di Marina Humar
Lungo la via Anagnina, antica via Latina, sin dall’età repubblicana, al X miglio sorgeva il Vicus Angusculanus, piccolo centro abitato che dipendeva dalla città di Tuscolo. La zona era ricca di vigneti e l’aria era salubre tanto da essere scelta da molti patrizi romani, come i Murena, i Caecilii, i Vinicii, per costruirvi le proprie ville rustiche. Si sviluppò così la comunità dei Decimiensi (abitanti del X miglio) e vi sorse una mansio (stazione di posta). Qui nel III secolo d.C. fu scavata la catacomba Ad Decimum che fu utilizzata fino all’inizio del V secolo proprio dalla comunità multietnica e di natura servile che lavorava nei campi delle ville adiacenti. Nei pressi della catacomba, a pochi metri dall’incrocio tra la via Latina e la via Valeria, tra il 1999 e il 2000, nel corso di lavori di scavo in un terreno privato, è stato riportato alla luce un sepolcro inviolato del I secolo d. C.
Dagli scavi sono emersi alcuni gradini in laterizio che conducevano a un dromos, un’anticamera disposta ortogonalmente e la camera sepolcrale, ambiente di m 2,40 x 1,20. La porta d’accesso, costituita da una lastra di peperino di notevoli dimensioni (m 0,90 larghezza, m 0,70 spessore, m 1,20 altezza) pesante 1660 Kg era ancora in situ, ancorata con tre grappe di ferro di forma rettangolare. Scala e anticamera sono in opus coementicium rivestito con paramento in laterizio, la cella era stata costruita solo con blocchi di lapis albanus (peperino). All’interno della cella di m 3 x 3, e di altezza m 2,30, con volta a botte e arco a tutto sesto, sono stati rinvenuti due sarcofagi marmorei intatti, riccamente incisi, disposti ortogonalmente. Il sarcofago addossato alla parete di fondo (m 2,12 x 0,68 x 0,60) presenta un coperchio piano decorato con foglie di quercia, ghiande e due nastri. Al centro del coperchio vi è una fascia decorata con cerchi concentrici, tre per parte, che presumibilmente aveva significato religioso. Nella parete frontale della cassa, decorata a bassorilievo, vi sono tre tabulae: quella centrale riporta l’iscrizione – T. Carvilio T.f. Ser(gia) // Gemello // v(ixit) a(nnis) XIIX m(ensibus) III-, realizzata con lettere accurate ed eleganti, con tracce della rubricatura originale, con il nome del defunto e l’età della sua morte. L’altro sarcofago accostato alla parete di sinistra, disposto ortogonalmente al primo, appartiene a Aebutia Quarta, madre di Titus Carvilius Gemellus.
La cassa misura m 2,07 x 0,74 x 0,62, è chiusa da un coperchio a doppio spiovente e sulla fronte, dentro una cornice esterna, lo spazio è suddiviso in tre parti da quattro lesene, che presentano il fusto decorato a squame con capitelli corinzi. Alle lesene sono appese ghirlande con foglie di lauro dalle quali ricadono vittae (bende). Sulla fronte tre tabulae,in quella centrale epigrafe con nome della defunta e dei figli: Aebutia C.f. Quarta // Antestiae Balbinae // et // Carvili Gemelli // mater piissima. In base all’onomastica si possono ricostruire i rapporti di parentela: Aebutia Quarta era moglie di Titus Carvilius della gens Sergia, Titus Carvilius Gemellus era il loro figlio, morto all’età di diciotto anni e tre mesi e sepolto nella stessa tomba, Antestia Balbina era la figlia nata da un secondo matrimonio che si occupò della sepoltura della madre. Gli Antestii erano una gens senatoria di tradizione repubblicana e anche i Carvilii probabilmente appartenevano all’aristocrazia romana. Ciò che rende questa scoperta notevole è lo stato di conservazione dei corpi dei defunti, che all’apertura dei sarcofagi sono risultati quasi intatti, perché imbalsamati. L’uso di imbalsamare i defunti non era frequente da parte dell’aristocrazia romana dell’epoca, infatti normalmente i corpi venivano cremati o inumati. Probabilmente i due defunti erano seguaci del culto di Iside, molto diffuso a Roma nel I-II secolo d.C., che prevedeva invece l’imbalsamazione dei corpi. A differenza della mummificazione i defunti non sono stati privati degli organi interni, ma soltanto trattati con balsami conservanti. Quando è stato aperto il sarcofago di T.Carvilius Gemellus il corpo era ricoperto da un sudario con tracce di mirra e colofonia, sostanze utili a garantirne la conservazione. Adagiato su uno strato sabbioso, era coperto di fiori, una ghirlanda cingeva la testa e altre quattro grandi ghirlande coprivano la parte superiore del corpo. Grazie alle particolari condizioni microclimatiche e all’assenza di spore e di microorganismi e al sarcofago perfettamente isolato, il professor Lorenzo Costantini, bioarcheologo del Museo di Arte Orientale di Roma, è riuscito a riconoscere la tipologia di lilium, rose e viole, fiori estivi, che ornavano anche il corpo di Aebutia Quarta. Carvilio era morto ancora giovane, probabilmente per setticemia dovuta alla frattura del femore, come è risultato dall’analisi dello scheletro, oppure potrebbe essere morto per avvelenamento, come fa presumere l’alto livello di arsenico presente nei suoi capelli. L’archeologa Giuseppina Ghini che partecipò allo scavo e al ritrovamento, afferma che, a differenza del corpo di Carvilius, che si è preservato quasi totalmente, di Aebutia resta soltanto lo scheletro, a causa della contaminazione dell’aria dovuta a una frattura nel coperchio del sarcofago. Aebutia morì all’età di circa quaranta-quarantacinque anni, poco dopo il figlio, probabilmente proprio a causa del dolore per la grave perdita. Anche il suo cadavere fu adornato con ghirlande di fiori, gli stessi che sono stati ritrovati nel sarcofago di Carvilio, perciò si desume che anche lei morì nella stagione estiva.
Nel sarcofago sono stati rinvenuti anche un nocciolo di dattero, frammenti della veste di seta che indossava e i resti di una parrucca rossa realizzata con capelli umani e crini di animale intrecciati con fili di seta a una reticella con sottili lamine d’oro. Una particolarità dell’acconciatura è la presenza di resti di cascina di latte caprino e minio, atti a prolungare la tinta e a facilitare la pettinatura. L’attaccatura della parrucca era nascosta da una treccia che passava sulla fronte e veniva poi annodata sulla nuca e terminava a coda di cavallo. Acconciatura questa molto particolare che rivela una mescolanza di influenze egizie ed europee. La parte superiore dello scheletro presenta tracce di combustione: è stato quindi possibile ipotizzare che la donna fosse morta proprio per le ustioni riportate. Il reperto che rende questo ritrovamento veramente unico e importante è l’anello che Aebutia portava all’anulare: fascia in oro con gemma ovale in cristallo di rocca, che era chiamata acenteta (del colore dell’acqua limpida). È un quarzo molto trasparente, con taglio a cabochon, sotto il quale è incastonato un ritratto altamente realistico, cesellato in oro con una microfusione a cera persa. Gli studiosi ritengono si tratti del giovane Carvilio, altri invece vi riconoscono le fattezze di una donna anziana, probabilmente la madre di Aebutia. In entrambi i casi l’anello poteva avere funzioni di “reliquiario” per ricordare il proprio parente defunto. L’anello, dopo essere stato analizzato dall’Istituto Gemmatologico nazionale, è ora esposto nel Museo Archeologico di Palestrina, dove una sala è riservata proprio all’esposizione permanente di gioielli e ornamenti di età imperiale.
Sono passati ormai vent’anni dalla scoperta del sepolcro delle ghirlande, ma, pur essendo stato un ritrovamento di notevole importanza, non è stato affatto valorizzato. I vari ritrovamenti sono stati separati non esistendo un museo territoriale, per poter vedere i reperti è quindi necessario recarsi in tre musei: a Palestrina per ammirare l’anello, al museo dell’Abbazia di Grottaferrata, dove è stata realizzata la ricostruzione del sepolcro e dove sono esposti i due sarcofagi, e a Tivoli al Laboratorio di Antropologia dove sono conservate le mummie di Carvilio ed Aebutia in teche speciali che mantengono costanti temperatura e umidità. La notizia del ritrovamento di questa tomba ha suscitato invece grande interesse presso gli archeologi stranieri e ha avuto un grosso risalto all’estero, tanto che Discovery Channel le ha dedicato un documentario.
[Da Vespertilla. Periodico romano di approfondimento culturale: arti, lettere, spettacolo, Anno XVII n. 1 gennaio-febbraio 2020].
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