta estremamente difficile che possa configurarsi un uso illecito di cui all’art. 170, la qual cosa non significa che il comportamento sia consentito ma solo che non supera la soglia del penalmente rilevante, o che comunque non risulta essere penalmente rilevante.
Ulteriore aspetto problematico, al di là del danno, anzi preliminarmente al danno, riguarda la condotta punibile, perché il tenore letterale della norma ha indotto diversi Autori – che non condivido ma che per completezza riporto – a non intendere come sanzionabile chiunque faccia del bene culturale un uso vietato. Essi ritengono infatti che l’espressione “chiunque destini ad un uso vietato” circoscriva la sfera dei possibili autori del reato a coloro che hanno un potere di disposizione sulla cosa, vale a dire proprietari, possessori e legittimi detentori.
Opera illecita (art. 169 D.Lgs 42/2004)?
Non rimane quindi che provare ad inquadrare quanto accaduto nel Parco di Veio alla luce dell’art. 169 del Codice dei Beni culturali e del Paesaggio il quale, tra le varie ipotesi, punisce alla lettera a) “chiunque senza autorizzazione demolisce, rimuove o modifica, restaura ovvero esegue opere di qualsiasi genere sui beni culturali indicati nell’art. 10”. Innanzitutto precisiamo come l’alterazione materiale realizzata da Ghione, ancorché minima, possa essere compresa quale modifica o comunque quale opera di qualsiasi genere; in secondo luogo dobbiamo verificare se quello realizzato fosse intervento che per legge debba essere sottoposto ad autorizzazione. La risposta, affermativa, è fornita dall’art. 21, comma 4 D.Lgs 42/2004 con il quale, in via residuale, il legislatore ha inteso disporre una funzione di controllo, attraverso l’esercizio della prerogativa autorizzatoria, su tutti gli interventi che coinvolgano i beni culturali.
Se Jimmy Ghione o chicchessia, vogliono realizzare attività non previste tra le ordinarie modalità di fruizione di un’area archeologica, devono farne richiesta alla Soprintendenza, la quale ben potrebbe acconsentire mettendo a disposizione personale esperto per realizzare l’intervento e ripristinare lo stato dei luoghi o comunque mettendo in sicurezza quanto emerso. Ciò a parte, ipotizzata l’abusività dell’intervento perché posto in assenza o in difformità rispetto a una autorizzazione, dobbiamo verificare, come indicato in una pronuncia di Cassazione, se l’intervento realizzato in concreto sia in astratto idoneo a pregiudicare gli interessi protetti, almeno in misura minima.
In base a queste brevi considerazioni, potremmo considerare la manomissione dello strato protettivo di sabbia del mosaico, un’ipotesi di opera illecita di cui all’art. 169 D.Lgs. 42/2004, poiché intervento realizzato in assenza di autorizzazione e, se appurato, in quanto pregiudizievole della conservazione del bene culturale
Anche in questo caso evidenziamo come oggetto di verifica dell’astratta idoneità dell’opera abusiva a pregiudicare gli interessi protetti, sia il medesimo sopra utilizzato per verificare l’effettivo pregiudizio alla conservazione (nell’uso illecito) e l’effettiva interferenza alle funzioni conservative (nel danneggiamento per inservibilità). E’ interessante notare che tale curioso gioco non coinvolge solo norme che individuano il bene culturale come oggetto materiale della propria tutela (come l’opera illecita e l’uso illecito), ma anche l’ipotesi di danneggiamento che nel nostro caso assume la sabbia come oggetto materiale tutelato dalla norma e che, con la condotta, subisce “interferenze alla funzionalità”.
Violazione in materia di ricerche archeologiche (art. 175 D.Lgs. 42/2004) ?
In chiusura affrontiamo una questione ponendo un distinguo che si colloca a monte rispetto a quanto detto finora, in cui si è proceduto dando per assunto che a coprire il mosaico vi fosse un materiale sabbioso appositamente e recentemente collocato.
Qualora così non fosse, qualora cioè quel sedimento si sia formato naturalmente e non per attività antropiche, l’azione di Ghione potrebbe configurare un’opera per il ritrovamento, essendo la sua una condotta intenzionalmente orientata al rinvenimento di beni di interesse archeologico nel sottosuolo?
E’ pur vero che la sedimentazione formatasi successivamente allo scavo non rivesta alcun interesse culturale diretto e che una qualsiasi sua manomissione non dovrebbe compromettere alcun dato archeologico. Ma non è questa, insieme ad altre, una valutazione che possono fare tutti ed è proprio per tale motivo che esiste una riserva statale in materia di ricerche e un regime autorizzatorio per l’esecuzione di ogni intervento: la ragione risiede appunto nel voler garantire, attraverso lo strumento concessorio, degli standard nelle attività di ricerca e di realizzazione di qualsiasi intervento.
Il rischio, abbastanza concreto a quanto pare, è che un bel giorno un cittadino qualunque si possa travestire da Indiana Jones e mettersi a rimuovere o smuovere terriccio in un’area archeologica, senza sapere neanche a che cosa stia mettendo mano.
Difficile dire se l’attività di Ghione possa configurare una ricerca abusiva o più propriamente un’opera abusiva di cui all’art. 169 D.Lgs 42/2004 che abbiamo visto in precedenza. In ogni caso, al di là della norma applicabile, quello che pare emergere è come la condotta sia stata sorretta da un elemento psicologico connotato dalla mancata consapevolezza, da parte dell’autore, di elementari regole riguardanti il corretto relazionarsi con un contesto archeologico: una dimensione psicologica composta da una cognizione minima e anche generica di che cosa sia un sito archeologico, di quali siano i suoi valori, e della conseguente necessaria prudenza nel non assumere comportamenti negligenti, imprudenti o imperiti. Il rispetto per la terra in ambito archeologico e la conseguente prudenza nel relazionarsi ad essa, sono una misura minima ed elementare.
[1] Sentenza n. 42065 del 2011, la quale ha censurato dei lavori di costruzione di un parcheggio all’interno di un parco pubblico.