Contrasto agli scavi clandestini. Il progetto OPTIMAL
Intervista a Marco Fiorucci del Centre for Cultural Heritage Technology dell’IIT
Lo scorso 21 aprile è stata firmata la Dichiarazione di Intenti triennale fra il Center for Cultural Heritage Technology – CCHT dell’Istituto Italiano di Tecnologia e il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, volta a sviluppare e individuare tecnologie innovative per contrastare, in particolare, il fenomeno dello scavo clandestino in siti archeologici sia noti sia sconosciuti e il traffico transnazionale di beni culturali. “La missione istituzionale di IIT è quella dell’eccellenza nella ricerca e il suo trasferimento verso applicazioni concrete a beneficio di tutti. Questo accordo ci consente di mettere in pratica le nostre conoscenze nell’ambito delle nuove tecnologie del digitale per la tutela dei beni culturali, partendo dalle esigenze reali di chi si occupa di questa tematica quotidianamente. Grazie a questo accordo, lavoreremo in maniera sinergica con l’Arma dei Carabinieri, affinché i nostri studi contribuiscano a migliorare la tutela e salvaguardia del patrimonio artistico. Siamo orgogliosi di poter aiutare a difendere qualcosa che rende l’Italia un luogo speciale, come sappiamo noto in tutto il mondo”, le parole del Direttore Scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, il prof. Giorgio Metta, come riportate dal comunicato stampa.
Fra le avanguardie sviluppate nel centro di ricerca di Venezia, coordinato dalla dott.ssa Arianna Traviglia, archeologa costantemente proiettata nel futuro delle possibilità offerte dalla tecnologia nel campo dei beni culturali, un particolare rilievo assumono le applicazioni di Intelligenza Artificiale all’individuazione di azioni di scavo clandestino da immagini satellitari e modelli digitali tridimensionali del terreno.
Per saperne di più, ne parliamo con il dott. Marco Fiorucci, ricercatore del Center for Cultural Heritage Technology e vincitore della prestigiosa borsa Marie Skłodowska-Curie, il quale ci ha risposto da Kyoto, Giappone, dove sta svolgendo parte della sua ricerca di Intelligenza Artificiale.
Iniziamo dal suo percorso di studi. Come è arrivato al Center for Cultural Heritage Technology dell’Istituto Italiano di Tecnologia e al suo progetto di ricerca finanziato dalla prestigiosa borsa europea Marie Skłodowska-Curie?
Diciamo che il mio percorso è stato piuttosto lungo e tortuoso: dopo la laurea triennale in Ingegneria elettronica, ho lavorato per diversi anni in azienda; poi una laurea magistrale in Computer Science durante la quale mi sono appassionato allo studio dell’Intelligenza Artificiale e dei Complex Systems, area di ricerca che ho portato avanti durante il dottorato di ricerca, svolto in parte anche in Spagna e Finlandia.
Contemporaneamente, mentre ancora cercavo di chiarirmi le idee sul percorso che avrei voluto intraprendere in futuro, stava nascendo sotto la direzione della dott.ssa Arianna Traviglia il Center for Cultural Heritage Technology, un centro di ricerca all’avanguardia dell’Istituto Italiano di Tecnologia, che avrebbe collaborato anche con l’Università Ca’ Foscari, volto alla ricerca di nuove tecnologie per preservare e conservare il patrimonio culturale, anche nell’ambito della Computer Vision e del Machine Learning. Nonostante le offerte di lavoro all’estero, l’amore per l’archeologia e in generale per i beni culturali che ho sempre avuto fin da piccolo mi hanno spinto a fare un colloquio per il Centro e quindi, eccomi qui.
Di che cosa si occupava al Centro, prima di vincere il finanziamento per portare avanti il suo progetto?
Come ricercatore ‘post-dottorato’ presso il Centro, mi sono appassionato sempre di più all’ambito del remote sensing, grazie alla guida della nostra coordinatrice, la Dott.ssa Traviglia, archeologa di formazione e specializzata nella cosiddetta “Osservazione Terra”. In particolare mi occupavo della soluzione di problemi legati all’automazione, mediante l’Intelligenza Artificiale, dell’identificazione di siti archeologici da immagini satellitari.
“OPTIMAL – OPtimal Transport for Identifying Marauder Activities on LiDAR” è il nome del suo progetto Marie-Curie. Quindi si occupa di scavi clandestini nella sua ricerca. Come è arrivato a questa tematica?
Mentre facevo ricerca relativa all’identificazione di siti archeologici tramite Machine Learning e Intelligenza Artificiale, la coordinatrice e altri colleghi archeologi stavano lavorando a un progetto finanziato dalla Commissione Europea nel programma HORIZON 2020 incentrato proprio sulle tematiche del traffico illecito di beni culturali e di scavo clandestino. All’epoca il Centro contava poche persone, per cui lo scambio di idee e il dialogo, sempre molto dinamico ed estremamente fruttuoso in un ambiente come il nostro che unisce domini di sapere così numerosi e sfaccettati – dall’archeologia all’intelligenza artificiale, dalla codicologia alle nanotecnologie -, era anche costante, direi giornaliero.
Dal confronto e dagli stimoli di questo ambiente così di ricco di input è quindi nata l’idea di base del progetto: utilizzare serie temporali di dati LiDAR (Light Detection And Ranging) per identificare attività di scavo archeologico clandestino.
Ci può spiegare meglio che cosa significa?
Certo. Le immagini LiDAR sono fondamentalmente delle nuvole di punti generate da un particolare strumento montato su un aereo – o drone – che scansiona mediante l’invio di un segnale laser il territorio sottostante, calcolando il tempo relativo che la luce riflessa impiega per tornare dal terreno al sensore dello strumento. Quello che viene quindi generato è una nuvola di punti, che per la maggior parte di applicazioni viene solitamente convertita in un modello tridimensionale o in un’immagine bidimensionale.
Il LiDAR è una tecnologia che viene da alcuni anni utilizzata in archeologia e la sua estrema efficacia è dovuta al fatto che soprattutto nelle aree coperte da vegetazione, il raggio laser è capace di raggiungere il terreno sottostante e quindi di generare un profilo altimetrico del paesaggio e del terreno che sta al di sotto, permettendoci di indagarlo.
Una delle problematiche attuali dell’applicazione di remote sensing al monitoraggio dello scavo clandestino è che le tecniche più tradizionali (come per esempio l’osservazione di immagini da Google Earth), se molto utili in aree desertiche, non ci permettono di chiarire la situazione in aree vegetate: il mio progetto si pone come obiettivo di creare uno strumento che ampli le prospettive di monitoraggio.
Per quanto riguarda gli aspetti innovativi del suo progetto?
Per prima cosa l’utilizzo di dati LiDAR nell’ambito del monitoraggio delle attività da scavo clandestino: come detto, il LiDAR è stato già utilizzato nella ricerca di siti archeologici nel sottosuolo, ma mai nell’ambito del cosiddetto looting.
Secondariamente l’utilizzo di serie temporali di dati LiDAR su una stessa area: questo permette di valutare la diffusione, la comparsa o il rarefarsi di attività di scavo in una determinata area, con importanti risvolti per le eventuali indagini e valutazioni di rischio.
Terzo, la capacità di generare misure altimetriche del LiDAR mi permetterà anche di indagare la forma, le dimensioni e la profondità raggiunta dalle buche dei tombaroli.
Quarto, ma non per importanza, lo sviluppo di algoritmi di Intelligenza Artificiale che permettano di automatizzare il più possibile queste operazioni.
Riassumendo, nell’ambito della lotta al traffico illecito di beni culturali e allo scavo clandestino, il valore aggiunto che il suo progetto può portare è di rendere visibile ciò che ora è invisibile alle immagini satellitari tradizionali, di generare ulteriore conoscenza sulla tipologia delle azioni di looting e sul modo in cui questi criminali agiscono distruggendo il nostro patrimonio culturale.
Ѐ una cosa molto importante anche per il patrimonio italiano, dal momento che ampie aree del nostro Paese sono vegetate e quindi è attualmente molto difficile sfruttare le immagini satellitari per una valutazione di queste attività…
Esattamente. Infatti nel panorama italiano mi sto concentrando sul territorio della Necropoli etrusca di Cerveteri, notoriamente saccheggiata, con vaste aree coperte da vegetazione. Grazie a collaborazioni già in essere fra il Centro e altri enti a livello nazionale e internazionale (non in ultima con il Comando dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale con cui abbiamo una convenzione in essere) riuscirò a generare dati LiDAR della buffer zone attorno alla Necropoli e a verificare direttamente sul territorio i risultati dati dall’Intelligenza Artificiale.
Un’altra area, questa volta fuori dai confini nazionali, verso cui sto dirigendo le mie indagini grazie a un’altra collaborazione che abbiamo in essere, è la Cambogia, dove c’è una giungla abbastanza fitta e le attività di looting sono note agli archeologi che ci lavorano: purtroppo la vegetazione e la scarsa accessibilità di alcune aree rende estremamente difficoltoso monitorarne l’attività e identificare specifiche aree colpite da scavo clandestino, anche con l’uso del satellite. Come detto, l’uso dei dati LiDAR può risolvere il problema.
Venezia, Finlandia, Spagna e ora in Giappone. Come mai sta portando avanti la sua ricerca in Giappone?
In Giappone sto sviluppando l’altra parte fondamentale del progetto, ossia appunto lo sviluppo di sistemi automatizzati basati sull’Intelligenza Artificiale: questa parte la sto portando avanti proprio in Giappone, alla Kyoto University, sotto la guida del professor Makoto Yamada – un famoso Computer Scientist a livello internazionale.
L’importanza dello sviluppo di questi algoritmi di Intelligenza Artificiale si basa principalmente sulla possibilità di analizzare rapidamente aree anche ampie e di monitorare territori in modo efficiente. Ovviamente, e ci tengo a dirlo, questi algoritmi non sostituiranno mai il fondamentale lavoro del professionista. Oggigiorno c’è molto dibattito, che va spesso oltre l’aspetto scientifico e tecnologico, relativo al timore che questi algoritmi di intelligenza artificiale possano rimpiazzare la maggior parte delle figure professionali. A mio avviso, dato che parliamo di archeologia e beni culturali, questo non è assolutamente il caso: lavorando in questo ambito, nonostante lo sviluppo di algoritmi abbastanza specializzati, servirà sempre la conoscenza del professionista che è esperto di un determinato ambito. Perché per far sì che questi algoritmi possano apprendere come identificare aree di interesse è necessaria la creazione di insiemi di dati “etichettati”, dove è l’esperto a dovere indicare aree già note, dove sono avvenuti fenomeni di looting, o indicare aree dove è sicuro che non ci sono stati fenomeni di questo genere, per il fatto che, come nell’apprendimento del bambino, sono necessari diversi esempi per far sì che il bambino impari a classificare oggetti dello stesso tipo. L’archeologo è necessario anche per l’interpretazione dei dati: anche gli algoritmi più evoluti non avranno mai un’accuratezza del 100%; ci saranno sempre dei falsi positivi. Per esempio, un nuovo algoritmo può indicare che in un’area c’è stato del looting, oppure che potrà esserci a seconda di alcuni pattern ripetuti nel tempo, tuttavia può anche sbagliarsi e quindi in ogni caso l’archeologo dovrà controllare e validare i risultati. Altre volte è possibile che gli algoritmi producano dei falsi negativi in aree dove invece effettivamente è riscontrata attività di scavo clandestino.
Il suo progetto apre alla possibilità di ricadute molto importanti a livello sia di ricerca, sia di ampliamento delle possibilità di monitoraggio: in questo caso è apprezzabile l’importanza che dà al contributo degli specialisti, anche se trattandosi comunque di crimini è molto importante che questi vengano individuati e fermati in velocità, per cui sono convinto che avere come alleato l’intelligenza artificiale sia di assoluta importanza nell’arginare questo fenomeno, al di là del dibattito sociologico di reminiscenza Asimoviana. Senza dimenticare che già adesso si sta sempre di più sfruttando il remote sensing legato all’intelligenza artificiale anche nel tradizionale lavoro dell’archeologo, per individuare siti sommersi, ad esempio. Se non sbaglio questo è un altro degli ambiti di ricerca che portate avanti al Centro.
Sì, il Centro cura altri progetti in corso che affrontano sia il problema dello scavo clandestino sia, appunto, la sfida del riconoscimento automatico dei siti archeologici.
Attualmente il Centro ha in essere ben tre progetti finanziati: due progetti dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA), l’altro dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI).
Per quanto riguarda i progetti finanziati dall’ESA, uno in particolare verte sull’identificazione di attività di scavo clandestino: Automatic Looting Classification from Earth Observation Activity (ALCEO). Per questo progetto sono state identificate delle aree di interesse abbastanza sfidanti: una in Egitto – considerando ambienti desertici -, una sempre ad Aquileia, dove i grandi appezzamenti di terreno sono spesso sottoposti a scavo clandestino, la terza ad Arpinova, dove attività di looting sono note e si sono susseguite nel tempo su zone diverse. Per questo progetto si prevede di lavorare attraverso serie temporali di immagini satellitari, ovvero immagini satellitari della stessa area prese a distanza di anni, mesi o anche giorni (a seconda della tecnologia satellitare): la ricerca sarà volta dunque allo sviluppo di algoritmi di intelligenza artificiale per identificare i cambiamenti nel tempo di determinate aree dovuti all’attività di scavo clandestino, con l’obiettivo parallelo di riconoscere anche specifici pattern (sia geografici, sia, per così dire, sociologi) di queste azioni criminali.