Altre 200 antichità valutate circa dieci milioni di dollari stanno per essere restituite all’Italia. La notizia è stata data dal procuratore distrettuale di Manhattan, Cyrus Vance, durante la cerimonia di rimpatrio tenutasi mercoledì 15 dicembre, alla quale hanno partecipato il Console Generale Fabrizio di Michele, il Generale del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale Roberto Riccardi e l’U.S. Homeland Security Investigations Deputy Special Agent in carica Erik Rosenblatt. Dei 200 reperti, 150 sono stati sequestrati durante le indagini svolte su Edoardo Almagià a seguito delle prove a suo carico rese note dal caso Steinhardt, che gli aveva acquistato direttamente quattro pannelli etruschi raffiguranti cavalieri a cavallo, un’antefissa di terracotta policroma raffigurante una menade, un’anfora attica a figure nere, due aryballoi arcaici in faience e un unguentario zoomorfo in faience raffigurante un babbuino del VI a.C., oltre che un aryballos corinzio a forma di testa elmata del V a.C.
Degli altri pezzi, novantasei sono stati sequestrati al Fordham Museum of Greek, Etruscan, and Roman Art, una testa di fanciulla del IV a.C. alla Merrin Gallery, cui era stata venduta da Giacomo Medici, e sette oggetti al Getty Museum.
Edoardo Almagià, detto l’Americano e personaggio di spicco nel panorama del mercato di antichità newyorkese, è noto per il suo coinvolgimento nel traffico fin dal 1992: è il primo a vedersi offrire la Triade Capitolina di Guidonia Montecelio da parte di Pietro Casasanta, pur proponendo un prezzo troppo basso.
Nel 1996 il procuratore statunitense per il Distretto Meridionale di New York sequestra ad Antiquarium Ltd. ventiquattro ceramiche Etrusche provenienti da Crustumerium (Roma Nord), ottenute nel 1987 da Almagià che ne aveva persino commissionato lo scavo a una squadra di tombaroli.
Nel 2000 viene fermato all’aeroporto internazionale JFK di New York con due affreschi non dichiarati trafugati da Ercolano; pochi mesi dopo, una sua spedizione commerciale accompagnata da falsa documentazione viene intercettata a Newark (New Jersey): i pacchi contengono altri cinque reperti archeologici proventi dall’Italia.
In cambio di informazioni su altri trafficanti e tombaroli, il broker non venne condannato per questi reati, né dalle autorità nostrane né da quelle straniere: l’estensione dei suoi traffici non era al momento ancora evidente.
Nel 2006 le forze dell’ordine americane e i Carabinieri ottengono il mandato per perquisire l’appartamento e il deposito di Almagià, potendo così fotografare decine di beni archeologici e fotocopiare numerosi documenti legati ai suoi scambi commerciali, identificando immediatamente sette opere saccheggiate dall’Italia: il mandato di perquisizione permette subito di sequestrarne cinque e una sesta viene consegnata direttamente dal trafficante, che tuttavia, prendendo tempo, sposta le restanti antichità e tutti i documenti incriminanti in parte in un deposito del New Jersey, allora sconosciuto alle forze dell’ordine, e in parte in un container diretto a Napoli.
Nel Dicembre dello stesso anno, i Carabinieri riescono a sequestrare il container, recuperando trentasette quadri e beni archeologici, e migliaia di documenti cartacei e fotografici, il cosiddetto “Archivio Almagià”.
Il sequestro porta inevitabilmente al processo, ma soprattutto consegna nelle mani delle autorità un archivio che documenta almeno 3600 antichità saccheggiate, spesso raggruppate per tombarolo, e che descrive sia i metodi sia i network utilizzati: come molti trafficanti, Almagià si serviva di differenti intermediari a capo di squadre di tombaroli per diverse aree e per diverse tipologie di oggetto in una medesima area; con ogni intermediario gestiva gli acquisti in modo differente; riceveva la documentazione fotografica e sceglieva gli oggetti di interesse a seconda dell’acquirente finale; contattava gli intermediari con carte prepagate; pagava da conti Svizzeri e sempre in Svizzera o in Inghilterra faceva esportare gli oggetti, prima di spostarli a New York; spesso si faceva anticipare una parte dell’acquisto dal compratore finale (come con Steinhardt) per chiudere l’affare, non celando loro in alcun modo l’origine illecita dei beni procurati; faceva giungere e quindi allestire le opere nel proprio appartamento, dove le mostrava agli acquirenti; a vendita conclusa, eliminava le liste originali, ma manteneva le fotografie e conservava un libro mastro, chiamato il “libro verde” dove dettagliava i propri affari.
Paolo Giorgio Ferri può quindi accusare Almagià nel 2006, basandosi sulla sua conclarata ed evidente attività criminale: ricettazione, esportazione illegale di beni culturali e partecipazione ad associazione a delinquere per il traffico degli stessi. Tutti i capi di accusa cadono in prescrizione e l’Americano non può essere condannato.
Nel 2013, tuttavia, il presidente del Tribunale Ordinario di Roma, il Giudice Boffi, ordina la confisca di tutte le antichità già sequestrate a New York e di tutte quelle ancora non individuate, ricordando che «Almagià non ha contestato che la proprietà di questi oggetti sia dello Stato Italiano» e sottolineando che tale proprietà indissolubile non si modifica semplicemente per la caduta in prescrizione delle accuse.
Nel 2015 la Corte Suprema di Cassazione conferma l’ordine: “Una volta accertata la circostanza di fatto della illecita esportazione del bene culturale, la confisca, salvo che la cosa appartenga a persona estranea al reato, è obbligatoria dovendo necessariamente essere ripristinato il patrimonio culturale italiano leso dall’appropriazione illecita del bene da parte del privato, che può anche non essere l’autore del reato. Pertanto la confisca dei beni culturali esportati illecitamente all’estero non richiede necessariamente la contestuale sentenza di condanna penale nei confronti dell’autore del reato” (CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 22/10/2015, Sentenza n. 42458).
Stando alle dichiarazioni dell’assistente del procuratore distrettuale, Matthew Bogdanos, i collezionisti e le istituzioni trovate in possesso degli oggetti sottoposti a confisca si sono dimostrati collaborative e vi hanno rinunciato volontariamente.
Presto, finalmente, 150 oggetti trafficati in 30 anni di attività da Almagià potranno tornare in Italia: «La cosa più importante – ha ribadito il Generale Roberto Riccardi al New York Times in occasione della cerimonia di restituzione al Consolato Italiano – è che questi preziosi ritrovamenti archeologici ritornino a casa, perché fanno parte della nostra identità culturale».
Aggiornamento del 30/12/2021
Si segnala quanto indicato all’editore da Edoardo Almagià in data 29 dicembre 2021: “Con riferimento all’articolo si omette di riferire che negli unici procedimenti penali a mio carico (Proc. Rep. Trib. Napoli R.G.N.R. 5814/12; Proc. Rep. Trib. Napoli R.G.N.R. 3306/06) non è stato mai chiesto il rinvio a giudizio. Essi sono stati archiviati su richiesta delle stesse Procure della Repubblica competenti. Non sono quindi indagato per i fatti riportati nell’articolo, che non corrispondono a verità”.