di Anna Pelagotti
La ragione per cui Galileo Galilei, il famoso matematico e astronomo italiano, fu condannato dalla Chiesa, fu un suo libro, non il telescopio. Ma prima ancora fu una lettera a Benedetto Castelli, suo allievo e intimo amico, ad inguaiarlo. Ma una lettera fraudolenta, che era stata falsificata da un nemico, secondo Galileo stesso, e fatta arrivare al Papa per incriminare lui e le sue idee, una volta per tutte.
In realtà la lettera non era stata inventata, era una copia fedele. Il problema era che era proprio sovversiva. Fu Galileo stesso a voler confondere le acque una volta resosi conto che l’aveva fatta grossa.
A ristabilire la verità è stata la scoperta dell’originale: il manoscritto autografo, che si riteneva perduto, è stato miracolosamente ritrovato negli archivi della Royal Society di Londra, anche se non si sa come ci sia finito.
La lettera era una sorta di breve trattato in risposta ai teologi aristotelici che consideravano l’astronomia copernicana, sostenuta da Galileo, eretica perché incompatibile con alcuni passaggi della Bibbia. Copernico sosteneva infatti che fosse la terra a ruotare intorno al sole, e non viceversa.
E Galileo, convinto dalle sue stesse osservazioni che fosse questa la realtà dei fatti, nella lettera sosteneva che si dovesse mantenere una netta distinzione tra il regno della fede e quello della conoscenza scientifica, e che le affermazioni della Bibbia sui fenomeni naturali non costituivano ragioni valide per trarre conclusioni scientifiche.
Il problema è che Galilei, sicuro che la lettera non sarebbe “fuoriuscita” dallo stretto gruppo dei suoi allievi e sostenitori, non aveva usato un linguaggio cauto, e aveva scritto testualmente: “nella Scrittura si trovano molte proposizioni false”. Una affermazione chiaramente da scomunica e inquisizione.
Quando invece si rese conto che in qualche modo una copia era arrivata al frate domenicano Lorini, e che questo l’aveva trasmessa al Papa come prova incriminante, il Galilei si era affrettato a mettere in giro la notizia che quella era una copia modificata ad arte, e a riscriverne una edulcorata da esibire come originale, dove per esempio si diceva: “nella Scrittura si trovano molte proposizioni le quali, quanto al nudo senso delle parole hanno aspetto diverso dal vero”. Stesso concetto ma un po’ più conciliante.
E la versione di Galileo era stata presa per buona per secoli, fino a pochi anni fa, quando appunto l’originale, è riemerso, e si è riscritta la storia.
Inutile dire quanto sia importante che i documenti su cui basiamo le nostre conoscenze e i nostri giudizi siano originali.
Galileo ha scritto moltissimo nella sua vita. Anche negli anni dopo l’abiura, costretto a vivere nella casa-prigione di Arcetri, e nonostante la cecità che lo colpì nella vecchiaia, continuò a lavorare, e a scrivere, a rifare gli esperimenti e per ogni affermazione a scrivere come arrivava a dirlo. È un metodo nuovo che ebbe un successo strepitoso. L’ultimo libro “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze” fu pubblicato in Olanda, per evitare problemi con la Chiesa di Roma, e andò subito esaurito.
Gli scritti di Galileo hanno rivoluzionato la scienza e continuato ad interessare studiosi e collezionisti nei secoli.
Al punto che alcuni falsari non si sono fatti scappare l’occasione e hanno introdotto sul mercato una serie di false lettere, che hanno ingannato gli specialisti per anni. È di pochi giorni fa, ad esempio, la notizia che il manoscritto, considerato una delle perle della Biblioteca dell’università del Michigan si sia rivelato un falso. In questo caso è stato il falsario a ricopiare parte di originali che sono conservati alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. E quindi, nonostante il foglio fosse stato preso per buono, la storia non è stata totalmente riscritta.
È stata l’analisi della filigrana a dimostrare che la carta era stata prodotta dopo la morte del Galilei (per approfondire come datare la carta trovate questo articolo).
La filigrana sul “manoscritto Galileo” contiene i monogrammi “AS” e “BMO” Nessun altro documento filigranato BMO è stato datato prima del 1770, mentre se ne trovano molti dopo di questa data.
La precedente autenticazione era stata firmata dall’arcivescovo Maffi, che si era basato sulla comparazione con altri due documenti autografi conservati a Pisa. Che però si sono rivelati anche essi falsi. Probabilmente opera dello stesso falsario, Tobia Nicotra, che li aveva furbescamente donati e fatti entrare nella collezione.
Il Nicotra del resto, non era nuovo a questo tipo di contraffazione. Si sa aver prodotto documenti ad imitazione di Leonardo, Michelangiolo, Lutero ma anche George Washington e Abraham Lincoln.
E chissà quanti ancora ne restano da scoprire! Chissà quante volte le indagini scientifiche aiuteranno ancora a riscrivere la storia.
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