I Buddha di Bamiyan come tiro al bersaglio
I Buddha di Bamiyan dell’Afghanistan centrale, risalenti al VII secolo, erano le statue di Buddha più alte del mondo. Questa significativa eredità delle radici del buddismo in un paese prevalentemente musulmano è stata distrutta nel 2001 dai talebani. Durante il loro governo essi hanno cercato di eliminare tutti i simboli pre-islamici, così hanno deciso di radere al suolo le due monumentali figure, una alta 58 metri e l’altra 38 metri.
La distruzione dei due Buddha ha rappresentato una delle perdite culturali più significative dopo la Seconda Guerra Mondiale. Si è trattato di un atto deliberato volto alla consapevole distruzione di un’identità culturale molto importante per buona parte del popolo Afghano.
Recentemente sono apparsi sui social media molti video in cui si vedevano alcuni combattenti talebani, identificati dagli slogan che recitavano, sparare granate e razzi contro le grotte in cui si trovano i resti delle statue giganti. Nel videoclip, condiviso da Gandhara News, si vedono almeno sette talebani armati sparare contro i resti.
Nel video, si può vedere una granata esplodere contro la parete della nicchia e frantumare ciò che rimaneva delle maestose sculture.
Il video sta sollevando serie preoccupazioni sul dichiarato impegno della leadership talebana di proteggere i tesori culturali e storici dell’Afghanistan. Il fatto è particolarmente sconcertante perché i militanti presenti nel video erano stati incaricati di sorvegliare il sito storico, sotto il comando del governatore provinciale talebano di Bamiyan, Mullah Shireen Akhund. Il mullah Shireen Akhund era un membro del team di negoziatori talebani a Doha che aveva promesso di proteggere il sito.
Quando è stato interrogato, il vice capo della commissione culturale del governo guidato dai talebani, ha dichiarato che le indagini sono in corso e “i colpevoli saranno assicurati alla giustizia”.
Ma la maggior parte degli storici, archeologi e antropologi che hanno assistito alla distruzione dei siti di Bamiyan, non si fida degli atteggiamenti dei leader talebani. Non si fidano neanche di tutte le loro promesse di salvaguardare il patrimonio dell’Afghanistan che non sono altro che uno sforzo per presentare un’immagine pubblica più moderata di quella del brutale regime del 2001.
Mentre le parole scorrono, sono le azioni dei talebani che contano. Finora non hanno mantenuto le promesse fatte, che riguardano principalmente la conservazione dei diritti umani, dei diritti delle donne, della loro istruzione e di un governo inclusivo.
Laureata in Design e Comunicazione visiva presso il Politecnico di Torino. Ha conseguito il master in Management dei Beni Culturali presso Palazzo Spinelli di Firenze, con uno stage nella redazione di The Journal of Cultural Heritage Crime.