Il Caso Beltracchi (Parte I)
di Fabiana di Fazio e Giuseppe Di Vietri
Proponiamo qui la traduzione del passo The Beltracchi Affair: A Comment on the “Most Spectacular” German Art Forgery Case in Recent Times, a cura dei Professori D. Chappell e S. Hufnagel.
Abstract
Il 27 ottobre 2011 quattro persone, imputate nel più eclatante processo di contraffazione di opere d’arte nella storia della Germania del secondo dopoguerra, sono state condannate con pene che andavano dai 21 mesi ai 6 anni. Ad essere coinvolti l’autore dei falsi Wolfang Beltracchi (di 61 anni), sua moglie Helene Beltracchi (53), la sorella Jeanette Spurzem (54) ed Otto Schulte-Kellinghaus (68) quale “esperto di logistica”. In considerazione del danno finanziario cagionato, dell’imbarazzo degli acquirenti, dei commercianti, degli esperti e delle case d’asta, oltre all’esposizione mediatica in cui il processo è incorso, le pene possono considerarsi miti. Ad ogni modo questo caso è espressione di un tratto comune a ordinamenti giuridici di diversi Paesi i quali sanzionano in maniera lieve i falsari di opere d’arte [Nell’ordinamento italiano le pene vanno da tre mesi a quattro anni e alla posizione di chi materialmente contraffà un’opera vengono equiparate quelle di chi commercia, detiene per farne commercio o comunque pone in circolazione opere contraffatte e di chi autentica o contribuisce ad accreditare un’opera di cui si conosce la falsità – NDR].
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Per almeno 15 anni i soggetti accusati hanno ingannato il mondo dell’arte attraverso la contraffazione di capolavori moderni. Ad allertare la polizia sono stati principalmente due esperti d’arte: uno di essi ha dubitato dell’autenticità di numerose opere sottoposte all’analisi di Otto Schulte-Kellinghaus, l’altro nutrì sospetti su un’etichetta contraffatta posta sul retro di un dipinto. Infatti, il falsario aveva così effettivamente agito per poter spacciare il dipinto quale parte della Collezione Flechteim. Di questo collezionista della Germania anteguerra era noto come non apponesse alcuna etichetta per segnare la provenienza dei dipinti dalla propria collezione. Ulteriori sospetti vennero a galla quando, dal test di laboratorio effettuato su un dipinto, emerse la presenza del pigmento bianco di Titanio. Questo colore non esisteva all’epoca in cui l’opera si dichiarava essere stata dipinta.
Si ipotizza come il gruppo del Beltracchi abbia guadagnato circa 16 milioni di euro dalla falsificazione dei dipinti per cui è stato condannato. Tuttavia, questa somma potrebbe essere soltanto una piccola parte di un giro d’affari molto più consistente. Infatti in questo processo gli imputati hanno risposto di quattordici casi di truffa aggravata con falsificazione di documenti (11 consumati e 3 tentati). Nel mentre, vi sono altri 33 casi su cui la polizia e gli inquirenti tedeschi stanno procedendo separatamente. Su ulteriori 15 ipotesi di reato è intervenuta la prescrizione che l’ordinamento tedesco, §§ 76 III 3 StGB [Strafgesetzbuch, Codice penale – NDR], fissata a dieci anni per i reati puniti nel massimo fino a anni 10 di reclusione. Con la conseguenza che i fatti commessi negli anni Novanta non potessero e non possono più essere perseguiti dalla giurisdizione penale tedesca.
Le proporzioni del reato
È alquanto dibattuto il numero preciso delle opere contraffatte da Beltracchi e rilasciate nel mercato dell’arte. Una prima fonte riporta di circa 50 casi emersi durante le indagini e non ancora incorsi in prescrizione; altri 21 casi risalenti agli anni ’90; infine, la polizia ritiene che il gruppo abbia venduto in tutto il mondo ulteriori 25 opere false non ancora identificate. Il tutto conduce ad una stima di circa 100 opere contraffatte.
La scoperta di un ‘Beltracchi’ in Giappone ha confermato i sospetti relativi la presenza di altre opere false nel mercato internazionale. Per un esperto sarebbero addirittura 200 le opere contraffatte che Beltracchi avrebbe immesso nel mercato lecito dell’arte. Secondo altre fonti sarebbero almeno 47 i dipinti falsi rilasciate sul mercato tramite case d’asta, gallerie e dealer.
Gli ultimi rapporti, basati sulla presentazione che il principale agente di polizia preposto a questo caso, l’Ispettore Capo René Allonge, ha esposto alla Conferenza ‘Art Crime and Art Restitution‘ tenutasi a Berlino il 27 Gennaio 2012 inducono a ritenere che 53 dipinti contraffatti, per un valore stimato di 35 milioni di euro, siano chiaramente attribuibili a Beltracchi, che altri 20 falsi identificati risalenti agli anni ’90 non sono ad oggi riconducibili al sodalizio criminale e che in totale si presumono circa un centinaio di opere contraffatte dal gruppo: ad oggi probabilmente la stima più accurata.
Il Processo e la Sentenza
Il processo ebbe inizio il 1° Settembre 2011 e a sortirne la rapida conclusione fu un preliminare accordo tra la difesa e l’accusa: una riduzione della pena richiesta in cambio dell’ammissione di responsabilità. E così il terzo giorno il principale accusato, Wolfgang Beltracchi, rese per primo una piena confessione. Diversamente da quanto riscontrato nel mercato dell’arte, gli accordi (‘deals‘) costituiscono, almeno formalmente, una misura relativamente nuova nel diritto processuale penale tedesco [la codificazione dei “patteggiamenti” informali è avvenuta nel 2009 quando sono state introdotte nel codice di procedura penale tedesco le intese negoziate – NDR].
Il codice penale tedesco, per i reati di questo caso specifico, prevede una pena che nel massimo può arrivare a 10 anni di reclusione per ogni ipotesi di truffa/contraffazione. In questo caso, sia la contraffazione che la truffa sono il risultato di un medesimo atto criminale, ragion per cui queste non avrebbero potuto essere giudicate e punite separatamente; e così i 14 fatti di contraffazione e truffa porterebbero ad una pena superiore ai 10 anni di reclusione. Ciò significa che per il diritto penale tedesco la pena maggiore si applicherebbe per intero (10 anni). Nel mentre, per le ulteriori ipotesi di reato la condanna dovrebbe essere dimezzata, per una ipotetica sanzione complessiva comminabile di 75 anni.
Accettando l’intesa, in cambio di una piena assunzione di responsabilità, a Beltracchi furono offerti sei anni di reclusione, a sua moglie cinque, alla cognata due e al responsabile delle operazioni logistiche 5 anni. Rispettivamente, essi hanno scontato una pena detentiva di sei, quattro, un anno e nove mesi (sospesi) e cinque anni.
La Corte in definitiva non si è discostata significativamente dai limiti massimi individuati nelle intese negoziate tra difesa e accusa: solo la Spurzem ha ricevuto una pena inferiore. Rimane discutibile se gli avvocati, concludendo tali accordi, abbiano favorito i loro clienti. Sarebbe stato molto difficile dimostrare l’effettiva commissione dei reati, o quantomeno la loro riconducibilità agli accusati e, probabilmente, un dibattimento avrebbe anche potuto portare al venir meno di alcuni capi d’accusa con la conseguente irrogazione di condanne inferiori. Ma, come spesso avviene nel sistema processuale penale tedesco, gli imputati hanno preferito non correre il rischio di affrontare un dibattimento, anche da un punto di vista finanziario. Qualora non avessero confessato e si fosse proceduto con il dibattimento, il processo avrebbe avuto un costo esorbitante: basti pensare ai circa 160 testimoni e 10 periti che avrebbero dovuto deporre, agli avvocati da pagare oltre alle spese processuali. E anche se alcuni dei capi d’accusa fossero venuti meno nel corso del processo, i costi complessivi sarebbero stati a carico dello Stato soltanto laddove gli accusati fossero stati dichiarati in tutto e per tutto come non colpevoli. Anche per questi motivi il procedere con un’intesa negoziata ebbe a rappresentare una linea d’azione maggiormente prudente da seguire.
Testo di riferimento: S. Hufnagel, D. Chappell, The Beltracchi Affair: A Comment and Further Reflections on the “Most Spectacular” German Art Forgery Case in Recent Times, in Charney N. (eds), The Journal of Art Crime, 2012.
Vedi anche:
T. Pasciuto, Falsi d’autore: il caso Fischer – Beltracchi
P. Langlais, Forging Nature, time and atmosphere: the fraudsters of Impressionist art
L. Pacelli, Storie di falsari illustri. Ce le racconta Harry Bellet nel suo ultimo libro
Dottoressa in Scienze dei servizi giuridici