Anno Zeri della discordia

Quello di giovedì 23 settembre doveva essere l’evento centrale delle celebrazioni per i cento anni dalla nascita di Federico Zeri e invece, nella sede in Santa Cristina a Bologna e in diretta Facebook, sono cordialmente volati gli stracci tra Eugenio Malgeri Zeri, nipote ed erede universale di Zeri, e il prof. Andrea Bacchi, direttore della Fondazione intitolata allo storico dell’arte

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L’occasione inaugurale, inserita nel programma elaborato dal Comitato Nazionale per le celebrazioni istituito dal Ministero della Cultura, avrebbe dovuto prestarsi ad una pluralità di funzioni: ricordare lo studioso, anzitutto, ma anche essere la cornice per l’annuncio di “importanti acquisizioni per la Fondazione”, per la presentazione del volume Il mestiere del conoscitore. Federico Zeri e per fare un bilancio di quali e quante attività sia stata protagonista la Fondazione Federico Zeri a ventuno anni dalla sua nascita; proprio a partire dalla digitalizzazione di circa 180mila immagini dell’importante fototeca Zeri – che ne consta 290.100 – donata all’Università di Bologna, ora “patrimonio comune, di utilità pubblica e di importanza internazionale”. E così è stato attraverso le parole di Francesco Ubertini, Rettore uscente dell’Alma Mater, e il messaggio inviato dal Ministro Dario Franceschini. Ma qualcosa non è andato come previsto perché le “cose interessanti per tutti”, che immaginava il direttore Bacchi nell’invitare al tavolo Malgeri Zeri, ad un certo punto hanno fatto calare il gelo in sala e infastidito non poco il direttore che, con il garbo e la ruvidità che lo contraddistinguono, anziché accogliere e ragionare sulla denuncia di Malgeri Zeri ha replicato a denti stretti.

Cosa avrà mai detto l’erede di Federico Zeri di così inopportuno?

«Vi ringrazio innanzitutto perché questa giornata mi permette finalmente di mantenere un impegno che io avevo assunto con me stesso esattamente 22 anni fa. 22 anni fa, era il 1999, io consegnai il legato deciso da mio zio, con il suo testamento, all’Università di Bologna e in quella occasione l’allora Rettore, prof. Roversi Monaco, mi fece una proposta: mi propose di vendere l’archivio personale di mio zio. Io, devo dire senza esitazioni, rifiutai la proposta impegnandomi con me stesso, e senza annunciarlo a nessuno, di donare l’archivio stesso alla Fondazione quando essa fosse stata istituita, visto che non era ancora nata, e quando avesse cominciato a operare come era nei desideri di mio zio e ovviamente anche miei. Ora che, secondo le regole di un tempo, la Fondazione è diventata maggiorenne e ha compiuto ventuno anni, penso ci siano tutte le condizioni per mantenere quell’impegno. La Fondazione è diventata un punto di riferimento non solo nazionale ma anche internazionale per gli studiosi di storia dell’arte e questo è testimoniato anche dalle ulteriori donazioni che la Fondazione stessa ha ricevuto da importanti studiosi italiani e stranieri.
L’archivio personale di mio zio, per descriverlo sommariamente, è composto da svariate migliaia di lettere che lui ha ricevuto da oltre mille corrispondenti1 nell’arco di tutta la sua vita, dagli anni ’40 fino al giorno della sua morte (avvenuta nella sua casa di Mentana, alle porte di Roma, il 5 ottobre 1998, ndr). Tutto questo archivio era conservato a Mentana direi un po’ confusamente, nulla a che vedere con la sua fototeca, in vecchi classificatori un tempo usati per le foto e suddivisi anno per anno. Io da tempo, anche con lo stimolo degli amici Anna Ottani (Cavina, ndr) e Mauro Natale, ho cominciato il riordino di questo archivio e adesso, a giorni, uscirà il primo risultato concreto di questo lavoro rappresentato dalle 349 lettere che mio zio e Roberto Longhi si sono scambiati nell’arco di tempo che va dal 1946 al 1965».

Segue l’illustrazione di alcuni esempi e fin qui fila tutto secondo scaletta. Ma ecco che si avvicina il “fuori programma”:

«Il riordino di questo carteggio mi ha anche permesso di ritrovare traccia di quel che ricordavo perfettamente sin dall’epoca dell’avvio del cantiere a Mentana. Come rivela una lettera datata 6 marzo 1949. Il 6 marzo 1949 mio zio aveva 28 anni, anzi 27, e lì già scriveva: “Viva l’insegnamento, e morte a coloro che, immuni da ogni sospetto di antiquariato, si dedicano esclusivamente alla cattedra. Ormai la fondazione di una libera scuola di Storia dell’Arte a Roma è divenuta una necessità urgente; e per fortuna non c’è a Roma nessun Ragghianti”. Questo scriveva a Longhi a 27 anni. Successivamente, per dimostrare che il suo disegno era netto, preciso e inequivocabile, scrive quella che poi è l’ultima lettera a Roberto Longhi che è datata 7 gennaio 1965. Poi non ce ne sono altre: “Venendo a Roma, Le sarei grato se mi telefonasse, anche perché Le vorrei mostrare la sede dell’Istituto di Storia dell’Arte che sto costruendo a Mentana: la biblioteca è già terminata (nelle ossature) e tutto l’insieme sta venendo fuori non solo bene, ma in “grand style”, e in un paesaggio che pare inventato da Claude o da Brill. Bisognerà anche che Lei mi aiuti a trovare un nome per l’Istituto, che vorrei intitolare a un grande Storico dell’Arte, ma non so chi – Venturi rammenta l’immondo e vomitevole figlio, Berenson era straniero, e poi basta con lui – forse il solo è Cavalcaselle.” Ecco, questo per ribadire che uno solo era l’intento, il disegno, il proposito di mio zio nel costruire la casa che si continua a chiamare, secondo me inappropriatamente, Villa Zeri

Facendo riferimento a questa lettera del 1965 Malgeri Zeri butta sale su una ferita mai sanata: la destinazione d’uso della proprietà di Mentana, ovvero un centro studi com’era nei progetti di Zeri, è stata disattesa; e l’Università di Bologna, anziché custodire le volontà e i beni di Zeri lì dov’erano stati raccolti e disposti, ha dapprima trasferito nella sede bolognese della Fondazione, costituitasi il 12 settembre 2000, la biblioteca attorno cui era sorto l’edificio e la preziosa fototeca, lasciando nudo e in malora l’immobile. E senza che l’erede potesse invertire la rotta perché “Egli [Federico Zeri, ndr] peraltro si astenne dal dettare al Notaio una clausola che gli avrebbe garantito il vincolo di destinazione da lui ritenuto implicito: vale a dire, una modalità del legato (artt. 647-648 c.c.), che avrebbe consentito al suo erede universale, l’unico nipote Dott. Eugenio Malgeri, figlio della sorella Nunzia, di risolvere il lascito testamentario nel caso l’onere fosse restato inadempiuto2”.

“Dopo la villa di Longhi – ha scritto Vittorio Sgarbi il 15 agosto 2021 per il Giornale – in via Benedetto Fortini 30 a Firenze, meta di studiosi, collezionisti e antiquari, soltanto la casa di Federico Zeri a Mentana fu un vero e proprio santuario, frequentato per avere opinioni, pareri, expertises. Il viaggio a Mentana era un rito, e la casa, oltre che biblioteca e fototeca, in una formidabile organizzazione personale e rigorosa insieme, era una meraviglia di oggetti, di sculture, di stoffe, di epigrafi, memorabile e indimenticabile per qualsiasi visitatore. Non c’era un criterio museografico, ma di passione, di gusto, di scelte. Si andava a Mentana per vedere la realizzazione dei pensieri di Zeri nei disegni dell’architetto Andrea Busiri Vici, che aveva creato il contenitore per la più superba wunderkammer mai realizzata da uno studioso, dopo Athanasius Kircher o Ferdinando Cospi. Nessuno poteva uscire indifferente dall’esperienza in quella centrifuga di sapienza e di bellezza, di oggetti antichi e moderni, lontanissima dal gusto funerario e ospedaliero di molti architetti contemporanei. Non è stata, per la casa di Zeri, neppure garantita una tutela per le iscrizioni e i frammenti antichi (venti dei quali recentemente rubati per l’incuria), considerate una delle più importanti raccolte private, dopo quella formata nel Settecento dal cardinale Alessandro Albani. L’iniziale decreto della Soprintendenza del Lazio, del 2003, fu infatti vigliaccamente impugnato nel 2006 dall’Università di Bologna, facendo ricorso al presidente della Repubblica e al Consiglio di Stato, e incredibilmente annullato.”

Ma non è tutto. Perché nel 2018 l’Università di Bologna cercò di mettere all’asta per 2,4 milioni la proprietà.

“Sembra una delle sue celebri telefonate mattutine: quelle goliardiche con cui, all’alba, Federico Zeri seminava il terrore standosene comodamente seduto nella sua villa di Mentana. E invece è tutto vero, nero su bianco in un annuncio surreale pubblicato sul sito di “Invest in Italy Real Estate”, il portale che aliena patrimonio pubblico attuando il decreto Sblocca Italia di Matteo Renzi e Maurizio Lupi: “L’immobile, noto come Villa Zeri, è situato nel Comune di Mentana, alle porte di Roma. La villa è circondata da terrazzi e giardini con vista sul Monte Gennaro e sul Terminillo e comprende terreni utilizzati per attività agricola. Il compendio, un tempo sede della Fondazione Zeri, custodisce al suo interno una delle più ampie raccolte di epigrafi romane, di notevole valore storico e artistico per la loro singolarità e ricchezza, collezionate da Federico Zeri, uno dei più autorevoli studiosi di storia dell’arte di sempre, che ha donato la sua casa museo all’Università di Bologna “Alma Mater Studiorum””, così riportava e denunciava il prof. Tomaso Montanari dalle pagine di Repubblica il 5 gennaio 20183.

Della vendita non se ne fece nulla e la proprietà è ancora dell’Università di Bologna che fino al 2010 l’ha utilizzata per alcuni – molto onerosi, secondo Andrea Bacchi e Anna Ottani Cavina, rispettivamente direttore e presidente onoraria della Fondazione – corsi specialistici. Ma l’incuria ha continuato a regnare sovrana esponendo l’immobile al degrado e alla più recente spoliazione di questa primavera. Si tratta della “sparizione registrata dai Carabinieri del Nucleo di tutela del patrimonio culturale di circa 20 epigrafi dall’importante lapidario: quasi 600 lastre in marmo che furono vincolate tardivamente solo nel 2014 e che Zeri collezionò in decenni di ricerche e acquisti sul mercato antiquario e su quello privato o clandestino; sembra infatti da una ricerca che almeno 50 lapidi di questa raccolta risultino come «mancanti» da altre collezioni o depositi privati e pubblici senza essere state mai denunciate direttamente come rubate. Essendo queste epigrafi murate nelle strutture della casa e del giardino, fanno parte integrante dell’immobile, così che Bologna non ha potuto portarsele via e dunque le ha abbandonate con la proprietà4”.

Questa una sintesi dei fatti recenti, ma torniamo alle parole dell’erede di Federico Zeri, dopo aver mostrato l’autorizzazione del Comune di Mentana, datata 3 luglio 1964, per la realizzazione dell’Istituto didattico per la Storia dell’Arte, su progetto dell’architetto Andrea Busiri Vici:

«La casa di Mentana non è mai stata e mai voluta essere una casa di famiglia, ma nelle intenzioni di mio zio doveva – e deve – essere un Istituto di Storia dell’Arte. E qui vengo al secondo capitolo, per me molto doloroso vi debbo dire, dell’intervento. Premetto e sottolineo che non intendo minimamente riaprire le polemiche che hanno accompagnato la nascita e anche i primi anni, o anni più recenti, di attività della Fondazione. Anzi, vi dirò di più. Se fossero state rispettate alla lettera le peraltro inequivocabili volontà espresse da mio zio, e la Fondazione avesse mantenuto la sua sede a Mentana, com’era specificato nell’atto costitutivo redatto dal notaio Bellezza, temo che la Fondazione Zeri non avrebbe raggiunto i risultati e la notorietà che ha conseguito con il trasferimento a Bologna. Questo per dire con chiarezza che la sede di Bologna è un dato assodato, conquistato e da non rimettere, a mio modesto giudizio, in discussione. Ciò non toglie che una e una sola era la volontà espressa da mio zio nei colloqui con il rettore dell’epoca, volontà che trova riscontro non solo nel suo testamento ma che avrebbe formato oggetto di un formale accordo il 10 ottobre 1998, appena 5 giorni dopo la sua scomparsa.»

Federico Zeri nella biblioteca di Mentana, 1980 (da Facebook, Andrea Busiri Vici architetto 1903-1989).

E qui Malgeri Zeri legge un passaggio di una lettera firmata dall’allora rettore Roversi Monaco datata 26 marzo 1998: «Mi preme sottolineare il forte significato di una iniziativa di questo genere, che consentirebbe a Bologna di avere un Centro di ricerca per i giovani pienamente vitale, al di fuori del contesto spesso provinciale di Bologna, e che si connetterebbe anche all’impegno dell’Ateneo di conservare non soltanto funzionale, ma vitale e destinato ad espandersi, il Centro stesso.»

E in una lettera successiva del 31 luglio 1998, sempre di Fabio Roversi Monaco, viene esplicitato chiaramente che «la biblioteca e la fototeca verranno curate, conservate e soggette a manutenzione ed incrementi nei termi che Ella (Federico Zeri, ndr) vorrà indicare, quali essi siano, ciò comprende anche il mantenimento di una foresteria nella Villa e una adeguata gestione dal punto di vista della sua utilizzabilità5».

Fa seguito la lettura della trascrizione dell’intervento commemorativo di Roversi Monaco, fatto il 7 ottobre 1998 nel Complesso del San Michele a Roma: «L’impegno lo voglio assumere in primo luogo nei confronti del nipote di Federico Zeri dott. Malgeri, e della sua famiglia e nei confronti di colore che in questi anni gli sono stati vicini nella Villa di Mentana, dove risiedono, e spero dove resteranno per molto tempo, sì da aiutare l’Università di Bologna a rispettare quello che dovrà essere veramente il suo compito più significativo, assunto anche nei confronti del Ministro On.le Veltroni, come del Direttore Generale dott. Serio, e soprattutto, della comunità scientifica.

Un impegno che assumo formalmente in questo momento: questo lascito ha un significato di conservazione, di sviluppo e soprattutto di vitalità in quel luogo e corrisponde all’impegno che l’Università di Bologna intendeva assumere dopo averne discusso con Federico Zeri.»

L’ultimo documento di cui Malgeri Zeri dà lettura è un frammento, sempre di quel periodo, delle “Dichiarazioni del Rettore”: «L’Università di Bologna non era al corrente di questo lascito testamentario. “Con Zeri, grande figura indipendente di critico, avevamo impostato – ha spiegato Roversi Monaco – una sorta di convenzione, di accordo, in base alla quale la villa ma soprattutto la biblioteca e la grande fototeca sarebbero passate all’Università di Bologna che avrebbe mantenuto la disponibilità dei luoghi e avrebbe seguitato ad occuparsi degli studi”.»

Terminata dunque la carrellata documentale, l’erede di Federico Zeri riprende il suo intervento, in parte a braccio, con l’affondo finale:

«Chiudo questa rassegna di documenti per aggiungere invece una testimonianza di carattere molto personale. È una cosa, vi garantisco che non ho mai raccontato a nessuno, neanche a mia madre negli anni in cui era in vita. Pochi giorni prima di morire, mio zio mi telefonò e, con fare insolitamente serioso, mi disse: “Vieni a pranzo da me che dobbiamo discutere di questioni importanti”. Onestamente non potevo neanche lontanamente immaginare quali fossero queste comunicazioni, comunque eravamo a tavola insieme e lui, senza troppi preamboli com’era suo costume, mi disse: “Ma tu, quando io non ci sarò più, verresti a vivere a Mentana?” Io devo dire rimasi un attimo sconcertato e turbato e gli risposi senza troppo rifletterci: “Caro zio, al di là dei pensieri tristi che questa tua frase evoca, io so perfettamente le ragioni e le finalità per cui tu hai costruito questa casa, non certo per essere una casa di famiglia bensì per essere un luogo di studio. Quello che ti posso dire, per la parte che mi riguarda, cerca di destinarla a chi ti garantirà di osservare e mantenere il tuo disegno, il tuo sogno”. Queste furono le ultime parole che noi ci scambiammo a quattr’occhi. E queste, non vi nascondo, me le porto come una sorta di macigno per una ragione molto semplice. Premesso che non era mai stata in discussione la finalità con cui mio zio destinava la casa all’Università di Bologna, quello che io mi aspetto, nel rispetto delle sue volontà e della sua memoria, è non solo che venga garantita all’immobile di Mentana un’adeguata conservazione, ma anche una destinazione rispettosa con le finalità culturali che stavano a cuore a mio zio. Pochi anni fa l’Università di Bologna l’aveva giudicato un bene non di suo interesse e aveva deciso di affidarne la vendita all’incanto a un sito che si occupa appunto della vendita degli immobili pubblici che, diciamo, hanno perso interesse. Esattamente tre anni fa, in questa stessa sala, io ero presente, il prof. Ubertini assunse un impegno solenne, a titolo personale ma mi auguro anche a nome dell’intero Ateneo, che era quello di rinunciare ad ogni proposito di vendita della casa e quindi conservare la proprietà della casa di Mentana – Istituto didattico della Storia dell’Arte – nell’ambito dell’Ateneo bolognese. Oggi voglio dare atto, proprio in occasione di questo centenario, che il prof. Ubertini da galantuomo ha mantenuto il suo impegno: la casa di Mentana non mi risulta più essere in vendita. Però, e qui è il problema che io vi pongo rispettosamente ma fermamente, all’inizio di settembre sono tornato, dopo 5-6 anni a Mentana: ho accompagnato la dott.ssa Rodeschini, direttrice dell’Accademia di Carrara, e in quella occasione ho avuto modo, ahimè, di constatare che la casa versa in condizioni pietose. La camera di mio zio, dove io avevo segnalato 5-6 anni prima, la presenza di pesanti infiltrazioni d’acqua oramai è piena di muffa sul soffitto e sulle pareti. C’è ancora il letto su cui lui è spirato, ci sono ancora i libri di lettura che lui preferiva nella camera da letto, però la casa è in condizioni disastrose: gli infissi cadono a pezzi, il telefono è guasto da non so quanti anni, le telecamere, che diciamo sorvegliano i cancelli, non funzionano, non funziona neanche più il citofono per farsi annunciare quando si arriva. Se fosse stato qui presente, com’era inizialmente annunciato, il Ministro Franceschini, garbatamente e rispettosamente gli avrei chiesto: “Caro Ministro, ha senso apporre vincoli a quella raccolta di epigrafi, che sono murate tutte all’esterno della casa e che, a giudizio degli studiosi, è seconda come raccolta solo a quella settecentesca del Cardinal Albani, se poi si lascia andare in rovina l’edificio che li custodisce? Non sarebbe il caso che anche da parte del Ministero venisse in aiuto, anche in collaborazione con l’Università, un sostegno per trovare un impiego consono a questo edificio?” Io non dubito, perché lo so dalla viva voce di Anna (Ottani Cavina, ndr) e dal rettore che mi ha preceduto, il prof. Ubertini, che sono stati fatti dei tentativi – non so quanto convinti, scusate la malizia – per dare una destinazione a questo immobile però, se il progetto iniziale di farne la sede principale della Fondazione si è rivelato non percorribile, e di questo ribadisco non ho ragioni di dolermi, se i tentativi di accordi con le istituzioni già presenti nella Capitale non sono andati a buon fine, perché non si pensa, piuttosto che lasciarla andare in rovina, a destinarla magari a collegio universitario di merito sfruttando il fondo di 960 milioni stanziato di recente dal Ministero, proprio per la realizzazione di nuove residenze universitarie? È un modo questo di dare, a mio modesto avviso, una funzione pienamente compatibile con il disegno e la volontà di chi l’ha realizzata e generosamente donata, e allo stesso tempo in grado di fungere da sede distaccata della Fondazione di Bologna e di continuare magari a ospitare quella parte di biblioteca d’arte che ancora non ha trovato spazio qui a Santa Cristina. Francamente credo che mio zio, oltre alle commemorazioni e i volumi in suo onore, meriterebbe anche questo. Vi ringrazio e mi auguro che lo spirito con cui, senza condizioni ribadisco, io ho deciso di donare l’archivio personale dello zio sia accompagnato dal successore del prof. Ubertini, che mi auguro continui ad esercitare tutto il peso e la sua moral suasion sul collega che gli succederà, perché si realizzi anche questo progetto di trovare una destinazione per la casa, compatibile con il disegno con cui è stata costruita, e allo stesso tempo si riesca a dare alla Fondazione gli spazi indispensabili perché continui a prosperare, ad arricchirsi di nuovi documenti e a crescere ovviamente nella notorietà e nella consultabilità da parte di tutti gli studiosi del mondo. Grazie.»

Parole chiare, dunque, che mettono in evidenza le luci e soprattutto le ombre di una gestione mirabile per la parte di conservazione e fruizione della fototeca ma totalmente deficitaria verso una proprietà iconica che già nel 1989, quando ancora lo storico dell’arte era vivo e presente nell’edificio, fu oggetto di profanazione e di saccheggio milionario. Parole estranee quindi alla compiaciuta melassa, che spesso caratterizza convegni e commemorazioni, e che rimettono al centro delle celebrazioni del centenario della nascita di Federico Zeri la responsabilità delle Istituzioni, Fondazione Federico Zeri, Università di Bologna e Ministero della Cultura, nella tutela del bene ricevuto; parole che pretendono provvedimenti e non il culto delle ceneri di Zeri con risposte di circostanza e volumi di carta.

La replica del prof. Bacchi, percettibilmente contrariato e in imbarazzo per un affondo così diretto e circostanziato nel corso, possiamo dire, dell’evento più importante in calendario quest’anno alla Fondazione, non si è fatta attendere ma non è parsa così efficace quanto lo stato dell’arte recriminato:

«Naturalmente ringraziamo Eugenio Malgeri per l’intenzione di donare l’archivio che è molto importante e anche perché ci ha detto appunto che lui stesso considera assodato che qui a Bologna ci sono le cose di Zeri, si studiano le cose di Zeri. Dall’altra capisco bene la sua, come dire, amarezza nei confronti di una casa che non è come l’ha lasciata suo zio. Però, come ha detto lo stesso Malgeri, il rettore ma anche prima il rettore Dionigi, in questi anni – a parte il momento in cui si era pensato addirittura di alienarla – in realtà i tentativi di cercare di trovare un utilizzo per questa casa sono stati moltissimi e, diciamo, ce ne sono ancora adesso, mi pare, aperti. E questo sarebbe l’auspicio di tutti. Naturalmente è una cosa molto complessa ma io so, ormai lavorando qui alla Zeri e anche Anna (Ottani Cavina, ndr) lo sa bene, che questo è stato sempre questo un tema e nessuno lo vuole dimenticare. Sono stati fatti, quando era direttrice Anna, dei corsi a Mentana per cercare di tenerla viva. Corsi che avevano dei costi enormi per la Fondazione ma che sono stati fatti e con molta soddisfazione. Adesso sono state sentite varie istituzioni straniere che sono a Roma, come l’École française de Rome, Section Antiquité, che ha un reparto sull’epigrafia molto forte per capire se ci poteva essere un interesse. Finora questo non si è concretizzato però credo che ci sia assolutamente la volontà di mantenerla, tenerla viva e cercare soprattutto che la casa sia in ordine

Volendo interpretare che per “in ordine”, il prof. Bacchi intendesse in sicurezza e sotto stretta tutela, al momento ci restano solo che una certezza e una speranza: se le sorti della villa, in via delle Facciate a Mentana, sono riuscite nell’improbabile impresa di mettere d’accordo Tomaso Montanari e Vittorio Sgarbi, di allineare Repubblica e il Giornale, allora è ancora possibile credere nel miracolo del suo recupero e della sua piena restituzione alla comunità scientifica e alla collettività tutta.

Note

1 Tra cui Gianni Agnelli, Frederic Antal, Alberta Arbasino, Francesco Arcangeli, Bernard Berenson, Alessandro Contini Bonacossi, Vittore Branca, Giuliano Briganti, Pico Cellini, Vittorio Cini, Angelo Costa, Amedeo Olia, Alvar González-Palacios, Mina Gregori, Michel Laclotte, Olga Raggio, Carlo Volpi, Fernanda Wittgens e molti altri.

2 Come ha evidenziato Fabrizio Lemme, avvocato e amico di Federico Zeri, ad aprile 2018 su Il Giornale dell’Arte.

3 AAA: Vendesi Villa Museo di Federico Zeri. No Perditempo.

4 Dario del Bufalo, Mentana abbandonata, sparite 20 epigrafi di Zeri, il Giornale dell’Arte, 29 maggio 2021.

5 Così è come il nipote di Zeri ha dato lettura del documento, in realtà l’ordine dei punti di impegno nella lettera è invertito: prima la foresteria e il dovuto mantenimento funzionale dell’edificio e poi le indicazioni circa la gestione della biblioteca e della fototeca.

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