La patria dei mercanti
Montato il campo nei pressi delle porte della città, Camillo desiderando sapere se la stessa apparenza di pace che si avvertiva in campagna, regnasse anche nei pressi di quelle mura, entrò in città, dove ammirò le porte aperte e la moltitudine di mercanzia in vendita nei negozi e gli artigiani ognuno impegnato nel proprio mestiere.
Tito Livio
Un mese fa circa, su queste pagine, è stata annunciata l’uscita del libro scritto da Silvio Mele, ufficiale dei Carabinieri in servizio al TPC, sulla protezione dei beni culturali nel contesto commerciale.
La lettura del volume, come tiene a dire lo stesso autore, si rivolge prima di tutto agli operatori di settore e ai funzionari addetti ai controlli di polizia. L’ambito particolare è di fatto normato da un corpus di leggi eterogeneo e, forse, secondo molti pareri, non più al passo coi tempi.
L’esigenza del controllo delle pratiche commerciali, in generale, non nasce oggi. Gli antichi romani, tra i primi e più di altre civiltà, hanno individuato una serie di misure e di figure specifiche a cui affidare la materia. Si pensi ai regolamenti concernenti l’apertura delle tabernae, alla monetazione, ai funzionari pubblici, i cosiddetti edili suddivisi secondo i varo settori annonari. Lo stesso Caio Giulio Cesare ha inziato la sua sfolgorante carriera pubblica tra le fila degli edili patrizi, occupandosi dell’ordine e sicurezza pubblica del civis romanus (teniamo a mente quest’ultima espressione).
Il commercio di beni antichi, d’arte e preziosi, in passato, è sempre stato principalmente rivolto a classi altolocate, vuoi per il gusto, la ricercatezza della rarità, o per la componente simbolica che determinati oggetti assolvono in relazione allo status sociale, non da ultimo dal valore legato al prezzo di costo.
Nel medioevo la produzione artistica è disciplinata dalle corporazioni la cui l’attività centrale è l’artigianato legato alle committenze del clero e della nobiltà. Parallelamente si intensificano i traffici e gli scambi commerciali, in particolare verso l’oriente, alimentando il fascino per l’esotismo e la circolazione di oggetti rari e particolari, compresi quelli devozianali (si pensi ai pellegrinaggi d’outremer, al traffico delle reliquie).
Queste sono tutte spinte che confluiscono a caratterizzare un fenomeno che si intensificherà e connoterà nel Rinascimento italiano di fine Quattrocento, epoca in cui si afferma la pratica del collezionismo delle cosiddette belle arti. L’artista non è più solo un artigiano, si emancipa dalla bottega e assume un ruolo autonomo, creativo, portatore di un’idea innovativa al servizio del Principe che, a sua volta, diviene un modello di ispirazione per il ceto nobiliare: è l’avvento del mecenatismo, che si ispira, non a caso, al noto personaggio dell’età augustea, protettore degli artisti.
Un ulteriore passo in avanti si ha con l’avvento della civiltà industriale, del mutamento sociale dettato dell’organizzazione e dalla specializzazione del lavoro che fa emergere una nuova istanza tra produzione artistica e cliente, ovvero tra produttore e consumatore. Nei primi anni dell’Ottocento, si sviluppa il mercato moderno dei beni d’arte. È soprattutto in Francia che i fioriscono i primi atelier e si realizzano opere senza committenza, proposte direttamente dall’artista: artisti e clienti si influenzano a vicenda, formano e cambiano i gusti in funzione dell’evolversi della società. Nasce un’imprenditorialità specializzata intorno alle opere d’arte e all’antiquariato, comprendente anche la critica quale propulsore di nuovi spazi espositivi privati, di gallerie e case d’asta, in grado di interessare un pubblico sempre più vasto, non solo di ricchi borghesi. Si va affermando un nuovo linguaggio artistico e una nuova visione del mondo. Un modello che andrà strutturandosi, stratificandosi sempre più, fino alle organizzazioni super specializzate dei nostri giorni, in cui la componente economico-finanziaria ha assunto un ruolo centrale nel mercato globale.
Questa digressione storica, anche alla luce della lettura del libro, è utile per considerare due aspetti rilevanti:
– il mercato e l’organizzazione imprenditoriale intorno alla commercializzazione dei beni antichi e d’arte si è adeguato e liberalizzato, nel bene e nel male, alle dinamiche sociali, influenzando perfino i gusti e le esigenze dei consumatori;
– viceversa, il controllo del particolare settore è tuttora ancorato a procedure e norme superate, poco incisive nell’assicurare la trasparenza e la tutela del settore specifico.
La disciplina di riferimento in ambito nazionale è tuttora focalizzata sul Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS) del Regno d’Italia (1931), fortemente voluto dal governo fascista per consolidare il sistema di controllo di polizia. Seppur innovato, da alcune modifiche intervenute nel 1997-2008-2016, le prescrizioni del Testo si intrecciano con quelle del cosiddetto Codice dei Beni Culturali e le normative sul commercio nazionale e regionale. Insomma, un ginepraio in cui non è semplice orientarsi.
Ben venga perciò documentarsi: ignorantia legis non excusat!
In concreto l’interpretazione delle norme e della procedure amministrative, non è un’operazione facile, ad appannaggio di tutti. Riguarda anzitutto la magistratura, gli esperti di diritto nonchè la burocrazia amministrattiva, attesa l’evoluzione e la complessità della materia anche in connessione a possibili contenziosi.
Il libro in questione tratta degli strumenti legali funzionali al controllo. Analizza quei profili di natura penale che maggiormente si intrecciano con la normativa amministrativa, con uno sguardo anche sulle nuove forme di commercializzazione non professionali (cosiddetti hobbisti) e lo sviluppo dell’e-commerce. Non trascura, opportunamente, l’inquadramento giuridico dei beni culturali in senso stretto, spiegando gli aspetti salienti della previsione codicistica e del regime di inalienabilità.
I libro è strutturato su tre capitoli:
– il primo è dedicato alle diverse attività commerciali in relazione alla tipologia di oggetti in vendita;
– il secondo tratta le differenti attività commerciali in relazione alle modalità di vendita;
– il terzo, infine, riguarda le categorie particolari dei venditori.
L’autore, come accennato, si rivolge in primis agli operatori di polizia e di settore, offrendo un supporto organico e aggiornato sull’impianto normativo di regolamentazione dei beni antiquariali, culturali e d’arte, finalizzato alla “difesa del patrimonio culturale e la tutela dell’affidabilità del mercato”. Pur trattandosi di argomenti tecnici, non è il caso di svelare oltre, togliendo ai potenziali lettori quel pizzico di curiosità.
Ma tutto ciò è sufficiente per conseguire – in pieno – l’obiettivo della tutela della cultura richiamato dalla nostra Carta Costituzionale (fonte di diritto primario)?
Penso sarebbe necessario prendere in esame misure più aderenti alla situazione attuale, come avvenuto ad esempio con l’introduzione del Titolo VIII bis del codice penale con ben diciassette nuovi articoli; prevedere inoltre l’adozione di regole amministrative e attuative più chiare, snelle, armonizzate alla fiscalità, in una prospettiva sovranazionale, tenuto conto che il mercato in disamina si è sviluppato, già da tempo, su questo versante. In tal senso, per scongiurare le violazioni e le aggressioni criminali sui beni antiquariali e d’arte, si potrebbe pensare di:
– individuare una soglia unica di valore esiguo dei beni d’arte/usati su scala nazionale/europea;
– consentire lo snellimento della tenuta dei registri di pubblica sicurezza coniugandola alle incombenze fiscali, affinché le registrazioni delle compravendite e delle intermediazioni siano sempre tracciabili;
– inasprire le sanzioni pecuniarie e accessorie, commisurandole al volume d’affari e alla tipologia dei beni trattati;
– imporre un obbligo di certificazione/garanzia per rendere trasparente la circolazione e il controllo verso una modalità allargata, in pieno ossequio alla due dilegence, di tutti i beni d’arte sia antichi che di nuova produzione (report descrittivo ispirato all’object -ID con fotografia);
– potenziare ulteriormente gli strumenti di controllo e trasparenza dell’ e-commerce.
Insomma, il mercato non dovrebbe fagocitare la pura passione del bello, l’espressione artistica passata e contemporanea, la ricerca di oggetti antichi e rari. Certamente deve mantenere un ruolo nel veicolare la cultura e la produzione artistica riconducendole a pratiche virtuose, affinché sia mantenuta la giusta autorevolezza basata essenzialmente sulla fiducia del pubblico attraverso pratiche commerciali trasparenti. Il nostro paese ha l’opportunità di confermare il proprio ruolo di capofila nella tutela della cultura, compattando il fronte comune tra istituzioni, organizzazioni di settore, media e soprattutto attraverso il coinvolgimento attivo e responsabile di ogni cittadino. Tutte le risorse perciò devono raccogliere questa sfida e proiettare gli sforzi in uno scenario futuro improntato alla legalità: questo è fondamentale perché i valori fondanti non sono in vendita.
Opinionista