Osservando le terribili immagini di umanità impaurita e abbandonata che provengono da Kabul e l’Afghanistan tutto, non si può non provare un moto di tristezza e vergogna, frammisti ad una certa rabbia, per il modo in cui questa popolazione è stata trattata negli ultimi trent’anni e più, fino a quest’ultimo sfregio. Senza mai dimenticare il dramma umano e umanitario in corso giova ricordare che da punto di vista storico, artistico e archeologico si tratta di una terra straordinaria. E la storia dei monumenti e dei reperti è inscindibilmente legata alla memoria e all’identità culturale delle persone che la abitano; non sono due cose differenti. Altrimenti non si spiegherebbero le varie distruzioni del patrimonio artistico messe in opera da varie entità, come l’Isis, i Taliban stessi o anche alcuni stati, non appena le condizioni di crisi lo permettono.
L’Afghanistan, infatti, è un grande, secolare luogo di passaggio e incontro di traffici commerciali e quindi di culture e esperienze.
Terra ricchissima, abitata da popolazioni indoeuropee, attraversata da tutte le grandi piste carovaniere fra Oriente e Occidente, terra quindi di straordinario incontro culturale e artistico.
Dominio Medo, poi Persiano, è stata infine conquistata da Alessandro Magno, la cui presenza è testimoniata anche dalla fondazione di una grande città che portava il suo nome, l’attuale Herat: sì, Herat, base principale della missione italiana in Afghanistan, venne fondata proprio da lui. Terra dove la cultura greca divenuta Ellenistica unendosi al buddismo ha dato origine alla bellissima e originale arte del Ghandara, fusione sapientissima e raffinata tra i mondi orientale e occidentale, di cui i Buddha di Bamiyan rappresentavano un esempio unico al mondo e finirono distrutti nel 2001 dagli stessi Taliban ora tornati al potere. L’Afghanistan, dunque, è una vera terra di passaggio e contatto tra molteplici culture differenti: è frontiera e portale al tempo stesso.
È quindi una terra ricca di oggetti e reperti, a centinaia di migliaia, molto appetiti sul mercato internazionale illegale dei Beni Culturali, non solo per la loro unicità, ma anche perché richiesti sia dai collezionisti occidentali a caccia di grecità, che dagli orientali interessati alle vestigia buddhiste. Monumenti e oggetti, e con loro la memoria e la vita delle persone ora in pericolo a causa del ritorno al potere degli Studenti Coranici. Anche perché i funzionari e gli archeologi dei vari musei afghani non sono stati al momento in grado di mettere in salvo alcunché, data la repentinità dell’avanzata talebana, e della fuga altrui. Tutte le collezioni del Museo di Kabul e di altre città afghane, come Herat o Kandahar, così come tutti coloro che vi lavorano o collaborano, sono al momento di fatto alla mercé delle decisioni del nuovo governo e dei loro miliziani.
Al momento non si hanno segnalazioni di danni o saccheggi messi in opera da parte delle milizie avanzanti nei territori passati sotto il loro controllo e a febbraio il leader aveva ordinato di proteggere e conservare le antichità di ogni tipo, tra l’altro ponendo fine agli scavi illegali e alla vendita illecita di beni culturali. Inoltre, tutti i funzionari legati alle istituzioni museali sarebbero stati confermati. Ovviamente gli stessi non hanno al momento modo di verificare le condizioni dei musei, essendo impossibilitati a recarsi al lavoro in questa fase confusa del passaggio di poteri in loco. Rimane perciò forte il timore di distruzioni, saccheggi e furti nei vari siti culturali e si rileva la necessità di monitorare anche questo tipo di evoluzione nel comportamento futuro dei nuovi gestori politici del paese afghano, oltreché naturalmente di salvaguardare la vita delle persone impegnate da anni nella tutela della storia di quei luoghi: una storia che è parte inestricabile di quella del Mondo, quindi è anche nostra.
Ѐ d’altra parte ancora vivo il tremendo ricordo delle esplosioni che hanno cancellato per sempre i Buddha di Bamiyan, sebbene appena un anno e mezzo prima il Mullah Omar ne avesse garantito la conservazione, del salvataggio in extremis dei reperti del Museo di Kabul, grazie a un archeologo che li ha nascosti murando una stanza, e delle varie iniziative di recupero del patrimonio artistico sottratto e venduto illegalmente in questi anni sul mercato clandestino. Un mercato ora incentivato anche dalla nuova grande opportunità fornita a questi orribili e criminosi scambi dalla rete informatica, soprattutto dal deep web.
Di fronte a questa vergognosa tragedia, riteniamo quindi indispensabile porre l’attenzione anche alla salvaguardia dei manufatti antichi, perché non si tratta solo degli oggetti in sé, ma dell’immateriale significato che quegli oggetti rappresentano per il popolo afghano, e per tutti noi. Si tratta anche di un modo, forse, per non abbandonare del tutto questa povera gente.
Archeologo e Archeoreporter, ha partecipato a molteplici campagne archeologiche in Italia e all’estero, soprattutto nel Vicino Oriente. Si occupa tra le altre cose dei rapporti tra Archeologia e Politica e del suo uso propagandistico, della lotta al saccheggio e al traffico illegale di Beni Culturali e di salvaguardia del patrimonio in aree di crisi e di conflitto”. Nominato “PERSON OF THE YEAR 2017” dall’Osservatorio Internazionale Archeomafie.