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Raffaello e le rovine di Roma antica. Alle origini della tutela, una missiva mai recapitata

Recensione-Isman
(Tempo di lettura: 4 minuti)

Questa è la vera storia di un documento famoso tra quelli più evocati del Rinascimento, che però non è come troppi lo riferiscono e raccontano. Ѐ la (supposta) Lettera di Raffaello a papa Leone X Medici, il secondogenito del Magnifico: la viviseziona, e in buona misura ne smentisce la vulgata, un’edizione critica di Salvatore Settis, già direttore della Normale di Pisa e tanto altro, e Giulia Ammannati, docente nel medesimo istituto (Raffaello tra gli sterpi. Le rovine di Roma e le origini della tutela, Skira, 260 pagg., 28 euro). Ѐ tutta da leggere, e, come usa dire, lo si fa d’un fiato; ed il titolo, curioso, discende da un’affermazione del pittore, che studiava le rovine «per molti lochi pieni de sterpi inculti e quasi inaxessibili».

Diciamo subito che questa Lettera non l’ha scritta Raffaello, che ne è anche l’io narrante, ma Baldassarre Castiglione; che non è stata mai completata e il papa non l’ha ricevuta; e che il titolo di primo soprintendente di Roma attribuito all’artista fin dall’Otto/Novecento è falso (l’incarico nasce con Paolo III Farnese il 28 novembre 1534); né è vero che il papa l’avesse officiato a compiere un rilievo della Roma antica (“essendomi comandato da vostra sanctitate ch’io ponga in dissegno Roma anticha…”), nonostante Raffaello descriva con minuzia i metodi per poterlo fare. Se vi basta.

La famosa Lettera nasce per convincere il papa a preservare i resti della Roma imperiale; ed è un caposaldo nella tutela dei Beni culturali, che arriva fino all’art.9 della nostra Costituzione. Ne sopravvivono quattro testimoni, di cui tre manoscritti; due, dipendenti dagli altri due: uno con le correzioni del pittore, l’altro con quelle dell’autore del Cortegiano. Sono il frutto dei colloqui tra i due entro l’estate o autunno del 1519: l’anno prima che Sanzio muoia. La concezione dello scritto è di Raffaello, ma l’ha messo in bella grafia Castiglione. Lo splendore della Roma antica che essi lodano («quel poco che resta dell’antica madre della gloria e grandezza italiana») si dissolve poi nell’incuria e l’abbandono, per le tante invasioni dei barbari; ma anche per le colpe di troppi romani pontefici. Restano «l’ossa del corpo, senza carne».

Raffaello Sanzio, Ritratto di Baldassarre Castiglione (1514-1515), Museo del Louvre, Parigi.

Il documento è rimasto nascosto due secoli: rinvenuto nel 1733, è attribuito allo scrittore; ritrovato di nuovo 60 anni dopo, è dato a Raffaello. Una delle due versioni che restano, l’originale vergato da Castiglione, è saltato fuori perfino nel 1910 tra le carte dei suoi eredi; ma poi, pubblicato solo nel 1994. Settis commenta le diverse edizioni; esamina la Lettera punto per punto; la paragona a numerosi altri scritti: più o meno coevi, ma tutti profondamente diversi. E Ammannati compie una silloge dei testi. I due studiosi (di oggi) compiono «una necessaria analisi genetica». Viene così a galla una fake news, pur tramandata da tempo immemorabile, accompagnata dal corredo di un’assoluta dovizia di immagini. Lo splendore della Roma che fu («quel poco che resta dell’antica madre della gloria e grandezza italiana»), si dissolve nell’abbandono stigmatizzato dagli autori della Lettera

Raffaello Sanzio, Ritratto di Papa Leone X de’ Medici con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi (1518), Galleria degli Uffizi, Firenze.

Presso il papa, Raffaello, godeva di un grande ruolo: ad agosto 1514, il pontefice gli indirizza due Brevi (scritti da Pietro Bembo), investendolo («magister operis») del cantiere in corso di San Pietro. Però, in un altro, del 1515, non gli concede affatto il ruolo di soprastante alle antichità dell’Urbe, come di solito si dice e scrive, bensì quello di prelevare «quam celerrime» dalle rovine di Roma quanto serva a costruire la basilica; anche tutti i marmi scavati entro le dieci miglia. Altro che soprintendente.

Ma da questa missiva, mai recapitata e mai letta dal papa, nasce l’idea della tutela. Prima, a Roma e non solo, immensa era la confusione sotto il cielo: nel 1140 circa, Innocenzo II Papareschi preleva materiali dalle Terme di Caracalla e li fa trasportare a Pisa, per utilizzarli nel duomo; però lo statuto comunale della Città eterna, nel 1363 vieta di distruiggere gli edifici antichi; e nel secolo successivo, deciso difensore delle antichità è Eugenio IV Condulmer. Ma stanno già per arrivare Raffaello e Castiglione; e un testo che, forse, non sarà mai chiarito fino in fondo: ancora oggi, è uno tra gli infiniti enigmi della storia dell’arte.

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