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Andy Warhol
Durante le ultime settimane mi sono dedicato alla lettura dei report sul Mercato dell’Arte riferiti al 2021. Non sono mancati stimoli e spunti di analisi interessanti, soprattutto in relazione alle transazioni riguardanti le opere contemporanee. Il trend è positivo, in piena crescita rispetto ai risultati di vendita di beni di Arte Antica e Moderna, secondo un tendenza che si va consolidando ormai da anni.
Le piazze americana e orientale – Hong Kong in testa – sono quelle che fanno la parte del leone, assorbendo le quote maggiori dello specifico mercato. Vi sono alcuni artisti le cui quotazioni, negli ultimi cinque anni, sono arrivate alle stelle, su tutti Jean Michel Basquiat [1].
Perchè Basquiat? È forse il ritorno delle atmosfere degli anni Ottanta, dell’edonismo pervasivo, della ricerca individuale e spasmodica del benessere. I cosiddetti “Boomers” stanno influenzando ed “educando” i figli, i “Millenials” e i giovani della “Generazione Z”: corsi e ricorsi storici di vichiana memoria?
Letture psico-sociali a parte, tra il serio e il faceto, è evidente che investire in opere d’Arte Contemporanea, per chi ha i mezzi economici per farlo, rende parecchio e alcune firme consentono di differenziare meglio gli investimenti, realizzare guadagni e utili di tutto rispetto: “the business of business is business”.
La storia di Jean Michel, ragazzo di colore, indisciplinato e poco studioso, è quella del radiant child che tra gli anni Settanta/Ottanta si aggirava per i sobborghi di New York, disegnava e grafittava su tutto ciò che gli capitava a tiro, arrivando in seguito ad essere il SAMO [2] del Greenwich Village, il cuore artistico della Grande Mela fino all’Upper Side: tra estro e droghe, tra mostri e muse. La sua creatività è esplosa nelle strade del suo quartiere, senza una guida, con l’incoraggiamento della madre; è sublimata nell’atelier della galleria di Annina Nosei, la persona che per prima gli ha dato fiducia e ne ha organizzato la prima mostra, nel 1981.
Il giovane talento ha vissuto intensamente la propria esistenza, decisamente sopra gli schemi ordinari. I suoi modelli di riferimento sono stati Jimy Hendrix e Charlie Parker. Ha bruciato le tappe; in qualche modo ha rappresentato il riscatto degli Afroamericani, incarnando perfettamente il ruolo dell’artista maledetto, destinato perciò a entrare in una sorta di leggenda. Il personaggio ideale delle storie della Beat Generation di Jack Kerouac: “Oltre le strade sfavillanti c’era il buio, e oltre il buio il West. Dovevo andare”.
Andy Warhol, il re della Pop Art, ne è rimasto affascinato, lo ha accolto nel suo entourage, nella Factory, e lo ha fatto conoscere al mondo. Già nel 1984 le sue prime opere sono state battute da Christie’s e sono passate nelle gallerie più rinomate e alla moda: Bischofberger, Shafrazi, Gagosian, Sperone, Mary Boone. Una parentesi italiana arrivò nel 1982, nella galleria di Emilio Mazzoli, che acquistò per poche decine di migliaia di dollari una ventina di opere tra cui Untitled che, anni dopo, fu venduta all’asta per una cifra superiore ai cento milioni di dollari!
Tutto molto glamour, pittoresco, con gli ingredienti giusti per piacere, per alimentare lo status symbol. Nella contemporaneità si potrebbe definire l’esempio perfetto di brand identity.
L’interesse su Basquiat, da qualche anno a questa parte, è cresciuto esponenzialmente non solo in termini commerciali. Degna di nota in questo senso è la mostra curata da Gianni Mercurio nel 2016 al MUDEC di Milano, con 140 opere esposte realizzate tra il 1980 e il 1987: finalmente emergono i contenuti culturali, con un’attenzione alle tematiche della condizione umana e la questione razziale.
È purtroppo noto, però, che quando un autore è sulla cresta dell’onda, soprattutto molto quotato, il genio criminale scende in campo con tutti i suoi figuranti: falsari, truffatori, sedicenti critici ed esperti d’arte, prestanome e altri personaggi ambigui. Oltre oceano è salito alla ribalta della cronaca, nel luglio 2021, il politico messicano che ha venduto diverse opere false di autori americani, tra cui Basquiat, per svariati milioni di dollari. A quanto pare, dietro le compravendite ci sarebbe una colossale manovra di riciclaggio. Le indagini sono state condotte dal reparto specializzato dell’FBI (Art Crime Team) che ha tratto in arrestato il soggetto per il reato di frode: rischia venti anni di carcere.
È di questi ultimi giorni la vicenda riguardante venticinque tele di Basquiat esposte al museo di Orlando in Florida. C’è chi parla di una straordinaria scoperta chi, invece, come Larry Gagosian, esprime forti dubbi in merito. I misteri insondabili della dimensione artistica.
In Italy, parafrasando Renato Carosone, non potevamo essere da meno, anzi siamo stati per certi versi anticipatori di certe forme di devianza criminale.
Emblematici i casi dei due angeli: uno “regolare” e l’altro “ribelle”. Nel 2017 la Guardia di Finanza di Venezia ha denuciato alla procura di Padova un gallerista e un collezionista, per ricettazione di opere d’arte false, tra queste un quadro intitolato Angel. I Finanzieri hanno avviato le loro indagini svolgendo verifiche online e visionando i cataloghi di mostre dedicate a Basquiat organizzate nel nostro paese. Le opere erano state valutate sette milioni di euro.
Il caso dell’ “angelo ribelle” è più romanzesco, quasi cinematografico. Un fantomatico bancario torinese, avrebbe custodito per anni sulla propria barca un dipinto attribuito(?) a Basquiat e raffigurante un angelo ribelle. Improvvisamente, impoveritosi dopo una vita spericolata, si avvede – non si sa bene come – di avere tra le mani un tesoro e tanti “nuovi amici” a cui proporlo.
Una vicenda fumosa, costellata di dichiarazioni contraddittorie, querele sporte e rimesse, mediazioni e trattative tra Italia-Serbia-Austria. L’opera, come riportato da diversi quotidiani, non sarebbe accompagnata da autentiche attendibili, tantomeno da attestati di provenienza coerenti. Pare sia stata indicata non orginale nel corso degli accertamenti disposti dalla Procura torinese.
In ogni caso, a esito della vicenda penale, lo “skipper subalpino”, definitamente spiaggiato ma salvo, è tornato in possesso dell’opera: chissà se sarà in grado di ricondurre l’angelo tra le giuste schiere.
A questo punto è doverosa una riflessione. Probabilmente l’origine di questo caos è in parte dovuta al fatto che l’artista non ha più una fondazione di riferimento dal 2012. Le cause della chiusura e del definitivo scioglimento del comitato di valutazione pare siano imputabili alle numerose controversie e contenziosi intervenuti con importanti collezionisti, che avrebbero intentato procedure legali con richieste di onerosi risarcimenti a seguito di pareri negativi su opere in seguito giudicate autentiche: è un attentato all’Arte, alla creatività, un omidicio dell’artista.
È l’annoso problema intorno al concetto di circolarità. Il mondo dell’Arte, con modalità talvolta rigidamente autoreferenziali, determina i gusti e l’estetica, alimentandosi della produzione artistica attraverso una selezione non sempre obiettiva. La produzione artistica per sopravvivere deve necessariamente valersi del mercato e quindi del denaro: non se ne esce!
La condivisione della passione artistica, dell’esperienza estetica ed emozianale, se così si può definire, è divenuta più che mai indecifrabile, frenetica, al pari delle altre pratiche sociali. Probabilmente finirà anche questa frenesia intorno a Basquiat. Viste le premesse, c’è da augurarsi che non siano stati provocati troppi danni: anzitutto alla memoria dell’artista, al mercato, ai collezionisti attenti e, non da ultimo, alle istituzioni museali (non tantissime in realtà) che ne espongono le opere.
Insomma, ci vorrebbe un po’ più di chiarezza, di onestà intellettuale, affinché certe dinamiche siano meglio comprensibili e accompagnate da fiducia.
Un angelo è un angelo, comunque lo si rappresenti. Se qualcuno ne altera l’essenza originaria, l’idea creativa di base, per mero interesse personale, forzando il pensiero virtuoso prevalente e soprattutto le reali intenzioni dell’artista, come nei casi richiamati sopra, compie un maleficio, generando bestie immonde.
Contro queste condotte aberranti, magari con la provvidenziale protezione dell’angelo custode, rappresentazione metaforica della coscienza collettiva, ribelliamoci tutti, per la giusta causa.
[1] Nato a New York il 22 dicembre 1960, quivi deceduto il 12 agosto 1988, writer e pittore, uno dei maggiori esponenti del Graffitismo.
[2] SAMO: acronimo dell’espressione Same Old Shit, “sempre la stessa merda”, riferito alle sostanze di cui faceva uso.
Opinionista