di Serena Epifani e Michela De Bernardin
Chi commette crimini contro il Patrimonio Culturale si adegua al cambiamento: è presente sul web, frequenta i social, utilizza piattaforme di compravendita; in generale, usa le nuove tecnologie per perseguire i propri scopi. Da qui il monitoraggio costante da parte delle forze di polizia, un’attività complessa che richiede competenze sempre più specializzate e strumenti all’avanguardia in grado di contrastare in maniera efficace gli illeciti nel settore dei beni culturali.
Ne abbiamo parlato con Arianna Traviglia, che coordina il Centre for Cultural Heritage Technology dell’Istituto Italiano di Tecnologia, con sede a Venezia, e che ci ha fatto conoscere RITHMS – Research, Intelligence and Technology for Heritage and Market Security, un nuovo progetto ad alto contenuto tecnologico, finanziato dall’UE.
Dott.ssa Traviglia, come nasce il progetto RITHMS e quali sono i suoi obiettivi?
RITHMS è un progetto che ricade all’interno dello stream di finanziamenti del programma Horizon Europe e in particolare della progettazione dedicata al settore della sicurezza in ambito europeo. Il progetto prevede la creazione di una piattaforma digitale altamente innovativa, che supporterà nelle operazioni di indagine le forze di polizia tutte, non solo quelle che aderiscono all’iniziativa, ma anche quelle che in futuro vorranno aggregarsi. Nello specifico, la piattaforma sarà in grado di rintracciare, tra le banche dati raccolte dai ricercatori, quelle già esistenti e le informazioni disponibili sul web in chiaro, le componenti di un grande puzzle, individuando le connessioni sociali esistenti tra i vari attori, gli eventi, le situazioni e i luoghi che in modo diretto e indiretto sono coinvolti o alimentano il traffico illecito di beni culturali. Individuerà, in sostanza, il network sociale di chi opera all’interno dello scambio di beni culturali, fornendo una figura di insieme delle connessioni che esistono tra agenti, oggetti ed eventi. Con tali capacità di visualizzare le connessioni esistenti tra tutte le persone che operano all’interno di questo ampio sistema di scambio e relazioni, le forze di polizia saranno in grado di ottenere informazioni difficili da tracciare manualmente.
Mi pare di comprendere che la piattaforma sarà utilizzata non soltanto per monitorare i social, oggi diffusamente utilizzati per piazzare sul mercato reperti archeologici provento di scavi clandestini, ma il web in generale.
Noi utilizzeremo tutto ciò che è reperibile sul web: tutte le informazioni estraibili dai social media, dai siti di compravendita e dai portali di case d’aste; insomma, utilizzeremo tutte le informazioni che sono disponibili come ‘open data’, ossia dati pubblicamente rilasciati. Utilizzeremo anche data set già esistenti che però non sono disponibili in Internet. E ce ne sono tantissimi, sia di proprietà privata che pubblici, come gli archivi di casi criminali conclusi e quindi fruibili. Tutto quello che è accessibile noi lo utilizzeremo: più informazioni si avranno, più connessioni si potranno creare.
Abbiamo poi a disposizione sottogruppi di informazioni. Per esempio, ne andremo ad estrarre anche dalle immagini satellitari, con l’obiettivo di individuare connessioni esistenti tra luoghi interessati al looting – sia quelli in cui gli scavi clandestini stanno avvenendo, sia quelli già saccheggiati di recente o in determinati periodi storici -, e li collegheremo all’apparire sul mercato di oggetti che potrebbero essere stati trafugati da queste aree. Parliamo soprattutto di aree lontane dai centri urbanizzati, remote e spesso quasi inaccessibili, per questo più facilmente abbandonate allo scavo clandestino senza controllo, se non – appunto – da satellite. In più, nei paesi in cui ciò sia permesso, utilizzeremo dati anonimizzati provenienti dalle celle telefoniche agganciate in prossimità delle zone in cui sono stati effettuati scavi non autorizzati.
Chi commette illeciti contro il patrimonio culturale si è adeguato da tempo, ormai, a un mercato in evoluzione rispetto all’uso delle nuove tecnologie, riversando le proprie attività sul web, nella convinzione, forse, di avere gioco facile. Da qui il monitoraggio delle forze di polizia finalizzato a stanare il fenomeno criminale.
Tutti i software sviluppati negli ultimi anni vanno in quella direzione. Si pensi, per esempio, a un sistema digitale come S.W.O.A.D.S. a cui stanno lavorando i Carabinieri. Bisogna monitorare il web e si deve farlo in maniera automatizzata. Non si può pensare di impiegare centinaia di persone nel controllo manuale degli schermi. Bisogna ricorrere ormai a sistemi che grazie all’Intelligenza Artificiale siano in grado di fare molto velocemente la raccolta delle informazioni e di collegare i dati. La piattaforma che svilupperemo con RITHMS guarda proprio al lavoro delle forze dell’ordine. Non a caso, tra i venti partner, il Consorzio conta quattro forze di polizia nazionale (Italia, Spagna, Olanda e Moldavia), due autorità doganali nazionali (Bulgaria e Bosnia Erzegovina), una scuola di polizia (Germania).
Avendo riscontrato che uno dei problemi maggiori è la formazione di personale con competenze tecnologiche nelle forze dell’ordine, abbiamo previsto nella parte finale del progetto tutta una parte di training, che sarà coordinata dai nostri Carabinieri del TPC e dalla Scuola di Polizia tedesca. L’attività sarà rivolta sia ai partner, sia a chi si vorrà aggregare in corso d’opera. Insomma, l’obiettivo è quello di formare sull’utilizzo del nuovo softwere le polizie di tutta Europa.
Oltre alle forze di polizia menzionate, chi sono gli altri soggetti coinvolti?
Tra i partner figurano società private esterne che si occupano di security e di cyber security; istituzioni di ricerca con esperienza in ambito delle scienze umane e informatiche; organizzazioni senza scopo di lucro, come l’associazione Art Crime Project-APS con il Journal of Cultural Heritage Crime, media partner del progetto.
Come entrerà in gioco RITHMS nell’azione di sensibilizzazione del pubblico?
Oltre alla piattaforma digitale, che è il cuore tecnologico del progetto, c’è tutta una parte relativa alla comunicazione al pubblico più ampio. Si rende necessario infatti far conoscere il problema, per rendere edotto chi acquista sul web delle gravi conseguenze che potrebbero insorgere se agisce in maniera avventata, nella convinzione di essere nel lecito. Spesso si trascurano gli aspetti criminali legati alla compravendita di reperti archeologici su Internet. Chi acquista sottovaluta il problema, non considerando che entra di fatto a far parte di un circuito illecito, alimentando un mercato che, diversamente, quasi non esisterebbe.
Per noi è fondamentale che ci sia una maggiore comprensione del problema; di che cosa significa acquistare, di che cosa ciò comporti. Per questo è necessario che si muovano enti di diversa natura. Il pubblico che ha accesso a Internet è sfaccettato: abbiamo quello che compra oggetti alla bancarella del mercatino d’antiquariato e quello dei collezionisti. Quindi bisogna aprirsi ai pubblici diversi coinvolgendoli in maniera tale da consentire a ciascuno di attivare queste conoscenze. Occorre poi creare una nuova sensibilità nei giovani, che sono grandissimi utilizzatori di Internet e dei social media, quindi è necessario trovare anche modi semplici per raggiungerli e per far capire anche a loro che ciò di cui stiamo parlando è un grandissimo problema.
Sarà possibile per i liberi professionisti contribuire al progetto?
Gli eventi saranno open. Prevediamo seminari online e la realizzazione di video esplicativi. Gli incontri saranno anche ibridi per permettere a chi non può raggiungere i luoghi di seguire gli eventi online. Non si potrà contribuire, ovviamente, sulla parte tecnica di progetto, perché quella è blindata, però su altri aspetti, se qualcuno vuole collaborare, ci trova disponibili.
Ciò che emerge analizzando la natura del progetto è l’incontro tra scienze umanistiche e nuove tecnologie, in un approccio che richiama necessariamente la multidisciplinarietà, da tutti sempre evocata, ma che si concretizza con difficoltà nella maggior parte dei casi.
Questo nasce proprio dall’esperienza del nostro Centro, fortemente interdisciplinare, in cui abbiamo visto che tale relazione strettissima, non saltuaria ma, al contrario, giornaliera di archeologi, storici dell’arte ed esperti di tecnologia a vari livelli – da quelli informatici a quelli che si occupano di analisi fisico-chimica, di nanotecnologie o di robotica – produce risultati estremamente interessanti. In questo progetto europeo vogliamo perciò riportare la stessa esperienza, perché è evidente che il problema è talmente vasto e ha talmente tante diramazioni, che bisogna aggregare competenze di natura diversa. In RITHMS cercheremo di far dialogare questi ambiti diversi, ad esempio prendendo in debita considerazione le problematiche giuridiche ed etiche sollevate dall’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale. Faciliteremo poi lo scambio di informazioni e la comprensione reciproca tra le competenze archeologiche e quelle informatico-tecnologiche. Dobbiamo infatti tenere a mente che far sviluppare il cuore tecnologico del progetto a persone che non hanno esperienza professionale pregressa del problema culturale è impresa ardua, se non sono indirizzati da chi, al contrario, conosce a fondo le tematiche culturali o quelle criminali, ma non ha adeguate competenze informatiche. Soltanto combinando questi aspetti riusciremo ad avere per la prima volta qualcosa che sia estremamente efficace dal nostro punto di vista. È ovvio, poi, che l’apporto delle scienze umane e delle scienze sociali sia fondamentale, se pensiamo che al centro della piattaforma tecnologica di RITHMS ci sarà la social network analysis. Social network intesi come reti sociali, quindi l’interazione tra le persone in generale. Perciò abbiamo coinvolto esperti che osservino l’aspetto sociologico alla base della creazione di questi network. È proprio l’incontro di queste discipline, evitando di porre l’enfasi solo sulla parte tecnologica o solo sulla parte criminologica, che ci porta alla definizione di un sistema che ci permetterà di ottenere risultati concreti.
Nel particolare e innovativo ambito di ricerca di cui stiamo trattando, il Centre for Cultural Heritage Technology, che promuove lo sviluppo delle nuove tecnologie nell’analisi, la conservazione, la protezione del Patrimonio Culturale, ha all’attivo altri progetti che abbiano come oggetto gli scavi clandestini e il traffico illecito?
Il Centro, nato tre anni fa, nasce dall’esperienza delle persone che ne fanno parte e vuole porsi anche come apripista in Italia e in Europa sulle tecnologie di contrasto al traffico di beni culturali. In questo ambito specifico Abbiamo tre progetti attivi al momento: nel settore della sicurezza, il progetto ALCEO, lanciato recentemente e finanziato dall’Agenzia Spaziale Europea, si focalizza sull’utilizzo delle immagini satellitari ad alta risoluzione per identificare, potenzialmente in tempo reale, i siti archeologici sottoposti a looting tramite tecniche di intelligenza artificiale e machine learning.
L’applicazione di machine learning è centrale anche nella ricerca di dottorato di Riccardo Giovanelli: il progetto raccoglie le informazioni e le immagini di beni archeologici commercializzati tuttora e in passato nel mercato di antichità, in particolare on-line, e, per mezzo di algoritmi di intelligenza artificiale che prendono in considerazione sia il riconoscimento di immagini sia le informazioni collezionistiche e descrittive, si propone di individuare oggetti potenzialmente frutto di furto o traffico illecito.
Abbiamo quindi il progetto OPTIMAL, seguito da Marco Fiorucci, sull’uso della tecnologia LiDAR, per l’individuazione di siti archeologici vittime di spoliazione al di sotto della coltre vegetativa, che risulta invece un ostacolo per l’occhio dei satelliti interpellati nel progetto ALCEO.
A questi si aggiunge RITHMS: quindi, a livello italiano, siamo il punto di ricerca con più progetti legati alla tecnologia sul traffico illecito di beni culturali – e penso anche a livello europeo. Magari altrove si attestano progetti tecnologici, ma non quattro allo stesso tempo. Buona parte del nostro personale è dedicata ad attività che hanno come oggetto il traffico illecito di beni culturali. Recentemente abbiamo anche siglato una convenzione con i Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale per fornire supporto alle loro indagini sia dal punto di vista digitale che dal punto di vista delle analisi fisico-chimiche. Stiamo quindi creando una forte competenza specifica, che vogliamo accrescere sempre di più in futuro, perché è un tema che ci sta particolarmente a cuore.
Il fatto positivo che caratterizza RITHMS è che coniuga in sé expertise sviluppate in ambiti differenti nella pregressa progettazione europea, e che finalmente qui convergono. C’è la nostra esperienza come archeologi all’interno del progetto NETCHER e ci sono i progetti degli altri membri del partenariato, sempre relativi all’uso delle tecnologie nell’ambito del crimine organizzato. Competenze che si vanno a saldare con quelle tecnologiche del nostro Centro, cui si aggiungono gli spunti apportati da colleghi che hanno partecipato a progetti relativi alle attività delle dogane europee o all’applicazione della social network analysis. Sono convinta che tutte queste esperienze pregresse ci aiuteranno a portare a termine con successo il progetto RITHMS.
The Journal of Cultural Heritage Crime (JCHC), con sottotitolo L’Informazione per la Tutela del Patrimonio Culturale, è una testata giornalistica culturale, registrata presso il Tribunale di Roma con n. 108/2022 del 21/07/2022, e presso il CNR con ISSN 2785-7182. Si configura sul web come contenitore di approfondimento, il primo in Italia, in cui trovano spazio i fatti che quotidianamente vedono il nostro patrimonio culturale minacciato, violato e oggetto di crimini. I fatti sono riportati, attraverso un linguaggio semplice e accessibile a tutti, da una redazione composta da giornalisti e da professionisti del patrimonio culturale, esperti nella tutela. JCHC è informazione di servizio, promuove le attività di contrasto ai reati e sostiene quanti quotidianamente sono impegnati nella attività di tutela e valorizzazione del nostro patrimonio culturale.