Proponiamo di seguto la traduzione del passo Individual Criminal Responsibility for the Destruction of Religious and Historic Buildings: The Al Mahdi Case, a cura della Professoressa M. Sterio.
Introduzione e realtà fattuale
Ahmad Al Faqi Al Mahdi, noto anche come Abou Tourab, era un membro del gruppo fondamentalista islamico Ansar Dine, movimento terrorista jihadista maliano legato ad al-Qaeda nel Maghreb islamico. Al Mahdi è nato nella città di Agoune, a circa 100 km a ovest di Timbuctù nel Mali. Egli si servì della Polizia islamica della quale era, inoltre, al comando, per condurre la brutale occupazione di Timbuctù nel 2012. Infatti, nel gennaio di quell’anno un’insurrezione armata condotta dai Tuareg era esplosa nel nord del Mali, quando il cosiddetto Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad sferrò il proprio attacco. Altri gruppi islamici presenti nel territorio, tra i quali Ansar Dine, si unirono presto all’azione offensiva. Nel corso di questo periodo furono innumerevoli gli atti di ostilità, la maggior parte dei quali realizzati in flagrante violazione del diritto internazionale umanitario. Nel periodo intercorso tra l’aprile del 2012 e il gennaio del 2013 i gruppi ribelli conquistarono molte città poste a nord, sino a quando le truppe francesi e maliane intervennero per reprimere la ribellione. Tra il giugno ed il luglio 2012 Timbuctù passò sotto il controllo di Ansar Dine ed un altro movimento islamico. Al Mahdi, durante l’intero periodo, operò a stretto contatto con tutti i leader a capo dei gruppi armati presenti nell’area ed ebbe un ruolo attivo nell’occupazione di Timbuctù. La Corte Penale Internazionale ha incriminato Al Mahdi per diversi capi di accusa rispondenti a crimini di guerra e, più specificamente, per gli attacchi intenzionalmente diretti contro dieci edifici storico-religiosi e monumenti. L’articolo 8.2, lett. e), iv), dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale dispone che i crimini di guerra includono “attacchi intenzionalmente diretti contro edifici dedicati al culto, all’educazione, all’arte, alla scienza o a scopi umanitari, a monumenti storici, ospedali e luoghi dove sono riuniti i malati e i feriti, purché tali edifici non siano obiettivi militari”. Tutti gli edifici per il cui attacco Al Mahdi è stato accusato erano sotto l’egida dell’Unesco e molti di essi erano stati iscritti nella Lista Unesco del Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Il caso Al Mahdi dinanzi la CPI si è svolto in modo relativamente rapido ed efficiente, a partire dal rinvio ufficiale del caso alla CPI da parte del Mali fino alla fine del processo. Fu lo stesso governo maliano a sottoporre quanto avvenuto al giudizio della Corte nel 2012. L’ufficio del Procuratore ha poi aperto un’indagine ufficiale sui presunti crimini commessi in Mali nel gennaio del 2013 e nel mese successivo il governo maliano e la CPI siglarono un accordo di reciproca collaborazione sulla base del Nono Capitolo dello Statuto di Roma. Il 18 settembre 2015 la Prima camera preliminare della CPI emise un mandato di arresto contro Al Mahdi. Dunque, il 26 settembre dello stesso anno egli fu condotto dinanzi alle autorità della CPI dal governo nigeriano. L’arresto di Al Mahdi ha colto molti di sorpresa. Detenuto in una prigione del Niger, fu trasferito nella struttura di detenzione della CPI all’Aia, giacché la CPI aveva emesso il mandato di arresto e inviato rappresentanze per confrontarsi con i funzionari del governo nigeriano. Il 24 marzo 2014 la Prima camera preliminare della CPI confermò le accuse contro Al Mahdi. Oltre a siffatte incriminazioni, diversi comitati a tutela dei diritti umani accusarono Al Mahdi di altri crimini. Per questo motivo si rivolsero all’Ufficio del Procuratore affinché egli convalidasse le accuse contro Al Mahdi per il suo coinvolgimento in crimini commessi contro i civili, tra cui stupri, sfruttamento sessuale e matrimoni forzati. Il 1°marzo 2016 Al Mahdi affermò che si sarebbe dichiarato colpevole. Il processo ebbe inizio il 22 agosto e si concluse nel giro di una settimana. La Corte, infatti, ha condannato Al Mahdi in data 27 settembre 2016. Mentre alcuni hanno reso merito a siffatta decisione, considerandola come una vittoria storica per l’istituzione ed un precedente giudiziario rivoluzionario, altri hanno polemizzato la decisione della Corte di perseguire un individuo poco noto per un crimine relativamente insignificante. I due paragrafi successivi indagano su questi aspetti.
Al Mahdi: una vittoria storica per la CPI?
La decisione del caso Al Mahdi è considerata una vittoria storica per la CPI. Di conseguenza, con questo paragrafo si vogliono indicare gli argomenti principali a sostegno di tale tesi. In primo luogo, il processo di Al Mahdi è stato breve ed efficiente; “ciò costituisce una nota di merito per un tribunale spesso criticato per le lungaggini processuali”. La CPI dispone di un budget ridotto e portare a termine un processo efficiente tenendo conto della limitatezza delle risorse ha rappresentato un importante risultato legale per l’istituzione. Ciò, probabilmente, le consentirà di perseguire altri casi e presunti criminali. Al Mahdi è stato in assoluto il primo imputato a dichiararsi colpevole dinnanzi la CPI. Sin dall’inizio, egli ha promesso di collaborare, sperando forse in una sentenza più mite. Dunque, perseguire Al Mahdi, considerato che da subito l’imputato si sarebbe dichiarato colpevole, avrebbe collaborato con i pubblici ministeri e avrebbe potuto fornire informazioni su altri casi futuri, si è dimostrato un uso particolarmente efficiente delle risorse limitate della CPI. In secondo luogo, la CPI è stata a lungo percepita come una istituzione particolarmente inefficiente, in considerazione degli esiti delle cause intentate contro altri presunti criminali:
Il Presidente sudanese Omar al-Bashir è libero nonostante sia stato condannato dalla CPI per genocidio. Joseph Kony, noto leader della milizia Lord’s Resistence Army, a distanza di 10 anni dall’incriminazione continua a seminare distruzione nell’Africa centrale. L’archiviazione del procedimento penale a carico del Presidente keniota Uhuru Kenyatta ed il Vicepresidente William Ruto è stata dettata dalla scadente ricostruzione del caso da parte dei pubblici ministeri della CPI così come dalle interferenze dei politici kenioti.
Assicurare la condanna di un terrorista islamico come Al Mahdi avrebbe dimostrato come la CPI sia efficiente, in grado di arrestare criminali e portare a termine i processi in modo efficace ed in un periodo di tempo ragionevole. In terzo luogo, la consegna di Al Mahdi alle autorità della CPI è avvenuta grazie alla cooperazione tra Niger e Mali, due Stati africani. Questa cooperazione potrebbe supportare la CPI a contrastare non solo le critiche di parzialità nei confronti del continente africano ma anche la percezione che gli Stati africani siano in qualche modo contrari a siffatta istituzione. In quarto luogo, le prove e le testimonianze fornite da Al Mahdi potrebbero rivelarsi utili nel corso di futuri procedimenti giudiziari; come sottolineato, egli è stato particolarmente collaborativo con i pubblici ministeri ed i giudici della CPI. La Corte potrebbe aver preso di mira Al Mahdi sulla base di questa sua promessa, giacché potrebbe aver creduto che la collaborazione di Al Mahdi, al pari dell’eventuale testimonianza, avrebbe fatto sì che anche altri responsabili dei crimini commessi nel Mali avrebbero risposto delle loro azioni. “Nel caso in cui Al Mahdi fornisca una solida testimonianza ed inequivocabili prove di altri crimini, potrebbe divenire una risorsa estremamente utile non solo per la CPI ma anche per l’accertamento delle responsabilità per quanto accaduto complessivamente nel Mali”. Questa possibilità potrebbe scoraggiare la preoccupazione degli scettici, per i quali la CPI non dovrebbe occuparsi della distruzione ai danni di beni e proprietà, ma esclusivamente della violenza contro popoli e individui. In quinto luogo, la condanna di Al Mahdi potrebbe rafforzare la percezione della Corte quale istituzione preposta al perseguimento di crimini che sconvolgono la coscienza dell’umanità, come la distruzione dei siti Unesco. Difatti, a causa dei limiti della giurisdizione di sua competenza, la CPI non ha potuto incriminare i responsabili della distruzione di siti culturali in luoghi come Palmira o Bamiyan. Assicurare la condanna di un soggetto accusato di una distruzione simile realizzata nel territorio di uno Stato membro della CPI, ove questa ha giurisdizione, fa comprendere come la distruzione del patrimonio culturale sia un crimine di guerra, fonte di legittima preoccupazione per la comunità internazionale. In altre parole, “la CPI ha dimostrato come sia concepibile una responsabilità per crimini culturali”. L’azione penale della Corte ha evidenziato ulteriori passaggi:
Più specificamente… la Corte ha attinto dall’indignazione globale provocata dalla distruzione dei siti del patrimonio culturale. Mentre la giurisdizione della CPI non si estende in Siria o in Iraq, ove i miliziani dello Stato Islamico hanno distrutto deliberatamente siti storici, essa può operare contro la distruzione dei santuari islamici di Timbuctù. Perseguendo Al Mahdi, la CPI si è unita all’Unesco per dare vita ad un nuovo fronte contro la violenta distruzione della cultura.
Se è vero che molti hanno sottolineato i limiti del precedente giudiziario rappresentato dal caso Al Mahdi nella prospettiva di disincentivare futuri responsabili di crimini di guerra dalla distruzione di siti culturali, questa circostanza dimostra come la comunità internazionale abbia a cuore la conservazione di edifici e monumenti ed è disposta a spendere energie ed attenzioni sul tema. In sesto luogo, il caso Al Mahdi rappresenta il primo di una pluralità di eventi. Con esso la distruzione di siti culturali è stata, per la prima volta, perseguita come crimine di guerra da parte della CPI. Per la prima volta, inoltre, un terrorista islamico è stato condannato dinanzi la CPI. Infine, per la prima volta un imputato si è dichiarato colpevole dinnanzi la CPI.
Testo di riferimento: Milena Sterio, Individual Criminal Responsibility for the Destruction of Religious and Historic Buildings: The Al Mahdi Case, in 49 Case W. Res. J. Int’l L. 63 (2017).
Dottoressa in Scienze dei servizi giuridici