“A cosa non spingi i cuori degli uomini, o esecrabile fame dell’oro!“
(Virgilio, Eneide 3, 56-57)
Gli Ori Castellani tra le mani del destino
– Piazza Montanara, XIX secolo. Collane adornate da micromosaici, orecchini a bauletto e fibule a sanguisuga scivolano di mano in mano circondate da sguardi avidi, furtivi, appassionati. In questa piazza (oggi non più esistente) nei pressi di Piazza Venezia, si tenevano i frequenti traffici di materiale archeologico tra scavatori, studiosi, mercanti e acquirenti dell’epoca. Nell’Ottocento impazzano i primi scavi archeologici tra Roma, le necropoli etrusche, Pompei ed Ercolano e la celebre famiglia Castellani, noti gioiellieri dell’epoca, non esita ad inserirsi nell’ambiente archeologico. Certamente appassionati, ma in particolar modo interessati dal punto di vista della tecnica artistica, i Castellani parteciparono in prima persona a scavi archeologici e si attivarono in fortunate compravendite di reperti.
– Pasqua 2013. Una banda di uomini incappucciati penetra nelle sale del Museo Etrusco Nazionale di Villa Giulia e armata di fumogeni ed asce – porta via un bottino del valore di 3 milioni di euro. Tra le mani dei rapinatori, scorrono 27 preziosi monili trafugati tra i gioielli ottocenteschi della famigerata Collezione Castellani.
– Poche ore dopo gli stessi gioielli, questa volta in fotografia, sfilano tra le dita di una facoltosa signora russa che sfoglia bramosamente un catalogo nella sala d’imbarco dell’Aeroporto di Fiumicino. Il catalogo è quello degli Ori Castellani custoditi nelle sale di Villa Giulia e la ricca signora è la committente di uno dei furti d’arte più rocamboleschi e discussi degli ultimi decenni.
– E ancora una volta, qualche sera dopo, vediamo i gioielli sfilare davanti ai nostri occhi, questa volta in volo, lanciati dal finestrino di una Punto guidata dai rapinatori in fuga sulla Via Portuense che scelgono di disfarsi di sette dei preziosi monili per liberarsi del bottino incriminato.
Un furto entrato nella storia
Abbiamo seguito, attraverso queste istantanee, le tappe fondamentali del destino degli ori Castellani, i protagonisti di un furto d’arte entrato nella storia. Una vicenda memorabile e inconsueta sia per l’eccezionalità dei reperti trafugati, appartenenti alla preziosa collezione della leggendaria dinastia di orafi romani, sia per l’evoluzione delle indagini. Grazie all’impegno e alle ricerche coordinate dalla procura di Roma e dal Reparto Operativo del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, nel 2019 è stato possibile recuperare integralmente la refurtiva trafugata sei anni prima al Museo.
Il furto, la cui eco fece il giro del mondo, venne commissionato da una facoltosa signora russa a un antiquario romano che si rivolse a una banda di ladri per sottrarre la refurtiva con l’intenzione di venderla clandestinamente all’estero. I criminali, un gruppo di pregiudicati di Aprilia, pur rivelando la propria inesperienza nella scelta del bottino che non prevede infatti i pezzi più antichi e importanti della collezione bensì quelli più vistosi, riescono sin troppo facilmente nell’impresa di eludere la sorveglianza del museo e appropriarsi dei gioielli. Le indagini solerti e tempestive degli investigatori permisero di individuare immediatamente la committente che venne raggiunta all’aeroporto di fiumicino nell’atto di imbarcarsi per San Pietroburgo, colta in flagrante con il catalogo degli ori castellani in borsa e le fotografie del sistema di sorveglianza della sala dei gioielli, custodite nella memoria dell’iPhone. Con la stessa tempestività fu possibile intercettare le trattative dei rapinatori che vennero interrotti mentre mettevano a punto la vendita della refurtiva durante la notte in un bar della Via Portuense. I criminali vennero così costretti a una fuga rocambolesca in auto, con tanto di lancio dal finestrino di una busta con sette pezzi per disfarsi disperatamente del pericoloso bottino. Tre anni di indagini, perquisizioni e intercettazioni hanno portato il Comando a recuperare integralmente la parte di collezione sottratta e riportare i raffinati monili nella sala degli ori ad essi destinata, riportarli a casa.
L’ultimo pezzo recuperato, una collana d’oro con smeraldi incisi, rubini e perle, il più prezioso per un valore da solo di un milione e mezzo di euro, è stato infatti riconsegnato nel 2019 agli investigatori da uno dei ladri che lo aveva affidato alla moglie in punto di morte al fine di farlo restituire alle autorità e dunque alle sale del museo che da ormai un secolo ospita la collezione. Risale infatti proprio al 1919, cent’anni prima della sorprendente restituzione, la donazione allo Stato della collezione Castellani, composta da più di seimila pezzi e innumerevoli frammenti. Tra questi circa duemila sono reperti archeologici come bronzi, vetri, ceramiche e oreficeria antica che si accosta a quella moderna realizzata dal sapiente artigianato Castellani. I gioielli ottocenteschi si affiancano infatti a quelli antichi incorporandoli o riproducendone le tecniche più raffinate.
La dinastia Castellani
Fortunato Pio, capostipite della dinastia Castellani, inaugurò il primo laboratorio in Via del Corso, unendo le profonde conoscenze del mondo antico all’interesse per l’innovazione. Appassionato di antichità, studiò le tecniche dell’oreficeria greca, romana ed etrusca (in particolare specializzandosi su granulazione a pulviscolo e filigrana) e per farlo raccolse reperti archeologici provenienti dagli scavi dell’epoca. Fu l’incontro con il duca Michelangelo Caetani, il raffinatissimo mentore della famiglia, a rappresentare il punto di svolta. Con il nuovo marchio “CC” Caetani Castellani, venne inaugurata una nuova moda: il gioiello antico.
In competizione con la moda parigina, che vedeva un tripudio di brillanti e pietre preziose, i Castellani lanciarono uno stile che appassionò sia nobili romani che facoltosi stranieri. Ne recano testimonianza i giovani in visita in Italia per il Grand Tour che – attirati dalla preziosa oreficeria anticheggiante – inserivano l’immancabile visita al laboratorio Castellani tra le tappe fondamentali del viaggio. I due figli di Fortunato Pio, Augusto ed Alessandro, assunsero le redini del laboratorio, portandolo al massimo fulgore. Oltre a rendere i laboratori dei centri di cultura internazionali, svilupparono tecniche di lavorazione sempre più sofisticate: dall’invenzione del gioiello monetale (con l’inserimento di monete antiche, oboli o anforette) all’uso del micromosaico, fino all’invenzione della famigerata spilla souvenir AMOROMA da leggersi in entrambi i versi.
Il grande successo dell’oreficeria Castellani durò fino all’inizio del XX secolo, quando la mancanza di creatività e il naturale cambio di tendenze inaridì la produzione. Sorse spontanea, dunque, la decisione di chiudere il laboratorio e realizzare l’originario proposito familiare di donare l’intero patrimonio allo stato italiano. Questo, per volere della Soprintendenza, ne trovò idonea collocazione al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia dove oggi l’intera collezione ha potuto ricomporsi.