Arles, 1888: il pittore olandese Vincent Van Gogh trasferitosi qui in cerca di tranquillità, di aria più calda per la sua salute e della splendida luce del sud della Francia, si dedica alla produzione di numerose opere d’arte, alcune delle quali, come ad esempio la serie dei girasoli, destinate a diventare dei celebri capolavori. Nel giugno dello stesso anno, colpito dal fascino degli immensi campi di grano e dalla dedizione dei contadini, realizza un acquerello su carta, Les meules de blé, rappresentando tre grandi covoni di grano in un paesaggio in Provenza con sullo sfondo in lontananza delle donne intente a mietere.
In questo modo ha inizio la lunga e travagliata storia di quest’opera, che poche settimane dopo la sua realizzazione fu “tradotta” su tela in un quadro esposto oggi al Kröller-Müller Museum di Otterlo, una delle più grandi collezioni al mondo di opere dell’artista olandese. L’acquerello fu inviato in dono al fratello di Vincent, Theo, la cui moglie, Johanna Bonger, dopo averlo prestato per la più grande retrospettiva dell’artista ad Amsterdam nel 1905, vendette l’opera ad un artista parigino, Gustave Fayet. Nel 1913 fu acquistato a Berlino da un industriale tedesco, Max Meirowsky, che aveva una stimata collezione di quadri impressionisti e post-impressionisti; a seguito dell’ascesa di Hitler e del suo partito, però, a causa delle sue origini ebree Meirowsky fu costretto ben presto a vendere parte della collezione per finanziare la sua fuga verso la Svizzera. Così nel 1938, come accadde a molti ebrei per via delle persecuzioni naziste, mise all’asta le sue opere per una Judenauktion, una delle vendite forzate che permise a molti di fuggire dalla Germania e salvarsi la vita; egli emigrò prima ad Amsterdam, per poi passare nella neutrale Svizzera. Prima di andarsene affidò però l’acquerello di Van Gogh ad un mercante, che lo vendette ad un’altra collezionista ebrea: questa volta si trattava della parigina Miriam Caroline Alexandrine de Rotschild (membro del ramo francese della nota famiglia di banchieri), che negli anni ’40, con l’inizio dell’occupazione tedesca della Francia, fu costretta a scappare verso la Svizzera. Sappiamo che la sua collezione, come molte altre in Francia, fu confiscata dai tedeschi e portata al Jeu de Paume: si trattava di un edificio realizzato a fine ‘800 per il gioco della pallacorda (da qui il nome) e situato nel giardino delle Tuileries a Place de la Concorde a Parigi. Oggi è una splendida galleria d’arte contemporanea, ma durante l’occupazione tedesca era il luogo nel quale venivano raccolte tutte le opere d’arte sequestrate soprattutto alle famiglie ebree. Si trattava di una specie di magazzino, dal quale i vari capolavori venivano poi spediti in Germania. E così anche per l’acquerello di Van Gogh questo diventa uno stallo temporaneo prima della partenza: l’ultimo viaggio documentato, infatti, è quello che la porta fino in Austria. Da qui se ne perdono le tracce.
L’opera è riapparsa misteriosamente nel 1979 a New York, dove è stata acquistata da un ricco petroliere texano, Edwin Cox, che l’ha custodita per anni nella propria casa, mostrandola solamente a pochi fortunati amici.
E arriviamo così ai giorni nostri: nel 2020 infatti il collezionista texano è deceduto e i suoi eredi hanno deciso di mettere all’asta i suoi beni e soprattutto la collezione di opere d’arte. Tra queste anche les meules de blé che però ha riaperto una ferita che non si è ancora del tutto rimarginata: quella della guerra, della persecuzione degli ebrei e delle opere d’arte che sono state confiscate o vendute forzatamente. Tanti sono i capolavori che ancora oggi si trovano dentro musei e gallerie d’arte di tutto il mondo e che provengono dalle Judenauktionen o sono comunque stati venduti dai proprietari, perché costretti dalla situazione. Molte di più sono però quelle opere che si trovano in collezioni private e delle quali è difficile fare una lista o conoscere l’attuale collocazione. A chi appartengono questi beni? Che diritti hanno i vecchi proprietari o i loro eredi? Queste sono le domande che sono state poste a Washington nel 1998, quando 44 Stati e 13 organizzazioni non governative si sono riuniti e hanno firmato 11 principi, delle linee guida che invitano i vari paesi a fare una ricerca accurata sulla provenienza delle opere d’arte e a cercare una soluzione che sia più giusta ed equilibrata possibile per le restituzioni. I Principi di Washington riguardano però soprattutto le istituzioni pubbliche, mentre per i privati l’argomento è molto più complesso. Nel caso dell’acquerello di Van Gogh ad essere coinvolti sono gli eredi di Edwin Cox ma anche due famiglie ebree, quelle dei precedenti proprietari. Sulla base di quanto dichiarato dalla casa d’aste incaricata della vendita, sembra che le tre famiglie abbiano trovato un compromesso, anche se non se ne conoscono i dettagli: fatto sta che l’11 di novembre nella sede Christie’s di New York, una delle rare opere su carta di Van Gogh verrà messa all’asta con una base che partirà dai 20 ai 30 milioni di dollari, cifra che promette di poter salire notevolmente, se non raddoppiare, determinando una vendita da record. Al di là dell’importanza di questo capolavoro del pittore olandese o del suo valore economico, questo caso ha il pregio di rendere giustizia a due persone che sono state vittime dell’odio razziale e delle persecuzioni e di far rimanere alta l’attenzione su un argomento che a più di 75 anni dalla guerra è ancora incredibilmente attuale.
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