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Il Doriforo al Minneapolis Institute of Art. A che punto siamo

(Tempo di lettura: 4 minuti)

Gentilissima direttrice Katie Luber,
Le chiediamo di restituire all’Italia la statua del Doriforo di Policleto esposta nel museo da lei diretto dal 1984, perché essa è stata esportata illegalmente dall’Italia, dopo essere stata scavata clandestinamente e rubata nell’antica Stabiae.

Esordisce così la petizione indirizzata alla Direttrice del Minneapolis Institute of Art, il MIA, lanciata su Change.org dal Comitato per gli scavi di Stabia. L’iniziativa, che ha quasi raggiunto quota 8000 firme, chiede che “torni a casa” la statua del “portatore di lancia”, il Doriforo, dal greco Δορυφόρος, una delle più belle copie in marmo dell’originale in bronzo andato perso, realizzato da Policleto (che, con Fidia, fu il più grande artista greco del V secolo a.C.).

Il Minneapolis Institute of Art (Foto: Wikimedia).

La petizione continua a raccogliere consensi mentre il Procuratore della Repubblica di Torre Annunziata, Nunzio Fragliasso, e i suoi Pm vanno avanti con il loro lavoro. 

Stanno ora inviando ulteriori informazioni e documenti chiesti dall’autorità giudiziaria statunitense dopo che – lo scorso gennaio – era arrivata oltreoceano la rogatoria con richiesta alle autorità americane di assistenza giudiziaria internazionale per la restituzione della statua. L’atto inviato negli Usa dai magistrati italiani chiedeva di eseguire un decreto, emesso dal GIP, di confisca dell’opera – patrimonio indisponibile dello Stato Italiano. Se è comprensibile che, per dare seguito a un atto di quella importanza, la giustizia americana voglia disporre di un buon numero di elementi, non si comprende perché il MIA temporeggi, pur sapendo che molti dati testimoniano quanto poco credibile sia la storia che l’Istituzione museale ha raccontato per spiegare il ritrovamento del Doriforo. Nell’aprile 2021, la funzionaria Frederica Simmons, curatrice del Dipartimento di Arti Decorative, Tessili e Scultura del Museo di Minneapolis, con una e-mail inviata al direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, ha confermato la provenienza del Doriforo dalla Campania, pur ribadendo che la statua sarebbe stata trovata al largo del Golfo di Napoli negli anni Trenta. Versione smentita da una serie di elementi raccolti dai Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale di Napoli e messi a disposizione del Procuratore Fragliasso un anno fa.

Da un lato, la statua non presenta segni di corrosione, come sarebbe stato naturale se fosse stata in mare per molto tempo; dall’altro, mostra invece segni evidenti di radici e incrostazioni fangose tipiche di quando i reperti sono stati a lungo sottoterra. Del resto, secondo le indagini, il Doriforo sarebbe stato portato alla luce tra il 1975 e il 1976 nel corso di scavi clandestini a Castellammare di Stabia – per essere precisi, sul poggio di Varano, luogo preso di mira da predatori di reperti archeologici ormai da oltre mezzo secolo.

Inoltre, secondo gli inquirenti, ci sarebbero elementi che inducono a ipotizzare che il MIA non fosse all’oscuro della dubbia provenienza della statua e che abbia mantenuto il silenzio per oltre 30 anni. 

Comunque, il museo statunitense continua a sostenere di non aver ricevuto comunicazione dell’azione giudiziaria: «Nonostante le notizie apparse sulla stampa, il museo non è stato contattato dalle autorità italiane in merito alla decisione del tribunale. – spiegano al MIA – Se lo sarà, esamineremo la questione e risponderemo di conseguenza». Atteggiamento spiegabile solo in un modo: il Doriforo è ancora il fiore all’occhiello del MIA, perderlo sarebbe un colpo non da poco. Quando la statua fu acquisita, Michael Conforti, alto funzionario del museo, dichiarò che «l’opera avrebbe migliorato di dieci volte la collezione di arte antica».

A partire da settembre gli inquirenti italiani faranno nuovi passi in quella che è una battaglia su più fronti: la Procura della Repubblica di Torre Annunziata – impegnata costantemente nella difesa dell’inestimabile patrimonio culturale, in particolare archeologico, dell’area dove anticamente sorgevano Pompei, Stabiae e Oplontis, l’odierna Torre Annunziata – ha infatti avviato un’altra richiesta di assistenza giudiziaria internazionale. Si tratta di quella legata a un’indagine per l’esportazione illegale di 5 pannelli affrescati provenienti da Boscoreale, dalla villa romana di Numerius Popidius Florus ed esposti al Paul Getty Museum di Malibù a Los Angeles, venduti da Elie Borowski, lo stesso collezionista e mercante d’arte, scomparso nel 2003 che, secondo magistratura e carabinieri, ha reso possibile l’arrivo del Doriforo nel museo in Minnesota. 

La Procura di Torre Annunziata conta sulla collaborazione delle autorità statunitensi per via dei rapporti collaudati – come ha dimostrato anche negli ultimi dieci mesi il rientro in Italia di un gran numero di reperti esposti a New York – ma sa che stavolta ci si potrebbe scontrare con sensibilità diverse e resistenze.

Secondo il Comitato che ha lanciato la petizione, l’esposizione del Doriforo nel museo d’oltreoceano «va contro tutti i principi della cultura e del diritto» e la statua deve tornare “nella sua legittima casa”: idea condivisa dal Ministro Dario Franceschini che si è detto «pronto a intraprendere un’iniziativa per riportare la scultura nel nostro Paese».

Inoltre il segnale inviato dai cittadini di Castellammare di Stabia, sembra voler assicurare il pieno sostegno all’azione della magistratura, non solo nel recupero di quanto è stato sottratto in passato ma anche nella lotta alle spoliazioni compiute nel presente. Infatti, il poggio Varano, dove sarebbe stato trovato e trafugato il Doriforo, è il luogo in cui dalla metà del 1700 sono stati individuati i resti di Stabiae, testimonianze di una storia complessa, sannita, etrusca legata a quella di Pompei, di Nuceria, coinvolta e distrutta da Silla durante la Guerra Sociale, ricostruita e poi semidistrutta dall’eruzione del Vesuvio. Sono stati scoperti resti di ville romane destinate all’otium, il riposo, e non si contano i ritrovamenti di reperti di inestimabile valore. Ed è tutto, da più di mezzo secolo sottoposto a saccheggi sistematici, di predatori al servizio di grandi trafficanti o – dicono le indagini – legati a figure di spicco del crimine organizzato.

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