di Fabiana Di Fazio e Giuseppe di Vietri
Segue da Il Caso Beltracchi (Parte I).
Modus Operandi e questioni attinenti
L’Arte dell’inganno
In relazione al modus operandi degli imputati è emerso come questi si siano avvalsi di una serie sorprendente di strategie di contraffazione attraverso cui hanno lucrato commercializzando i falsi dipinti realizzati dal principale accusato, Wolfgang Fischer – alias Wolfgang Beltracchi – il quale si è dedicato alla realizzazione di opere andate perdute durante la Seconda guerra mondiale di artisti come Max Pechstein, Heinrich Kampendonk, Kees van Dongen e Max Ernst, ma anche creando opere nuove e inedite attribuite a questi stessi artisti del secolo scorso.
Per convincere il mondo dell’arte dell’autenticità dei falsi di Beltracchi, il gruppo ha elaborato sulla loro provenienza una storia sofisticata e di grande effetto: sostennero infatti che Werner Jägers, nonno delle due sorelle imputate, morto nel 1992, avesse acquistato le opere prima della Seconda guerra mondiale dalla galleria di Alfred Flechtheim e le avrebbe poi nascoste nella regione tedesca dell’Eifel durante il conflitto; sostennero inoltre che Jägers fosse amico del sarto Johann Wilhelm Knops, nonno dell’imputato Schulte-Kellinghaus, anche lui collezionista d’arte. In realtà, entrambi non avevano mai collezionato arte e né durante le loro vite né erano stati particolarmente interessati. Tuttavia, sia la collezione Jägers che quella Knops divennero note per essere la provenienza delle opere contraffatte e, i quattro accusati, ne evidenziarono l’autenticità sia attraverso vendite occasionali di vere opere d’arte che essi spacciavano come provenienti da tali collezioni, sia attraverso l’acquisto di arte non contraffatta da parte degli ‘eredi’ delle collezioni fittizie.
Gli imputati adottarono anche un metodo ben definito nella distribuzione dei compiti all’interno del gruppo in cui, se da un lato Wolfgang Beltracchi copiava i dipinti mancanti (o ne dipingeva di nuovi nello stile dei noti artisti), nel mentre Otto Schulte-Kellinghaus allacciava contatti con rinomati esperti d’arte ottenendo da alcuni di essi, come Werner Spies, valutazioni inerenti le opere esaminate.
La moglie del Beltracchi si è finta proprietaria della maggior parte delle opere d’arte e interagiva attivamente nel mercato dell’arte con il supporto della sorella. Marito e moglie poi hanno anche falsificato fotografie al fine di provare l’autenticità delle opere: Wolfgang fotografò, nella loro casa in Francia, sua moglie sotto le mentite spoglie della nonna, seduta davanti a diversi dipinti falsi della Collezione Jägers, venduti poi come originali. Le fotografie furono stampate poi in bianco e nero e leggermente sfocate su carta fotografica antica e ritagliata a zigzag attorno al bordo per farla sembrare autentica. Tuttavia, furono solamente le scansioni – e non gli esemplari originali – ad essere distribuite, per non destare sospetti.
Tali incongruenze emerse durante le indagini erano evidenti e avrebbero addirittura potuto portare alla condanna degli imputati senza far leva sulle confessioni; ciò nonostante l’attività di contraffazione del gruppo criminale è stata perpetrata a lungo senza essere scoperta né dagli esperti e né dalle case d’asta e, solo quindici anni più tardi si dettero avvio le indagini, dopo che alcuni esperti sollevarono dei sospetti principalmente sulle cornici. Beltracchi le aveva acquistate nei pressi della sua abitazione in Francia in alcuni mercatini di antiquariato; alcune di esse erano realizzate con lo stesso legno, o proveniente dalla stessa regione, e ciò destò sospetto dato che gli artisti operarono in paesi differenti. Inoltre, erano tutte create secondo il modello francese ed era piuttosto improbabile per quelle opere che il gruppo dichiarava essere state dipinte da artisti non francesi. Ulteriore elemento di prova per la polizia fu la falsa etichetta della “Collezione Flechtheim” Gli imputati le avevano apposte sul retro di molte opere al fine di provarne l’autenticità. Alfred Flechtheim era stato un noto mercante d’arte tedesco negli anni ’20. Tuttavia, non aveva mai fatto uso di tali etichette per contrassegnare i dipinti della propria collezione.
Ulteriori elementi che rafforzarono i sospetti riguardavano la assenza di crettatura dello strato pittorico, fenomeno caratteristico delle opere abbastanza datate, e l’uso del Bianco Titanio, colore non esistente all’epoca in cui le opere si asserivano essere state realizzate. Le etichette delle gallerie erano state appositamente trattate per apparire antiche, ma anche in questo caso la colla utilizzata non esisteva ancora al tempo in cui si dichiaravano essere state apposte. L’Ispettore Capo Allonge ha dichiarato che “dopo il fatto” sono emersi anche ulteriori indizi. In un’intervista rilasciata alla fine del 2011, ha affermato che sarebbe risultato più semplice individuare prove dei reati una volta compreso che un’opera fosse contraffatta. Scoprire se un’opera d’arte sia un falso, in realtà, risulta piuttosto difficile.
Nella determinazione della provenienza delle opere d’arte le difficoltà maggiori pervengono a causa della mancanza di cataloghi completi. Ciò non riguarda solamente i cataloghi delle opere di un artista, ma anche i cataloghi di gallerie e musei. Gli imputati hanno sfruttato questa vulnerabilità a proprio vantaggio e hanno falsificato le etichette che segnalavano la galleria di provenienza delle opere. Si sono, dunque, affidati al fatto che esistevano pochi cataloghi inerenti alle opere contraffatte o alla galleria stessa. Qualora questi fossero esistiti, non contenevano fotografie o riproduzioni dei falsi.
Déjà vu
Il modus operandi, così come la storia personale del Beltracchi, mostrano sorprendenti analogie con quelle di altri celebri falsari come, in particolare, Han van Meegeren, falsario specializzato nella contraffazione di opere di Jan Vermeer. Come van Meegeren il Beltracchi ha fatto leva sui più reconditi desideri dei collezionisti d’arte per individuare opere precedentemente sconosciute o perdute di artisti famosi. Van Meegeren ‘completava’ il portfolio delle opere del Vermeer con dipinti a tema religioso, genere inesplorato dal Vermeer ma che si era sempre ipotizzato esistesse in alcune tele andate perdute. Beltracchi, invece, ha creato dipinti che secondo lui “avrebbero dovuto essere realizzati dall’artista” e che sono stati molto desiderati dai collezionisti. Un’opera di André Derain, in particolare, che ritraeva Matisse nel mentre dipingeva a Collioure, era molto desiderata giacché avrebbe dimostrato che Derain e Matisse avessero lavorato nello stesso periodo nel villaggio di artisti di Collioure. Quali profondi conoscitori dei dipinti e degli stili meno noti di ciascun artista, van Meegeren e Beltracchi hanno fatto affidamento sul fatto che più un’opera d’arte è desiderata, meno la sua autenticità sarebbe stata messa in dubbio da esperti, commercianti e case d’asta.
È altresì interessante osservare che sia van Meegeren che Beltracchi hanno avuto abbastanza successo come artisti a pieno titolo e che entrambi si sarebbero potuti guadagnare da vivere dipingendo senza ricorrere alla contraffazione. Le somiglianze diventano evidenti anche per quanto riguarda i motivi presunti e reali alla base delle loro azioni: entrambi hanno infatti affermato di aver falsificato opere per ingannare i critici e il mondo dell’arte; entrambi amavano un alto tenore di vita e necessitavano di una crescente quantità di denaro per appagare le loro stravaganti abitudini. Inoltre, attraverso modalità simili le loro opere sono finite nelle principali gallerie, musei e collezioni private.
Con riferimento al loro modus operandi, entrambi i falsari sono stati estremamente attenti nei dettagli e hanno studiato molto a fondo le caratteristiche generali delle opere degli artisti che hanno contraffatto. Questo modo di fare molto meticoloso è stato probabilmente il motivo del loro consistente e durevole successo. Entrambi poi sono stati anche molto prudenti nel non avere contatti diretti con gli acquirenti e si sono affidati a complici per far conoscere i dipinti agli esperti e introdurli nel mercato dell’arte. Tuttavia, a differenza di Beltracchi, van Meegeren non ha coinvolto la famiglia, e la moglie in particolare, nelle sue attività criminali.
A differenza di molti falsari van Meegeren e Beltracchi hanno guadagnato milioni con il loro lavoro e si può presumere che molti dei loro dipinti siano ancora oggi ammirati come autentici nei principali musei, gallerie e collezioni private. Ciò nonostante, mentre Beltracchi deve scontare una pena detentiva piuttosto consistente, van Meegeren nel 1947 fu condannato solo ad un anno di reclusione e morì prima che la sentenza fosse eseguita. Si tratta di una differenza consistente in casi tra loro molto simili e potrebbe condurre alla conclusione che i crimini contro il patrimonio culturale siano ora presi più sul serio di quanto lo fossero durante gran parte del XX secolo.
I protagonisti ingannati del mercato dell’arte
The Art Newspaper ha pubblicato un elenco di 53 falsi attribuiti sino ad oggi al Beltracchi e, secondo James Roundell, direttore della Dickinson Gallery di Londra e New York, i falsi di Beltracchi sarebbero passati nelle mani di importanti case d’asta come Sotheby’s e Christie’s, mercanti d’arte, esperti del settore come Werner Spies, illustri e competenti collezionisti privati come la Hilti Art Foundation. Negli ultimi mesi sono quindi emersi numerosi contenziosi civili: la società maltese Trasteco Ltd. ad esempio ha citato in giudizio per danni la casa d’aste Lempertz di Colonia, avendo acquistato dalla galleria un falso Heinrich Campedonk, Quadro rosso con Cavalli, per quasi 2,9 milioni di euro. Solo dopo un’analisi chimica del dipinto è stato confermato che si trattasse effettivamente di un falso. Secondo il direttore della casa d’aste Lempertz, Henrik Hanstein, da allora la casa d’asta ha investito 70.000 euro nell’acquisto di un Thermo Scientific Niton, uno strumento ai raggi x di analisi della fluorescenza. Tuttavia, se il falsario avesse usato i pigmenti giusti, anche tali strumenti non sarebbero stati in grado di rivelare il misfatto.
Ulteriori cause civili sono state azionate contro lo storico dell’arte Werner Spies, attualmente citato in giudizio per danni in un tribunale di Nanterre, in Francia. In via extragiudiziale Christie’s e Sotheby’s hanno concordato di risarcire diversi acquirenti e la Hilti Art Foundation ha chiesto alla Dickinson Gallery il risarcimento per il Derain contraffatto, acquistato in cambio di 4,5 milioni di euro. Diversamente a quanto avviene nell’ordinamento penale tedesco, le azioni civili possono – in alcuni Paesi e in determinate circostanze – non essere soggette al termine di prescrizione di 10 anni. Sembra, dunque, probabile che la battaglia per il risarcimento si protrarrà a lungo.
Entità del Danno
Determinare l’effettiva portata di un art crime di questa natura può rappresentare un’impresa ardua – se non impossibile – dato che molti reati di questo tipo non vengono scoperti o denunciati. Nel caso Beltracchi non è ancora chiara la portata dell’operazione di polizia che ha portato alla sbarra tutti gli imputati (almeno per una parte dei loro reati). È infatti possibile che alcune delle opere falsificate da Wolfgang Beltracchi siano state scoperte ben prima che la cosa fosse divenuta di dominio pubblico od oggetto di attività investigativa da parte delle forze dell’ordine: può darsi che talune ‘vittime’ abbiano preferito tacere onde evitare che, nel rendere noto quanto subito, incorrere in una potenziale perdita finanziaria oltre che in un evidente imbarazzo. Questa forma di omertà da parte delle vittime è uno dei maggiori problemi che si riscontrano nello svolgimento delle indagini e nelle attività di prevenzione di questa tipologia di art crime e, senza alcun dubbio, spiega in parte perché questo sodalizio criminale sia riuscito ad agire con successo e considerevole profitto per un periodo di tempo tanto lungo. Anche quando denunciati tali reati raramente attirano l’attenzione delle forze dell’ordine e dei pubblici ministeri che hanno esperienza in materia. Una situazione questa che potrebbe essersi inizialmente verificata per l’indagine sul caso Beltracchi. Tuttavia, le persone coinvolte sembrano aver colmato tali lacune e fatto sì che alcuni tra i più sofisticati falsari d’arte emergessero nella recente storia europea.
Avidità e credulità
L’individuazione delle responsabilità in questo tipo di art crime è ovviamente una questione delicata e spesso intricata. Secondo il principale accusato, Wolfgang Beltracchi, il mercato dell’arte e “l’avidità e la disonestà nel commercio” sono in gran parte responsabili del tragico stato attuale in cui versano le cose. Potrebbe non essere del tutto sbagliato esprimere questo punto di vista ma, non di meno, i lauti profitti e lo stile di vita altolocato che i suoi misfatti gli hanno garantito suggeriscono che egli sia ben lontano dal ritratto da cinico “Robin Hood” che propone di se stesso. Ѐ nostra intenzione continuare ad approfondire le sue motivazioni ed il suo modus operandi nell’ambito della ricerca in corso sul Beltracchi affair.
Testo di riferimento: S. Hufnagel, D. Chappell, The Beltracchi Affair: A Comment and Further Reflections on the “Most Spectacular” German Art Forgery Case in Recent Times, in Charney N. (eds), The Journal of Art Crime, 2012.
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