Il S. Bartolomeo di Bonaiuti: la rarità del dipinto non dipende dal numero di opere dell’artista!

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Nel 2011 il giudice amministrativo veniva chiamato a decidere in merito alla legittimità del diniego dell’attestato di libera circolazione per l’opera Santo vescovo, San Bartolomeo e profeta di Andrea Bonaiuti, pittore fiorentino del XIV secolo, fondato su una motivazione prevalentemente incentrata sul particolare interesse dell’opera derivante dalla sua nobiltà e qualità esecutiva nonché sul fatto che appartenesse ad un complesso di altare.

A fronte di tale motivazione il T.A.R. del Lazio ha affermato che tale giudizio formulato dall’Amministrazione con mero riferimento ai caratteri della “nobiltà dell’opera e buona qualità esecutiva risultasse di fatto “assiomatico e immotivato, in quanto consiste in un mero richiamo del criterio di valutazione precisato senza esplicitare in alcun modo la ragione per cui è ravvisata la sussistenza del prescritto carattere nell’esemplare oggetto di valutazione, senza svolgere alcuna considerazione in merito all’eventuale frequenza e della disponibilità di opere analoghe, e soprattutto senza motivare in alcun modo il giudizio sulla rappresentatività e significatività dell’opera di rilevanza tale da poterlo considerare meritevole di essere considerato componente costitutiva del patrimonio culturale nazionale”. Accogliendo pertanto il ricorso avverso il diniego all’autorizzazione all’esportazione[1], il T.A.R. ha altresì annullato il provvedimento di dichiarazione di interesse storico-artistico particolarmente importante sull’opera, rilevando un manifesto difetto di motivazione, nota figura sintomatica dell’eccesso di potere.

Andrea Bonaiuti, Santo vescovo, San Bartolomeo e profeta (Wikimedia)

Il rilievo più interessante fatto proprio dal T.A.R. Lazio in questo contenzioso riguarda la valutazione in merito alla rarità del dipinto in questione. Con riferimento a questo tema, il T.A.R., facendo proprio un orientamento consolidato nel tempo, ha dapprima rilevato che il concetto di rarità di un’opera non può essere considerato in termini strettamente numerici o di unicità e, in secondo luogo, in via molto innovativa, ha sostenuto che il giudizio valutativo in questione, che si fonda su un concetto di utilità marginale di un’unità aggiuntiva dell’opera rispetto a quelle già possedute, avendo natura comparativa, è “mutabile nel tempo a seconda delle esigenze di formazione culturale e delle politiche culturali di cui costituisce espressione. A partire da ciò il giudice amministrativo evidenzia come le politiche culturali del momento possono differentemente giustificare l’ascrizione al patrimonio culturale nazionale anche dell’ennesimo dipinto di un Maestro già presente nelle collezioni pubbliche qualora l’organo consultivo ne ravvisi il particolare valore identitario”. Come opportunamente rilevato, questo tipo di ragionamento evidenzia il favor del giudice amministrativo ad un orientamento nazionalistico per cui la presenza di altre numerose opere dell’artista sul territorio nazionale non rappresenta di per sé un motivo in grado di giustificare il vizio di legittimità del diniego all’esportazione[2].


[1] Si veda l’intera motivazione della sentenza: T.A.R. Lazio, Sez. II quater, 15 giugno 2011, n. 5318

[2] A. PIRRI VALENTINI, Il controllo giurisdizionale sull’esportazione di opere d’arte, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 2 del 2020, p. 505.

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