Roberto Lai – Filippo Tomassi, “Il ratto d’Europa. L’indagine che riportò a casa il magnifico vaso d’Assteas”

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di Paola Puglisi

Il fumetto, e ormai da molto tempo, non è più un “genere minore”. Basta pensare allo spazio che occupa – in tutti i sensi, dagli stand espositivi delle librerie, alle classifiche editoriali, ai social media – la graphic novel, assurta in certi casi a vera e propria forma di letteratura. Negli ultimi due-tre anni anche il Ministero della Cultura si è distinto con il Progetto Fumetti nei musei, realizzato in collaborazione con alcuni tra i più noti fumettisti italiani, pensato per avvicinare bambini e ragazzi ai luoghi della cultura. L’intuizione che il linguaggio grafico, e il fumetto in particolare, possa farsi veicolo di conoscenza a scopo educativo, “funziona” sempre, e non soltanto per i più giovani. Roberto Lai e Filippo Tomassi ci hanno sempre creduto, e lo utilizzano per illustrare ai giovani l’idea del senso di appartenenza del patrimonio culturale alla sua comunità di riferimento. Specie nel nostro tempo, in cui la parola “bellezza” è utilizzata spesso e volentieri in relazione ai beni culturali (nel nome di portali e progetti, specie indirizzati al turismo e alla valorizzazione) è opportuno ricordare che il valore di un oggetto non si esaurisce nella sua bellezza, ma tanto più acquista significato in quanto racconta la storia di un territorio, ne costituisce quella che è stata chiamata “l’armatura culturale”[1] – chi sa leggerla, del tutto in accordo con questa definizione, matura la consapevolezza di doverla anche difendere.

Non a caso, è nel contesto di una linea di attività tutta orientata alla tutela che nasce anche l’ultima storia di Roberto Lai e Filippo Tomassi, Il ratto d’Europa. L’indagine che riportò a casa il magnifico vaso d’Assteas, Edizione speciale degli Annali dell’Associazione Nomentana di Storia e Archeologia, in collaborazione con l’Associazione sulcitana di archeologia e storia “Arciere”, e l’Associazione Nazionale Carabinieri. Infatti, il binomio Lai-Tomassi ha origine dall’attività di entrambi nel Comando Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale (TPC), e dalla comune passione per la divulgazione dei valori che la ispirano. Roberto Lai, già luogotenente dell’Arma, è stato protagonista delle storie che oggi racconta; e il luogotenente Filippo Tomassi, in arte “Toma”, da quando ha cominciato a disegnare non ha più separato uniforme e matita[2]. L’efficace sceneggiatura si deve a Valerio Maria Fiori.

L’Italia, come è noto, nel 1969 fu la prima Nazione a dotarsi di un organismo di polizia specializzato nel settore dell’arte, anticipando di un anno la Convention on the Means of Prohibiting and Preventing the Illicit Import, Export and Transfer of Ownership of Cultural Property dell’UNESCO[3]; e i Carabinieri TPC, oltre ad aver formato corpi analoghi in altri Paesi, sono noti in tutto il mondo come una delle “eccellenze” italiane, per gli innumerevoli successi ottenuti e gli altrettanto innumerevoli oggetti recuperati. Quello che non tutti sanno, e certamente farà presa sui lettori più giovani, è che gli uomini della TPC si trovano spesso ad agire come veri “007”, in azioni in cui contano sempre intelligenza e determinazione, e spesso intuizione e prontezza per approfittare dei colpi di scena che pure non mancano, nello scenario internazionale del traffico illecito di arte e di antichità. 

L’operazione narrata in questo albo si può considerare un filone di un’indagine molto più ampia, condotta nel corso degli anni Novanta del secolo scorso, che proprio grazie al “lavoro di squadra” di Carabinieri, magistrati e archeologi ha saputo sfruttare alcune circostanze favorevoli e sconfiggere un’organizzazione criminale con ramificazioni in tutto il mondo. All’inizio del XXI secolo il nostro Paese ha cominciato a raccoglierne i frutti, con una serie di clamorose restituzioni di opere d’arte, molte delle quali – incluso il vaso di Assteas – erano state acquistate più che incautamente da alcuni dei maggiori musei statunitensi. Sempre grazie a quell’indagine, case d’asta, collezionisti e musei dovrebbero essere oggi più consapevoli, ed evitare gli acquisti di oggetti “privi di provenienza” – che significa quasi sempre scavati ed esportati illecitamente – acquisti che favoriscono a loro volta il crimine, perché alimentano la domanda.

Il racconto a fumetti, pur nella necessaria semplificazione della storia, ne coglie tutti gli aspetti essenziali. Si parte dalla Paestum del IV secolo a.C., dove il vaso, raffigurante il ratto di Europa, viene creato per un corredo funebre da Assteas, uno dei pochi ceramografi della Magna Grecia il cui nome sia giunto fino a noi. Seguono, nel 1979, il ritrovamento “casuale” della tomba nel corso di uno scavo, subito seguito dalla caduta dell’oggetto nella rete dei trafficanti di antichità. Quando poi, negli anni Novanta, una Polaroid del vaso ancora nelle mani dell’uomo che lo aveva dissotterrato viene ritrovata dai Carabinieri, la sceneggiatura tocca tutti gli aspetti delle indagini: la localizzazione presso il Getty Museum di Los Angeles, la ricerca di elementi che possano favorire l’azione del magistrato, il gioco di squadra tra Carabinieri e magistratura, fino alla restituzione del vaso da parte del Getty, a fronte della inequivocabile dimostrazione del suo viaggio illecito: dalla campagna campana, attraverso intermediari svizzeri, agli Stati Uniti. Oggi il cratere è esposto presso il Castello di Montesarchio (Benevento), sede del Museo Archeologico Nazionale del Sannio Caudino, dove “racconta” la storia del suo territorio di origine – mentre a Los Angeles era un oggetto tanto bello quanto muto.

Non manca, alla fine della storia, un testo corredato da immagini che bene illustrano la bellezza del reperto archeologico, e il mito di Europa che vi è raffigurato, insieme ad un corteo dionisiaco. E forse, dopo aver letto la storia avventurosa del vaso, “rapito” a sua volta, i lettori più giovani saranno anche meglio disposti all’approccio con uno dei miti fondanti della nostra civiltà.

Va ricordato, in conclusione, che il fenomeno del traffico illecito di oggetti d’arte, pur ridimensionato dall’azione delle forze dell’ordine, dalle leggi nazionali e dagli accordi internazionali, non si è certo esaurito. Al di là della singola storia, il disvelamento dei meccanismi, sia dell’organizzazione criminale che dell’azione degli investigatori, attraverso il linguaggio coinvolgente del fumetto, rende manifesta l’importanza e al tempo stesso la fragilità del patrimonio culturale, la cui tutela conta anche sulla diffusa consapevolezza che esso appartenga a noi tutti, come una ricchezza da difendere. Proprio in questo senso, gli albi a cura di Lai e Tomassi – Il ratto d’Europa è il più recente di una serie – e la loro distribuzione gratuita nelle scuole, sono un’iniziativa da far conoscere e sostenere. 


[1] Maurizio Carta, L’armatura culturale del territorio. Il patrimonio culturale come matrice d’identità e strumento di sviluppo, Milano: Franco Angeli, rist. 2006.

[2] In un’intervista del 2007 Filippo Tomassi ha dichiarato «non riesco più a capire se faccio il carabiniere e nel tempo libero il fumettista o viceversa».

[3] Si veda: https://en.unesco.org/fighttrafficking/1970.

Per tutti i siti web l’ultima consultazione è stata effettuata il 12 marzo 2021.

[La recensione al fumetto è tratta da Accademie & Biblioteche d’Italia, a. XV, n.s. (gennaio-dicembre 2020), p. 153-155].

Roberto Lai – Filippo Tomassi, Il ratto d’Europa. L’indagine che riportò a casa il magnifico vaso d’Assteas, Edizione speciale degli Annali dell’Associazione Nomentana di Storia e Archeologia, 2019, 48 p., € 15,00.

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