INTERPOL e l’incessante lotta al traffico illecito di beni culturali
Intervista a Corrado Catesi sull’attività della Works of Art Unit
Si è tenuto lo scorso 6 luglio l’11th Symposium on the theft of and illicit trafficking in works of art, un evento internazionale promosso dall’INTERPOL che ha voluto fare il punto sugli ultimi sette anni di lavoro della Works of Art Unit coordinata da Corrado Catesi.
Alla sessione online hanno partecipato rappresentanti delle forze di polizia e specialisti del settore, chiamati al dibattito intorno alle tematiche su furto e traffico illecito che interessano il patrimonio culturale a livello globale.
Il Symposium ha avuto non soltanto lo scopo di illustrare i risultati delle attività di polizia svolte, ma anche di riflettere sull’evoluzione delle condotte criminali in prospettiva futura; condotte che sono cambiate nel tempo e che, come accade in tutti gli ambiti, vedono nell’uso delle tecnologie e di Internet i nuovi ambiti d’azione.
Tra gli argomenti trattati, anche la comunicazione al pubblico, sempre molto curata dall’INTERPOL con la diffusione dei poster attraverso cui sono segnalate periodicamente le opere d’arte più ricercate al mondo. Vera grande novità degli ultimi mesi, insieme alla diffusione della survey, è stata ID-Art, scaricabile gratuitamente dagli store online di Apple e di Google. L’app, che consente l’accesso a Psyche, il database delle opere d’arte rubate gestito dall’INTERPOL, si è rivelata strumento utilissimo alla portata dei cittadini, non solo delle forze di polizia, nel contrasto ai crimini d’arte.
Per sapere di più sui risultati registrati da ID-Art a un anno dalla sua release, abbiamo sentito Corrado Catesi.
Ten. Col. Catesi, che cosa ci può dire sull’efficacia di ID Art?
ID-Art ci ha sorpreso positivamente, siamo molto soddisfatti dei risultati raggiunti. Credo che i numeri parlino da soli: quasi 23.000 i download in 165 Stati, più di 10 le opere recuperate, principalmente in Europa. I feedback positivi sono arrivati sia dalle forze di polizia che dal pubblico, come anche dalle case d’asta; ritengo quindi che l’obiettivo sia stato raggiunto, quello cioè di mettere a disposizione di tutti uno strumento facile da usare prima dell’acquisto di opere d’arte o anche semplicemente per curiosità.
Ci può fornire elementi in più sui recuperi?
Le posso parlare di due attività molto importanti condotte da unità di polizia specializzate. Una riguarda i tre aurei di età romana rubati in Svizzera e individuati in Spagna in un’operazione di servizio, durante la quale ID-Art si è rivelata strumento fondamentale. L’indagine, condotta sotto copertura, ha portato al recupero delle tre monete il cui valore di mercato è di 200.000 euro.
Un altro successo si è avuto in Romania dove la polizia, con l’ausilio di una casa d’asta, ha recuperato grazie all’utilizzo di ID-Art un crocifisso che era stato rubato qualche anno fa in una chiesa. La cosa più bella è che questo pezzo straordinario del XIII secolo è già stato restituito e ricollocato nel luogo da cui era stato portato via.
Qualche mese fa lei ha voluto sottolineare come l’uso dell’app fosse rivolto anche ai cittadini. Ci è parso da subito un aspetto interessante. Come si sono comportati i privati, avete avuto riscontri?
Da parte di due privati abbiamo avuto segnalazioni di cui non posso ancora parlare perché coperte dal segreto investigativo. Si tratta, in particolare, di una vicenda che ci porta all’interno di un museo. L’ultima segnalazione di cui posso solo accennare riguarda una persona che, controllando un catalogo d’asta con ID-Art, ha trovato un’opera d’arte che lo Stato-vittima ha già riconosciuto come propria. Quindi sono in corso tutta una serie di accertamenti di cui magari potremo parlare in seguito.
Ogni settimana riceviamo segnalazioni; alcune non vanno a buon fine, nel senso che non trovano riscontro nella banca dati. È qualcosa che ci aspettavamo. Ciò che mi piace mettere in evidenza, però, è il fatto che attraverso l’app è possibile verificare in modo molto semplice se il bene segnalato sia presente o meno tra quelli registrati come rubati, e in questo senso siamo molto soddisfatti.
Sappiamo con sicurezza che il Blue Shield del Belgio ha iniziato a utilizzare attivamente la “site card” di ID-Art, utile per catalogare i siti di interesse culturale. È l’esempio tangibile di come si possa ricorrere a questo tool per registrare informazioni su siti che non necessariamente si trovano in aree di crisi. Ci hanno anche suggerito delle modifiche da apportare, feedback che senza dubbio saranno presi in considerazione perché molto interessanti.
Certo, soltanto usando l’app è possibile comprenderne potenzialità e limiti. Quali suggerimenti sono arrivati?
Ci è stato suggerito di creare all’interno della “site-card” cartelle in cui inserire dati sugli oggetti collegati ai siti. L’idea è quella di registrare insieme i dati sulle condizioni in cui versa una chiesa, una moschea o una sede espositiva, con quelli relativi agli oggetti in esse conservati. Finora abbiamo pensato alle due cose in maniera separata. È qualcosa che cercheremo di realizzare, se tecnicamente sarà possibile, perché ci sembra utile.
Avete pensato all’aggiunta di una sezione “appunti”?
Consideri che la “site-card” può essere modificata in ogni momento e che ci sono tre sezioni in cui l’utilizzatore può inserire le sue note, con 6000 caratteri disponibili, 2000 per feed, utili per prendere appunti da riordinare in una fase successiva.
Al di là dei suggerimenti che possono giungere dagli utenti, l’INTERPOL prevede aggiornamenti?
No, o almeno non nell’immediato. L’app è stata creata per consentire la ricerca nel database e per il censimento dei siti. Per il momento ci pare sufficiente.
Per la prima volta l’INTERPOL ha diffuso il Report dell’attività operativa al pubblico. Come per ID-Art, si è vista un’apertura all’esterno che non si era mai registrata prima. Risponde a una strategia particolare nel contrasto al traffico illecito dei beni culturali?
In sostanza, c’è la volontà di condividere i dati sull’attività che facciamo ogni anno, raccogliendo informazioni sugli specifici crimini di cui ci occupiamo, in collaborazione con gli Stati che ci hanno risposto. Per il 2020 sono stati 72. Abbiamo iniziato a lavorare in questa direzione nel 2016 e il primo report lo abbiamo realizzato nel 2017, documentando le attività criminali dal 2013 al 2016. Quest’anno abbiamo deciso di renderla pubblica perché autorizzati dai singoli Paesi. È sicuramente una svolta perché d’ora in poi i report dell’attività operativa saranno sempre pubblicati.
Quali sono, se esistono, i punti deboli nella raccolta dei dati e nella successiva elaborazione delle statistiche? Per alcune aree geografiche non se ne hanno, eppure sarebbero utili per documentare i furti d’arte a livello globale.
In primo luogo, la mancanza di unità specializzate in moltissimi Stati. Mancano inoltre database nazionali unicamente dedicati alla registrazione delle opere d’arte rubate e connessi a quello dell’INTERPOL. In molti Stati la mancanza di unità specializzate con un database dedicato non consente la ricezione di informazioni su scala internazionale. Tutto ciò è indicato in quasi tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite, non ultima quella di novembre, in cui si è sottolineata con forza la necessità della creazione di reparti di polizia specializzati, del rafforzamento di quelli già esistenti e della creazione di database nazionali che dialoghino con quello dell’INTERPOL. Un’ulteriore debolezza che si riscontra è la mancanza di confidenza da parte di tutte le polizie del mondo con il settore dei beni culturali e dei crimini ad esso connessi, considerati spesso di secondaria importanza, leggeri e non seri, da cui la criminalità organizzata trae pure grande profitto, non ultimo il terrorismo internazionale, problema serio in questo settore che è stato messo in evidenza più volte, anche dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nella risoluzione del 2015.
Si pensi al Museo Archeologico Nazionale di Bagdad, pesantemente saccheggiato nel 2002 e che si è ritrovato in grande difficoltà nel momento in cui si dovevano individuare le opere mancanti: nessun inventario, nessuna scheda, erano assenti gli Object ID per la maggior parte dei beni saccheggiati. È accaduto anche in Siria, in Libia, in Afghanistan, nello Yemen, nel Mali e in moltissimi Paesi, non solo in Medio Oriente.
Questo è un dato di fatto di cui sono vittime, anche se in forma diversa, anche gli Stati europei. La catalogazione del resto è alla base della tutela. Fondazioni ed enti sono in grande ritardo, per non parlare dei privati che non catalogano i beni artistici posseduti. Il privato non perde mai tempo, tanto non succede mai niente.
Come entra in gioco ID-Art in tutto questo?
Tra il 2019 e il 2020 sono stati rubati più di 85.000 oggetti, questo solo in 78 Stati, quindi in due anni è stato ampiamente superato il numero dei beni confluiti nel database dell’INTERPOL dal 1995 ad oggi. È vero che dal ’95 tantissimi oggetti sono stati recuperati grazie al database, ma i numeri la dicono lunga: in due anni 85.000 oggetti sono stati rubati e solo 52.000 sono presenti nel database dell’INTERPOL. L’app mobile vuole stravolgere completamente l’approccio al nostro database. Infatti, prima del 5 maggio 2021, momento in cui ID-Art è stata lanciata, venivano comunicate solo le informazioni più importanti. Ciò accadeva perché si riteneva che la maggior parte degli oggetti rubati restassero all’interno dei confini nazionali e che non avesse senso comunicare all’INTERPOL le informazioni su tutti gli altri. Di fatto venivano segnalati solo i furti delle opere che questi Stati pensavano potessero essere state vendute all’estero. Con la nostra analisi siamo riusciti a stimare che mediamente il 60-70% degli oggetti rubati resta entro i confini nazionali. Oggi le cose possono cambiare perché l’INTERPOL ha messo a disposizione strumenti che prima non c’erano.
Nel 2020 abbiamo avuto 165.000 controlli nel database. Di questi, moltissimi sono stati eseguiti dalle forze di polizia, altri da privati. Diciamo che in assoluto sono le forze di polizie a utilizzarlo in maniera più diffusa. La novità sta nel fatto che adesso anche un semplice concittadino può effettuare la ricerca mentre si trova, per esempio, in un mercatino dell’antiquariato e individua un oggetto “sospetto”. Non sono più soltanto le forze dell’ordine a effettuare un controllo, perché chiunque, andando in un museo, da un antiquario, in una casa d’asta può verificare autonomamente se il bene che ha di fronte è stato segnalato come rubato all’INTERPOL.
Non va trascurato che ci sono poche forze di polizia, pochi investigatori, poche risorse in questo settore. L’Italia, per esempio, è un Paese importante per numero di investigatori e per il controllo del territorio grazie all’attività operativa dei diversi Nuclei dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale presenti in tutte le regioni, ma di fatto il numero esiguo di uomini impiegati non è sufficiente a controllare l’intero Paese, che ha un numero elevatissimo di beni da tutelare.
Oggi tutti possono cercare le opere e proprio dall’Italia ci aspettiamo tante informazioni. Noi abbiamo messo a disposizione uno strumento utile a protezione del patrimonio culturale del Paese di provenienza. L’app è gratuita, garantisce l’anonimato, non necessita di registrazione. Anche solo decidere di non comprare un oggetto che è stato ricettato è di fondamentale importanza.
È possibile che dalla survey pubblicata emerga una visione eurocentrica del problema?
La visione eurocentrica non esiste. Questa percezione nasce dal fatto che in Europa abbiamo unità specializzate e database. La differenza sta quindi nel fatto che i Paesi europei sono più attivi a differenza di altri che hanno deciso di non attivarsi. Molti Stati africani stanno creando database specializzati da collegare all’INTERPOL, ma questo è processo graduale e richiede tempo.
I dati ricevuti dall’INTERPOL si basano su quelli di polizia che non sono accessibili al pubblico. Nell’elaborazione dei dati analizzati nella survey sono stati utili 72 Paesi, che hanno segnalato particolari oggetti riportati come rubati. Questo non significa che quegli oggetti siano realmente i più trafugati o i più saccheggiati, perché tutto si basa sulle denunce fatte.
Se qualcuno è capace di collezionare dati da Internet o dai social media, bene, ma si tratta di informazioni che non hanno alcuna valenza per noi. Non dimentichiamoci che l’INTERPOL è un’organizzazione internazionale di forze di polizia, di cui è espressione nella misura in cui esse riportano informazioni sui crimini denunciati. L’INTERPOL non fa altro che analizzare ciò che arriva. Non può parlare di trend di cui non abbia elementi certi, perché le forze di polizia parlano solo di fatti reali, esistenti e riportati alle autorità pubbliche, che non sono certo frutto di impressioni che si possono intercettare attraverso il web. E di queste ce ne sono migliaia, senza dubbio interessanti. Si tratta tuttavia di dati che per noi hanno solo significato un significato indicativo. Possiamo comprendere senza dubbio l’esistenza di un trend attraverso studi e progetti che ne parlano, ma in assenza di informazioni trasmesse tramite denuncia, tutto ciò rimane pura disquisizione accademica, che lascia il tempo che trova.
Come si può intervenire nell’azione di sensibilizzazione degli Stati che non si sono ancora attivati?
Un segnale forte è arrivato dalle Nazioni Unite che sono intervenute sulla questione per la seconda volta lo scorso 30 novembre. La prima è stata quella del novembre 2018. Con l’intervento dello scorso anno è stato ricordato chiaramente che tutti i Paesi devono avere unità specializzate, devono dotarsi di database e soprattutto devono inviare i dati all’INTERPOL, così che essa possa espletare la funzione di coordinamento a livello globale che la caratterizza. Anche dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è giunta la sollecitazione all’utilizzo di ID-Art e così anche dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, dall’UNESCO, dall’ICOM e dall’UNIDROIT. Tutte le organizzazioni più importanti al mondo se ne sono occupate.
Il database dell’INTERPOL è pronto ad acquisire dati riguardanti tutte le tipologie di beni culturali, dai reperti paleontologici alle opere d’arte contemporanea, per classificarle e renderle fruibili al mondo. Le statistiche saranno poi elaborate sulla base nel numero di oggetti risultati maggiormente rubati. Noi non possiamo concentrare l’attività statistica su tutti gli oggetti in assoluto, è impossibile.
Alcune battute sulla Gran Medalla de Honor, conferitale dall’Argentina per l’innovazione nel contrasto al traffico illecito?
La Medaglia è stata consegnata a me ed è stato un fatto bellissimo, ma è un riconoscimento prestigioso a tutta l’Unità che rappresento e alla stessa INTERPOL, in primo luogo per il rapporto che ci lega all’Argentina, un Paese operativo, come molti altri del resto, che ci ha garantito sempre supporto. Con loro abbiamo raggiunto risultati importantissimi.
Nell’elaborazione dell’app mobile, per esempio, ci ha dato la possibilità di utilizzare i suoi dati reali. Quando si testa un tool di questo tipo si utilizzano dati fittizi, ma quando si passa alla realizzazione del progetto, occorre altro. L’Argentina ha offerto per prima la disponibilità. È uno Stato fondamentale, non solo per il suo ruolo in America del Sud, per tutte le analisi che elabora utilizzando come primo canale l’INTERPOL.
Il premio, dunque, è dato all’organizzazione che negli ultimi anni ha innovato profondamente il modo di contrastare il traffico illecito di beni culturali, evidenziando le debolezze del sistema, collaborando con tutte le altre organizzazioni internazionali all’insegna del coordinamento e nell’implementazione dello scambio informativo e di cooperazione. Con l’Argentina abbiamo condiviso la strada per contrastare gli specifici crimini di cui ci occupiamo, grazie all’elaborazione di attività statistiche, organizzando annualmente operazioni a livello regionale e internazionale. Pensi a operazioni come “Athena”, già ripetuta due volte e che intendiamo riprogrammare nei prossimi mesi, o “Pandora”.
L’attività di contrasto posta in essere dall’INTERPOL negli ultimi anni è stata riconosciuta nell’ottica dei risultati conseguiti. È qualcosa che ci viene riconosciuto anche dalle Nazioni Unite, dall’UNESCO, dall’ICOM, dall’OSCE e da molti altri. Ciò accade dal 2015, da quando cioè abbiamo incominciato a individuare i punti deboli del sistema, confermati dai dati statistici. Il nostro obiettivo è quello di agire tutti nella stessa direzione, secondo la stessa ottica. È ovvio che ci vorrà del tempo, ma sono sicuro che si arriverà a un più efficace contrasto al traffico illecito.
Fondamentale è che si passi adesso dall’attività internazionale a quella nazionale.
Non ci sono solo grandi capolavori d’arte da recuperare perché il traffico illecito è fatto anche e in particolar modo di oggetti di valore medio rubati in abitazioni, edifici di culto, musei. Ricordo solo che nel 2020 sono stati sequestrati più di 850.000 oggetti tra cui moltissimi reperti archeologici; e proprio il traffico di beni archeologici è impressionante a livello globale, è un fenomeno criminale attestato in tutti gli Stati, non solo nelle aree geografiche interessate dai conflitti armati.
Archeologa PhD candidate e giornalista. Specialista in art crime e archeologia legale, si occupa di informazione e di comunicazione del patrimonio culturale.
Laureata con lode in Conservazione dei Beni Culturali, indirizzo archeologico, presso l’Università del Salento, ha conseguito con lode il diploma presso la Scuola di Specializzazione in Archeologia Classica “Dinu Adamesteanu”, il Master di II livello in “Valorizzazione del Patrimonio Culturale”, promosso dalla Scuola Superiore ISUFI dell’Ateneo salentino, e il Master biennale di II livello in “Esperti nelle attività di valutazione e di tutela del patrimonio culturale” all’Università di Roma Tre. Ha conseguito quindi l’attestato di partecipazione al corso on line su “Antiquities Trafficking and Art Crime” della Glasgow University e al corso promosso da UNESCO,“Engaging the european art market in the fight against illicit trafficking in cultural property”. Presso la LUISS ha frequentato il Corso Executive in “Intelligenza Artificiale e Personal Media: Nuovi Modelli per la Comunicazione e Giornalismo”, organizzato dal Master in “Giornalismo e Comunicazione multimediale” del Centro di Ricerca Data Lab in collaborazione con la School of Government dell’Università LUISS Guido Carli. Ha partecipato a numerose campagne di scavo in ambito universitario e successivamente come responsabile di cantiere per la Soprintendenza Archeologica di Roma. Ha fondato e dirige dal 18 settembre 2018 The Journal of Cultural Heritage Crime, la prima testata giornalistica on line in Italia sul tema del traffico illecito di beni culturali e, più in generale, sulla tutela del patrimonio culturale. È socio fondatore dell’Associazione Culturale Art Crime Project APS, socio di EAA – European Association of Archaeologists, socio simpatizzante dell’Associazione Nazionale Carabinieri-Tutela Patrimonio Culturale.