Il ripostiglio di ‘Aes Grave’ di Carbognano (VT): un tesoretto sfuggito ad Annibale?
Il macchinario aveva appena estratto la grossa radice dell’ulivo secolare lasciando una voragine fangosa nel terreno ancora umido per le forti piogge. Tra le zolle smosse la mano del lavorante toccò qualcosa… non un sasso, non una radice, qualcosa di piccolo, tondo e piatto. Incuriosito lo rigirò fra le dita spolverandone via la terra e facendone emergere la superficie verdognola: una moneta. Gli occhi puntarono di nuovo al suolo dove, a uno sguardo attento, si scorgevano molti altri dischetti metallici, sporchi e illeggibili. L’uomo chiamò poco distante il proprietario del campo che stava seguendo l’espianto dell’ulivo e i due fissarono il bottino perplessi sul da farsi…
I fatti
Immaginate ora di essere nei panni del proprietario del campo che scopre, in modo del tutto fortuito e assai inaspettato, un gruzzolo di 75 monete. Non è un esperto e non ha idea di che monete siano: certo è che si tratta di reperti provenienti dal sottosuolo e presumibilmente molto antichi, dato il loro stato. Questo dovrebbe bastare per indurlo a contattare le autorità locali e segnalarne con rapidità il ritrovamento.
In ottemperanza all’art. 90, comma 1 del D.Lgs. 42/2004 (il cosiddetto Codice dei beni culturali e del paesaggio), la denuncia di un rinvenimento fortuito di beni culturali deve avvenire entro ventiquattro ore dalla scoperta.
Nel caso del ripostiglio di monete romane emerso nel 2018 da un campo nei pressi di Carbognano (VT) – episodio di cui si è proposta sopra una libera ricostruzione – la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale sarà di fatto allertata con un certo ritardo. Quando, nel febbraio del 2019, il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale riceve a sua volta comunicazione del rinvenimento fortuito e scattano finalmente le indagini, l’expertise effettuata sulle monete rileva che i pezzi hanno già subito una vera e propria pulitura: qualcun altro, dunque, deve averli osservati e valutati prima della segnalazione alle autorità.
Su decreto della Procura della Repubblica di Roma le monete vengono perciò sequestrate dai militari dell’Arma che, effettuato un soprallugo nell’area indicata dal proprietario del terreno, individuano altre due monete rimaste in situ.
Il materiale archeologico raccolto è stato quindi acquisito al patrimonio dello Stato ed è ora allestito al Museo di Castel Sant’Angelo nella bella mostra Il Mondo Salverà la Bellezza? che vi stiamo raccontando con brevi focus sulle opere più significative.
Il ripostiglio
Ma vediamo ora da vicino il gruzzolo così fortunosamente scoperto sotto le radici di un ulivo secolare. Si tratta di 77 monete romane riferibili ad emissioni repubblicane di Aes grave, di rara conservazione, databili al III secolo a.C. e prodotte tramite ‘fusione’. Con ciò si intende che le monete erano state ottenute colando nella matrice incisa il metallo fuso, in questo caso una lega bronzea, anziché battendo un tondello metallico tra due conii secondo il metodo della ‘coniazione’, come già avveniva in ambito greco fin dal V secolo a.C.
Analizzandone le raffigurazioni di dritto e rovescio, le monete si possono ulteriormente suddividere per periodo di emissione:
- 1 esemplare di Asse (prima del 240 a.C.): D/Testa di Roma con elmo frigio, a dx; R/Testa di Roma con elmo frigio, a sx (RRC 21.1)
- 1 esemplare di Asse (240 a.C. circa): D/Testa gianiforme dei Dioscuri; R/Testa di Mercurio, a dx, falce (RRC 25.4)
- 1 esemplare di Triente (240 a.C. circa): D/Fulmine; R/Delfino sopra falce (RRC 25.6)
- 58 esemplari di Asse (225-217 a.C. circa): D/Testa di Giano; R/Prua (RRC 35.1; 36.1)
- 16 esemplari di Semisse (225-217 a.C. circa): D/Testa di Saturno; R/Prua (RRC 35.2)
Collocandosi verosimilmente dopo il 218/217 a.C., il ripostiglio risale a una fase assai delicata della storia repubblicana: il momento più critico della Seconda Guerra Punica, che vedrà nel 216 a.C. la terribile disfatta di Canne per mano di Annibale Barca.
Il 21 giugno 217 a.C. il Cartaginese aveva già pesantemente sconfitto nei pressi del Lago Trasimeno le legioni romane guidate da Gaio Flaminio Nepote, per dirigersi poi verso Spoleto, a un’ottantina di chilometri da Carbognano, e infine deviare verso il Piceno raggiungendo il Mare Adriatico per far riposare i propri uomini.
Non è perciò difficile immaginare il proprietario del consistente gruzzolo di bronzi mentre, in preda al panico per l’avanzata delle truppe nemiche che si temevano dirette ormai verso Roma, raccoglieva le monete in una sacca di pelle e le seppelliva in giardino sotto a un giovane ulivo, segnacolo per il futuro recupero.
Resta al contrario del tutto ignoto quale sorte sia toccata allo stesso Romano, che di certo non vide più il suo prezioso bottino.