Site icon The Journal of Cultural Heritage Crime

Il “Tesoro di Eupòlemo”: la storia degli Argenti di Morgantina

(Tempo di lettura: 5 minuti)

L’attualità ci spinge ad approfondire una vicenda già nota alle cronache nazionali e non, che vede protagonista il famoso gruppo di argenti provenienti dall’antica città di Morgantina, in Sicilia. Nei giorni scorsi vi abbiamo infatti parlato delle ultime notizie riguardanti gli accordi di restituzione di questo prezioso gruppo di oggetti d’argento e lamina d’oro.

Il cosiddetto “Tesoro di Eupòlemo” è l’esempio più significativo di oreficeria della Sicilia ellenistica. Sono presenti elementi concepiti per il simposio, come coppe, brocche, mestoli, e altri appartenenti alla sfera del sacro, tra cui un altare miniaturistico, un piatto ombelicato, due pissidi, corni di bovino forse a decorazione di un elmo. Tra questi, spicca per bellezza e fattura il medaglione raffigurante il mostro marino Scilla, che in origine costituiva il tondo centrale del fondo di una coppa o di un piatto.

Le sottili ma ben definite tracce lasciate da questi preziosi reperti permettono di ricostruire la travagliata vicenda del loro trafugamento e del rientro in territorio nazionale. Le complesse indagini e attività giudiziarie sono state ricostruite dal magistrato Silvio Raffiotta nella sua monografia Caccia ai tesori di Morgantina, edita nel 2013.
Il copione è tristemente scontato: inizia da uno scavo clandestino, prosegue con un trafugamento oltre i confini nazionali e l’acquisto da parte di un famoso museo, si conclude con una contesa e non ancora ultimata restituzione al Paese di provenienza. Dopo il trafugamento negli anni ‘80, gli argenti vengono acquistati dal Metropolitan Museum of Art di New York, tramite il mediatore di profilo internazionale Robert Hecht. La vendita dell’intero gruppo si realizza in più fasi per una spesa complessiva di 2.742.000 dollari. Nel 1984 è ufficializzato l’acquisto con un bollettino del museo dove si cita una vaga provenienza dall’Italia Meridionale con rinvenimento risalente a oltre un secolo prima.

Un primo allarme riguardo alloro possibile provenienza siciliana viene lanciato dal professor Pier Giovanni Guzzo nel 1986. Due anni dopo, la testimonianza di un tombarolo siciliano, Giuseppe Mascara, costituisce un importante elemento di confronto. Infatti, il tombarolo “ravveduto” dichiara non solo di aver visto gli argenti ma anche di aver provato ad acquistarli. In quegli anni Malcom Bell III, professore di Archeologia Classica (University of Virginia), ammirando le vetrine del Museo di New York, riconosce gli oggetti come quelli descritti e tanto chiacchierati a Morgantina: tra gli elementi esposti c’è una inconfondibile raffigurazione di Scilla, il mostro marino descritto da Omero nell’Odissea e associato allo Stretto di Messina.

A seguito della confessione di Mascara e della comunicazione di Bell alle autorità italiane, parte la richiesta di restituzione al MET. Il Museo riferisce che, prima di approdare in Svizzera, i pezzi erano appartenuti a un antiquario di Beirut che li aveva ereditati dal padre nel 1961. È ormai noto, però, che “Beirut era il marchio di provenienza per ogni antichità contrabbandata dall’Italia o dalla Turchia” come scrisse nel suo libro (Il re dei Confessori) il noto direttore del MET, Thomas Hoving.

Nonostante l’assenza di documentazione ufficiale di provenienza e la dichiarazione del tombarolo siciliano, gli elementi a disposizione vengono considerati insufficienti per rivendicare l’origine italiana del reperto. Nel 1997 la Soprintendenza di Enna avvia uno scavo scientifico nel sito indicato da Mascara come luogo di rinvenimento degli argenti. La missione, diretta da Malcom Bell, si concentra in un quartiere residenziale ad ovest dell’agorà ellenistica.
Viene individuata un’abitazione con evidenti tracce di distruzioni a seguito delle devastazioni romane alla fine della seconda guerra punica (211 a.C.). Sul pavimento di una casa del IV sec. a.C riemergono le buche scavate dagli antichi residenti per nascondere gli oggetti preziosi, tra cui probabilmente anche gli argenti e la conferma del passaggio dei tombaroli è il ritrovamento di una moneta da cento lire del 1978.

Bell riuscirà ad esaminare gli argenti solo nel 1999 quando, traducendo le incisioni, scoprirà il nome di Eupòlemo, forse l’ultimo proprietario del tesoro, già noto nell’epigrafia di Morgantina. Inoltre, le altre iscrizioni presenti sull’argenteria trovano confronto con un sistema ponderale usato nella Sicilia ellenistica e più nello specifico a Morgantina. Non ci sono più dubbi: il tesoro esposto al MET corrisponde a quello scavato agli inizi degli anni ‘80 del secolo scorso a Morgantina e il Museo lo deve prontamente restituire. Il MET si dichiara disponibile alla trattativa di restituzione, incentivato probabilmente dal famoso processo del 2005 nei confronti di un’ampia organizzazione criminale di tipo internazionale dedita al traffico di reperti in Italia.

Nel 2006 viene siglato l’accordo tra il Museo e il Ministero per i Beni Culturali che porta, nel 2010, al rientro in Italia degli argenti. Oltre alla restituzione i due stati si impegnano a garantire e favorire i prestiti di opere d’arte. All’accordo è aggiunta una clausola valida quarant’anni: il tesoro verrà sì restituito a condizione che ogni quattro anni faccia ritorno in America. Questa “postilla” ha scatenato e scatena tutt’ora discussioni alla ricerca di possibili soluzioni per non far viaggiare i fragili oggetti. In un primo momento la Regione Siciliana disattese l’accordo, con un decreto del 2013 (Decreto Assessoriale 1771 del 27 Giugno 2013) che inseriva il tesoro tra i beni culturali inamovibili. A seguito delle insistenze del MET e del nostro Ministero, il decreto non venne applicato. Il tesoro continua dunque il suo andirivieni tra Italia e America, nonostante il delicato stato conservativo, constatato da perizie diagnositiche.

La speranza è che la Regione riesca a trovare un accordo che permetta al museo siciliano di appropriarsi definitivamente del suo capolavoro, evitando di sottoporre i pezzi a ulteriori delicate fasi di movimentazione.
Nel 2020, data dell’ultimo ritorno degli argenti in Italia, Alberto Samonà, Assessore ai Beni Culturali e all’Identità Siciliana, ha dichiarato che «sono in corso ipotesi di collaborazione strutturata sulle quali continuiamo a lavorare e che potrebbero aiutarci a ridefinire i termini di una convenzione che, per certi aspetti, risulta datata. Cercheremo di operare nella direzione di una possibile revisione dell’accordo che porti alla collocazione stabile e definitiva degli argenti di Morgantina nella sede museale naturale di Aidone».

Recentemente l’Assessore ha scritto anche al Ministro della Cultura Dario Franceschini per riportare l’attenzione sull’annosa questione, ribadendo la necessità di una revisione della convenzione del 2006. Al momento la Regione sta valutando un prestito al MET di altri reperti archeologici presenti in altri musei siciliani. La soluzione, che sembra sia al vaglio del Museo americano, fa parte di un piano regionale finalizzato, come dichiarato da Samonà ad «attivare proficue collaborazioni con prestigiose istituzioni culturali internazionali, nell’ottica di una politica di ampio respiro che preveda iniziative da organizzare insieme che andrebbero ad evidente vantaggio della nostra Isola».

L’auspicio è che vengano sciolti i nodi di questa complicata faccenda e che la Regione lavori sulla promozione e accessibilità dei musei e dei parchi archeologici siciliani: il gruppo di argenti che si appresta a restare – e si spera definitivamente – in Sicilia è di eccezionale pregio storico-artistico e culturale, e merita una giusta e naturale collocazione.

Exit mobile version