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È sempre perdonabile il bambino timoroso del buio.

La vera tragedia della vita è quando l’uomo ha paura della luce

(Platone – Νόμοι).

Gaetano Previati, “Danza delle Ore”, 1899; olio e tempera su tela; Milano, Collezione Fondazione Cariplo, Gallerie d’Italia di Piazza Scala (Foto: Wikimedia).

Premessa

L’Italia, nonostante le insidiose e sovrastanti procelle, ha captato la luce radiosa proveniente dalla capitale cipriota.

Fuor di metafora: la Camera dei Deputati, con il voto di 376 membri, ha ratificato la Convenzione del Consiglio d’Europa sancita a Nicosia, avviando l’iter, previa approvazione del Senato, di adeguamento della normativa concernente la protezione giuridica dei beni culturali. Si fa dunque cogente l’impegno firmato nel 2017 dai 47 stati aderenti alla Convenzione affinché le rispettive legislazioni nazionali tutelino, in maniera più incisiva, il patrimonio culturale dalle aggressioni criminali.

Dovrà essere perciò intrapreso il percorso legislativo per l’adozione di nuove norme, più puntuali e severe per i reati in danno del patrimonio culturale, con pene commisurate alla gravità delle violazioni e con riferimento alla circolazione dei beni culturali, in entrata e uscita dagli stati, al furto e agli scavi illeciti.

L’iter legislativo

La compagine di governo si è detta molto soddisfatta della ratifica, avendo peraltro già in cantiere una proposta di introduzione di specifiche disposizioni nel Codice penale vigente (Titolo VIII bis del Codice Penale): tutto sembrerebbe foriero di una positiva, quanto rapida conclusione.

Cosa potrebbe cambiare nella lotta dei crimini contro il patrimonio culturale, quali scenari si prospettano sul campo?

In primis la magistratura requirente e gli organismi di polizia potrebbero – finalmente – valersi di strumenti investigativi maggiormente efficaci per frenare i delitti con pene più severe, inclusa la reclusione superiore a cinque anni. La legislazione speciale vigente, in particolare le norme sanzionatorie previste dal Codice dei Beni Culturali (Parte IV, Artt.160-181), contemplano fattispecie delittuose con pene lievi che non consentono, ad esempio, di effettuare intercettazioni (art. 266 c.p.p.), adottare misure cautelari, procedere all’arresto e al fermo dell’indiziato, tranne nei casi in cui vi sia sussistenza dei reati di furto, ricettazione, riciclaggio o associazione a delinquere. Per rendere più robusta l’azione repressiva è stata anche avanzata l’ipotesi di introdurre la figura dell’“agente sotto copertura”. Questa scelta, peraltro già contemplata dall’ordinamento interno per le indagini antimafia (l.n. 146/2006 art. 9) e antidroga (DPR 309/1990 art. 97), consentirebbe agli ufficiali di polizia giudiziaria di acquisire elementi di prova in ordine agli specifici delitti e di valersi di causa di non punibilità che li proteggerebbe da possibili incriminazioni (giudicandole penalmente irrilevanti) ascrivibili alle condotte funzionali all’attività investigativa. 

Per chiarezza, giova precisare che l’“agente sotto copertura” disciplinato dalle norme non va confuso con “l’agente provocatore”, quello che, per intenderci, si è visto per anni nei telefilm polizieschi d’oltreoceano. Negli Stati Uniti è infatti disciplinata dal Model Penal Code la modalità del cosiddetto “entrapment”, ossia quando un agente di polizia istiga attivamente un altro soggetto a commettere un atto illegale, quindi, di fatto, pone in essere una condotta penalmente rilevante per l’ordinamento italiano e perseguibile dalla legge, sempre che non ricorrano i presupposti dell’art. 51 c.p. (Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere), circostanza che deve essere necessariamente accertata in via giudiziale. 

Tenuto conto della peculiarità e della spiccata transnazionalità dei crimini contro il patrimonio culturale, come il traffico illecito di reperti archeologici o il riciclaggio per mezzo della compravendita di opere di arte, sarebbe auspicabile un’armonizzazione delle legislazioni nazionali e una proficua sinergia tra magistrature e polizie estere (rogatoriaordine europeo di indagine). Sarebbe altresì interessante valutare l’opportunità di aggiungere questi specifici reati in connessione e/o tra quelli di competenza dell’European Public Prosecutors Office (EPPO) competente per l’esercizio dell’azione penale per i reati che ledono gli interessi finanziari dell’UE: frode, corruzione, riciclaggio di denaro e appropriazione indebita (direttiva UE 2017/1371).

A corollario dell’azione repressiva, basata essenzialmente sulla tutela penale, è emersa la necessità di migliorare le sinergie tra gli apparati di controllo: forze di Polizia, Agenzie delle Dogane e delle Entrate e Soprintendenze, con i relativi Uffici Esportazione. Questa è la rete allargata dei controlli ai fini preventivi, ossia le procedure amministrative di verifica sulla circolazione dei beni e sulla valutazione del loro interesse culturale, non disgiunti dagli accertamenti economico-finanziari in relazione alla detenzione e alla provenienza.

Scenari tra passato, presente e futuro

Ampliando il focus del law enforcement, è opportuna una riflessione su ciò che queste norme si prefiggono di proteggere. Il bene tutelato e la gravità dell’offesa verso il patrimonio culturale sono stati valutati sotto il duplice aspetto del danno effettivo e potenziale, nella prospettiva di una possibile esposizione al pericolo del bene stesso.

Sono stati perciò superati il criterio di minimizzazione delle misure penali e il principio di tendenziale tolleranza verso i reati contro il patrimonio culturale, ritenuti dal legislatore del passato non gravi, basandosi sull’erronea convinzione che al minimo necessario l’intervento penale rafforzi la sua legittimità. In ultima sintesi, la scelta di una copertura giuridica più efficace è anche il risultato di una più matura consapevolezza: il patrimonio culturale è un bene di tutti, universale, e che pertanto va preservato e tutelato ad ogni costo.

Tutto ciò è il frutto di un ampio e lungo dibattito internazionale intorno alle tematiche della tutela e dell’attenzione che l’opinione pubblica ha sviluppato nel corso degli anni. La Convenzione di Nicosia è “figlia” di quella di Faro (2005), che ha posto al centro l’eredità culturale delle società, incentivando le iniziative di cooperazione, ricerca e sviluppo, valorizzazione della memoria, della storia, degli scambi culturali ed educativi in un’ottica sostenibile.

L’azione politica, in particolare dell’Europa, si è armonizzata a queste linee di condotta con l’adozione del Trattato di Lisbona che è stato inserito a pieno titolo nella governance comunitaria (art. 167) per gestire le risorse culturali europee, ovvero del patrimonio culturale comune in termini di sviluppo sociale ed economico: il PNRR nazionale ha infatti previsto un miliardo di euro per gli interventi sui siti culturali o turistici e per imprese di settore.

Numerosi e importanti sono i passi in avanti compiuti da quel 1970, anno in cui l’UNESCO ha siglato la prima Convenzione internazionale concernente la lotta al traffico illecito di beni culturali in tempo di pace, ratificata da 132 Stati, tra cui l’Italia nel 1978. La tutela del patrimonio culturale è stata declinata tra i valori fondamentali dell’umanità anche in relazione ai diritti umani. È un traguardo di alto valore etico, condiviso dalle organizzazioni internazionali e da tutti gli stati aderenti: è cruciale, perciò, divulgare i princìpi e le idee cresciute in seno a questo lungo processo di adeguamento e cambiamento, per responsabilizzare le coscienze di ognuno di noi. In questo senso l’informazione e la comunicazione hanno avuto e hanno un ruolo fondamentale nella diffusione qualificata e capillare di tali argomenti.

Sarebbe meraviglioso condividere, tutti insieme, questo obiettivo, in un’ottica partecipata, coinvolgendo soprattutto le nuove generazioni e, con una punta di orgoglio nazionale, vedere confermato il ruolo di capofila del nostro paese, forti di una luminosa e sapiente tradizione di tutela di ciò che è “bello e buono”.

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