È falso! Il tema della falsificazione delle opere d’arte
Da pochi giorni è edita l’annuale relazione sull’Attività operativa 2021 del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, strumento fondamentale per comprendere l’estensione dei fenomeni che riguardano i nostri beni comuni.
Analizzando i dati forniti dal Comando, alle dipendenze funzionali del Ministro della Cultura, è possibile visionare una fotografia aggiornata sulle condotte illecite contro il patrimonio culturale: in Italia, fra 2011 e 2021, sono state denunciate – ad esempio – 1173 persone per scavo clandestino, 671 per illecita esportazione e 2320 per contraffazione di opere d’arte, portando al sequestro di quasi 69 mila oggetti falsi che, se immessi sul mercato, avrebbero comportato un danno economico superiore ai 5 miliardi di euro, per non parlare dell’offesa stessa alla cultura e alla storia. Solamente nel 2021, infatti, sono state denunciate 197 persone per contraffazione e sono stati sequestrati 1748 oggetti imitanti, dolosamente, l’arte e l’archeologia.
Inoltre, i dati forniti dal Rapporto IPERICO, redatto dal Ministero dello Sviluppo Economico e edito nella primavera del 2021, evidenziano che il valore della contraffazione delle merci, negli ultimi dieci anni, si aggira attorno ai 6 miliardi, sulla base del sequestro di circa 570 milioni di beni.
Il confronto di questi semplici dati rileva l’enorme portata del problema, ancora estremamente presente nella nostra società contemporanea, e la necessità di comprenderlo intrinsecamente.
Nel mondo contemporaneo quando si parla di falso è implicito parlare anche di dolo, definendo così il falso (azione, comportamento, oggetto) solo in presenza di un inganno (altrimenti si può parlare di imitazione). Il termine, infatti, deriva dal latino falsum (fallĕre, mettere il piede in fallo, ingannare) e ne esprime il significato principale: alterazione parziale o totale del vero in documenti, testi letterari, atti giuridici, firme, sigilli, chiavi, merci, prodotti, pesi, misure, opere d’arte, teorie, ricerche scientifiche, dottrine religiose e politiche.
Se si considera l’autenticazione come l’operazione con la quale si riconosce come autentico un oggetto e se ne dichiara l’originalità (affermandone così la verità espressa, mostrata), ovvero se ne afferma la provenienza, sul piano opposto si muove la falsificazione, ossia l’operazione mentale, artificiale e manuale con la quale si progetta, crea e/o elabora un artifizio tecnico per far sembrare un oggetto ciò che in realtà non potrà mai essere, ossia un bene autentico dotato di autorità in quanto riconosciuto come tale.
Tutti questi termini sono basati sul rapporto dialettico e paradigmatico fra verità e inganno, fra presenza e assenza, fra autentico e falso, fra originale e riproduzione: essi sono concetti insiti nelle espressioni artistiche umane sia visive che letterarie e oggetto di studi umanistici e tecnologico-scientifici, recentemente in notevole aumento.
Così si giunge a definire un falso come un manufatto generato e voluto dall’Uomo, che implica un processo basato sulle contemporanee e più evolute capacità tecniche e formali e che si colloca nel contesto sociale ed economico, rappresentando le mode e i gusti attivi nel determinato momento della sua realizzazione.
Appare chiaro che sia necessario distinguere i falsi dagli altri tipi di mimetismo, come le copie, le repliche, i pastiche (che presuppongono una condizione di libertà nei confronti del modello), e dalle mistificazioni, ossia i falsi creati con l’intento di essere svelati in un dato momento. Senza contare, inoltre, i prodotti del restauro oppure, ancora, dei revival e delle produzioni seriali a un certo momento disconosciute come tali.
Per creare un falso, quindi, occorre l’artificio non solo nella mistificazione della materia ma anche nella volontà dell’esecutore che tenta di inserirsi in una tradizione che non gli appartiene.
Il vero falsario, potenzialmente il più pericoloso per l’ordine che sull’autenticità dell’arte vorrebbe fondarsi, è colui che nella sua opera di contraffazione non mira a riprodurre un simulacro di oggetti già esistenti, bensì tenta di costruire un’opera totalmente nuova, che sfugga al confronto di verità che una normale copia intrattiene con il suo originale, simulando l’originalità stessa dell’arte.
L’oggetto falsamente creato, in quanto prodotto di consumo, è legato – tanto in passato quanto oggigiorno – sostanzialmente alla legge economica della domanda e dell’offerta e risponde al desiderio di possedere qualcosa che si ama, al fine di un proprio compiacimento e riconoscimento personale, tipico dei collezionisti di ogni tempo. In una recente e approfondita analisi del mercato contemporaneo dell’arte, Georgina Adam afferma che i falsi sono innanzitutto “un’offerta che corrisponde a una domanda, il riflesso in continuo mutamento dei desideri umani” e che essi “non danneggiano solo i ricchi poiché inquinano e sviliscono le informazioni che abbiamo sulla storia dell’arte, il che mina la nostra cultura e fa del male a tutti noi”.
Proprio per il suo fine ingannevole, l’opera falsa è come la bugia, trova sempre qualcuno pronto a crederle, e i falsari sfruttano la sensibilità comune a loro contemporanea al fine di rendere gli oggetti siffatti più attraenti agli occhi dei compratori. Sull’argomento, Simone Facchinetti, in un recente volume sui segreti del mercato dell’arte, afferma inoltre che “in genere il falso è bello, è appariscente, insomma non può fare a meno di dare nell’occhio, soprattutto a chi è sovrappensiero”, non tralasciando proprio nessuno, nemmeno gli esperti.
Se è assolutamente doveroso contrastare il mercato illecito e la contraffazione atta ad ingannare le persone e a danneggiare il concetto stesso di arte (oltre che alle sue manifestazioni materiali), risulta altresì altrettanto importante studiare i meccanismi della falsificazione, le tecniche e il pensiero che sottende questi fenomeni, essi stessi riflessi di una società, da quella antica fino a quella contemporanea.
Il fenomeno della falsificazione (e il falso nell’arte antica e in archeologia non fa eccezione) appare dunque connesso alle dinamiche sociali, con relativi legami al mondo economico, così come alle abilità tecniche e alle conoscenze teoriche. Tale fenomeno presenta profonde connotazioni storiche, sviluppando numerose riflessioni estetiche e presentandosi, oggi, non solo come problema aperto dal punto di vista del suo riconoscimento e dello studio bensì come una sfida professionale con forti componenti etiche e giuridiche.
Il falso, con il suo intento ingannevole, dovrebbe essere studiato da storici dell’arte e archeologi con la stessa logica che Ranuccio Bianchi Bandinelli sosteneva per l’opera d’arte: “ogni faccia del poliedro rispecchia un particolare elemento – sociale, economico, politico – che entra come una componente del tutto e ciascuna faccia è al tempo stesso subordinata all’insieme e in qualche misura determinante per esso. L’insieme non sarebbe valido se ne mancasse una”. Così “ciò che a noi sembra degno di attenzione […], se osserviamo le cose senza preconcetti, è che ciascuno di questi sistemi di interpretazione e di indagine ci ha rivelato aspetti profondi dell’opera d’arte (così come può avvenire per un oggetto falso, ndr), ci ha aiutato a comprenderla e a valutarla meglio in modo ragionato, e non secondo una prima impressione o una spontanea predilezione. Ognuna di queste guide ci ha portato a penetrare nella formazione del poliedro”.
Tale approccio, tale metodo di analisi e studio, è insito nella stessa idea di archeologia, soprattutto in ambito italiano: Alessandro Della Seta, esplorando i principi della nascente disciplina agli inizi dello scorso secolo, afferma che “archeologi sono tutti coloro che fanno materia d’indagini particolari, tecniche, scientifiche e storiche, le singole classi di oggetti (fra cui si possono annoverare i falsi, ndr) e di monumenti scavati dal sottosuolo o rimasti sul soprassuolo”. Il falso, dunque, appare come una classe di oggetti da indagare attraverso metodi tecnici, scientifici e storici, al fine di fornire rispondere a quelle domande che ancora oggi rimangono in attesa di risoluzione.
Specializzato in Archeologia Classica presso l’Università degli Studi di Padova, si occupa di ricerca, sviluppo e formazione nei settori dell’archeologia legale (con particolare attenzione al tema della falsificazione dei beni archeologici), della museologia e della progettazione culturale. È perito e C.T.U. presso il Tribunale di Udine, iscritto all’elenco dei Periti ed Esperti della Camera di Commercio di Pordenone-Udine.